In un’intervista rilasciata al Corriere dello Sport, l’ex ds della Roma, Gianluca Petrachi, si è raccontato, da Pallotta a Fredkin passando per la Roma e il Torino. Ecco riportata l’intervista integrale.
Sull’arrivo in giallorosso: «Cairo non voleva farmi andar via. Non ha mai accettato le mie dimissioni».
Sull’addio alla Roma: «Alla radice c’è una mancata comunicazione tra me e Pallotta. L’ho visto due volte in tutto. Al telefono non parlavamo mai, io non parlo inglese. Sono pigro e poi non ho un bel ricordo della mia parentesi inglese».
Su Baldini: «Fu lui il primo a chiamarmi, ci conoscevamo da quando facevamo i calciatori. La preistoria. Io estroso, ma potente. Lui un po’ fighetta. Franco ha molto apprezzato il mio lavoro come direttore sportivo. Con lui fui chiaro dall’inizio. Io volevo avere un unico riferimento. Se non era Pallotta, doveva essere Guido Fienga. Franco, da uomo intelligente, non si è mai permesso di condizionarmi al di là del normale confronto tecnico».
Sugli obiettivi:«Pallotta e Baldini chiesero di ringiovanire la squadra, abbassare i costi e creare premesse per le plusvalenze. Ho fatto molte operazioni low cost. A Torino mi chiamavano mister Parametro Zero. Altra priorità ricreare un ambiente sano. L’ultimo scudetto era di vent’anni prima. Evidente c’erano delle problematiche…».
Su Sabatini e Monchi: «Liquidati in fretta? Non mi preoccupavano, zero. Ho affrontato prove molto difficili nella mia vita. Io vivo di sfide e la Roma era per me la sfida più eccitante. Entrare da protagonista in un club in cui l’appartenenza è tutto».
Su Mkhitarian:«Lo presi in prestito gratuito e mi pagavano anche un po’ di ingaggio. Veniva da alcuni infortuni, mi sono preoccupato anche di curarlo. Gli feci fare dei lavori specifici in piscina».
Su Smalling. «Stavamo su Lovren. Ma lui voleva essere comprato, non sentiva ragioni, e io non spendo quindici milioni al buio per un giocatore con un problemino di pubalgia. Un agente italiano mi chiamò e disse che potevamo prenderlo in prestito. Non ci credevo, pensavo a una bufala. Smalling era uno di quei marcatori in via di estinzione. Dovevo associarlo a Mancini, che è più libero».
Su Ibañez: «Quando lo presi a gennaio fui massacrato in società. Tutti incazzati, a cominciare da Pallotta. Un’operazione a nove milioni più uno di bonus con pagherò a due anni».
Sulla trattativa tra Spinazzola e l’Inter: «Non era felicissimo. Voleva giocare a sinistra, ma Kolarov era intoccabile. Il mister pur di farlo giocare lo impiegava a destra, ma il ragazzo s’incupiva. A gennaio si ruppe Zaniolo e ci serviva un esterno. Doveva arrivare Politano, tutti contenti. Ausilio ci dà l’ok e Marotta lo stoppa. Oggi è un titolare della Roma e della Nazionale».
Su Conte: «Ci lega una profonda amicizia, ma avevo già questionato con lui su Dzeko, che voleva portare all’Inter. ‘Non mi rompere i coglioni con Dzeko, non te lo do. Inutile che sbatti la testa al muro‘ gli dissi. Era un giocatore nel cuore dei tifosi, e io quando sposo una società sposo anche i suoi tifosi».
Sull’allenatore: «A Roma erano davvero convinti di chiudere con Conte. Veniva da un anno difficile, le beghe legali con il Chelsea. Era voglioso di sfide nuove. E’ una trattativa che non ho seguito, non ero ancora alla Roma. Posso immaginare che Antonio non si sia sentito abbastanza rassicurato. Forse, se avesse parlato direttamente con Pallotta, le cose sarebbero andate diversamente. La Roma voleva un allenatore italiano. Saltato Conte, ho saputo successivamente che hanno parlato con Gasperini, Mihajlovic e De Zerbi».
Sull’addio alla Roma: «Non sono un diplomatico. Non ci so fare nelle relazioni. Non telefono ai direttori, non mi concedo. Non è nelle mie corde. Così scrivono che attaccavo Zaniolo perché avevo già deciso di venderlo. Non era così, al punto che Zaniolo è ancora con la Roma ed è un patrimonio della società. Ho avuto tutti i giornali contro. Sono uno che non dà la notizia, sono più da storta che da dritta. Non ce la faccio a essere finto».
Su Pallotta: «È un uomo intelligente, un visionario. Ma il calcio è un mondo a sé. Si è fidato troppo di persone sbagliate. Pallotta oggi si è forse reso conto di quante menzogne gli hanno detto su Petrachi. In un’intervista, cita e ringrazia tutti tranne me. Una provocazione. Da lì il mio messaggio: una protesta, ma anche un grido di aiuto. Volevo un chiarimento da uomo a uomo. Per tre mesi sono stato vessati e messo ai margini. Petrachi non contava più nulla. Io volevo bonificare il mondo Roma e Trigoria in particolare. In quell’esatto istante è partito l’attacco personale. Non ho più sentito nessuno. Mi dissero anche che, se fosse cambiata proprietà, sarei tornato. Non è andata così».
Su Friedkin: «Un pranzo di cortesia a dicembre, niente più. Mi sembrarono entusiasti di comprarsi la Roma. Trovo molto positivita la loro presenza, per un calciatore conta molto vedere il capo che ti ha scelto e ti paga. Non mi piace essere finito, mio malgrado, in tribunale. Non avevo scelta. Leggo messaggi scorretti in proposito. I cinque milioni che chiedo sono lordi e sono il corrispettivo di due anni di contratto che ancora mi restavano alla Roma. Non un centesimo di più. Se mi chiamassero? Spiegherei alla nuova proprietà le mie ragioni. Dovessi rientrare sarei felice ma, devo essere sincero, non lo farei a qualunque condizione. Io non cambio. Petrachi deve fare Petrachi».