L’ha marcato a uomo durante il match dei Mondiali tra Italia e Argentina. Giugno 1982, Gentile contro Maradona. L’ex difensore ai microfoni della Gazzetta dello Sport ricorda ancora quel duello con il Pibe de Oro, svelando retroscena e particolari:
«Bearzot venne in camera e mi disse: «Te la sentiresti di marcare Maradona?». Pensavo scherzasse, ero sicuro che avrei seguito Kempes come quattro anni prima a Baires. Così risposi subito: «Certo, qual è il problema!». Allora il mister replicò: «Bene, studiatelo». Rimasi di sasso. Ripensandoci, mi resi conto che sarebbe stata dura, ma non mi sarei certo tirato indietro…Mi procurai le videocassette delle qualificazioni e cominciai ad analizzare i movimenti, i gesti tecnici, i colpi. Da solo, io e il video. A quei tempi non era frequente il ricorso alle cassette e non l’ho più fatto, ma capivo che Maradona era speciale. Unico».
IL MIGLIORE – «Sì. Il più grande è stato lui. Umanamente non l’ho apprezzato, ma da giocatore non posso che inchinarmi alla sua grandezza. Gli ho fatto anche gli auguri per i sessant’anni. Nessuno l’ha mai eguagliato. Neanche Messi. Lui s’è avvicinato a Diego ma non ha vinto un Mondiale, cosa che Diego ha fatto praticamente da solo nell’86. Aveva più personalità, era il capitano, prendeva la squadra sulle spalle e la portava avanti. Un leader. I compagni lo adoravano. Quasi immarcabile. Avevo capito che, se si fosse girato, con la sua velocità non avrei avuto scampo. Era così rapido che non l’avrei preso più. Dovevo stargli appiccicato, non farlo girare e tagliare le linee di passaggio dei compagni. Meno palloni riceveva, meglio era per me».
DOPO ITALIA-ARGENTINA DEL ’82 – «Rapporti con lui? Zero. Quel giorno si rifiutò anche di darmi la maglia. Una cosa che mi fa male anche ora a pensarci. Alla fine ci si dà sempre la mano, è un gesto sportivo. Quando abbiamo sconfitto il Brasile tutti i giocatori sono venuti a complimentarsi con noi. In quell’occasione Diego mi ha deluso, non è riuscito ad accettare la sconfitta».
SULLA VITA PRIVATA DI MARADONA – «Arrivavano già allora molte voci. Sapevamo parecchio di quello che succedeva. Dicevano che non si allenasse mai. Si rilassava palleggiando, ma poi in campo era sempre il migliore. Vinceva spesso da solo. Era il più grande».