a cura di Giacomo Brunetti
Dal capitano Tait fino al nuovo arrivato Nicolussi Caviglia, abbiamo parlato con alcuni calciatori del Südtirol per capire com’è giocare qui
A Bolzano ci sono tutti i presupposti per esprimersi al meglio. Non ci sono alibi
Il Südtirol ha le carte in regola per crescere ancora. Un passo alla volta, come ha sempre fatto. Approccia alla prima stagione in Serie B con un grande carico di curiosità, merito soprattutto della stagione da record vissuta in Serie C negli ultimi mesi. Tra i protagonisti, l’uomo che ha tenuto chiusa la porta, subendo solo 9 gol e stabilendo il record europeo in tal senso: Giacomo Poluzzi, portiere classe ’88 arrivato in valle nel 2020. «In questa società sei messo nelle condizioni ideali per esprimerti al meglio. Rispetto alle altre realtà, qui sono state fatte le cose al contrario, investendo prima sulle strutture per poi arrivare ai risultati sportivi. Giocarci è un privilegio, hai la possibilità di esprimerti al meglio»: sostanzialmente, al Südtirol non hai alibi. «Ho vissuto il record dello scorso anno con sorpresa – continua Poluzzi – anche se l’obiettivo era chiaro fin dall’inizio. A gennaio, in una riunione tecnica il mister ci ha detto: ‘Ne avete presi 5 nel girone d’andata, vediamo se avete le palle di fare meglio in quello di ritorno’. Mi sono detto: ‘Cazzo, è impossibile’. E invece eccoci qui. Ho ricevuto anche due videomessaggi da parte di Perin e Viviano. Ho richiamato l’attenzione mediatica ed è stato gratificante».
Una delle colonne portanti della squadra è il capitano Fabian Tait, con cui Poluzzi ha un grande rapporto: «Ci eravamo promessi due anni fa che, in caso di vittoria del campionato, ci saremmo tatuati uno squalo, perché spesso è uscita nello spogliatoio la metafora di essere affamati come squali, avere sempre la pinna alta e azzannare. Dopo tre giorni dal trionfo, abbiamo mantenuto la promessa». Tait è arrivato nella formazione della sua città nel 2014, dopo una gavetta tra Eccellenza e Serie D, diventando immediatamente un punto di riferimento e raccogliendo lo scettro di Hannes Fink, da poco ritiratosi. «Il mio ottavo anno qui – ci racconta Tait – significa tanto, perché la promozione e il record non sono frutto del caso. Sono meritati, per noi e per il Club. Nelle mie prime stagioni qui, ci allenavamo in vari impianti sportivi e ho visto partire tutto da zero. Cerco di trasmettere ai nuovi arrivati l’identità: qui si viene, si sta bene, ma si lavora. Negli ultimi anni abbiamo visto che per arrivare a certi risultati c’è bisogno di lavoro: se lo fai durante la settimana, arrivi alla domenica e te ne accorgi».
Al centro sportivo abbiamo incontrato anche Fink, il ‘Totti’ del Südtirol, che ha abbandonato il calcio a soli 32 anni dopo aver portato per la prima volta la sua squadra in Serie B: «Ho lasciato perché il mio fisico aveva iniziato a lanciarmi dei segnali. Sentivo l’esigenza di provare qualcosa di nuovo, individuare stimoli per fare il mio lavoro al massimo. Il raggiungimento della Serie B è un obiettivo calcistico talmente grande che ha coronato l’occasione per intraprendere subito un altro ruolo in questa società». In Trentino Alto-Adige, rispetto a quando lui ha iniziato a giocare, il sentiment nei confronti del pallone è mutato: «L’approccio è completamente diverso, si percepisce che il seguito è aumentato. La gente sa che esisti, ma devi trainarla. Ti conoscono, sanno cosa accade, si informano. Siamo a un punto di svolta, dopo la promozione ho ricevuto numerosi messaggi dove la gente diceva: ‘Vi verremo a vedere’». Ora una nuova sfida, da dirigente, ad assistere il direttore sportivo fino a fare da collante con il settore giovanile. Fink si occupava di organizzare i camp estivi fin da quando era puramente un calciatore, e così sta facendo anche il suo erede Tait: «Sono entrato nel Südtirol grazie a un camp, era un segno del destino. Oggi siamo cresciuti e abbiamo strutture e organizzazione di livello. Dettagli che fanno la differenza, e per vincere ci sono un milione di dettagli da curare. La qualità dei calciatori e del vivaio, negli ultimi anni, è aumentata a dismisura».
C’è poi la questione culturale, suddivisa tra italiani, tedeschi e ladini. Secondo Fink, «è una diatriba obsoleta. Noi vogliamo unire, siamo un esempio di integrazione. Dentro di noi, in società, questo dilemma non esiste. Si parlano tutte le lingue e su questo siamo un esempio. Uniamo le mentalità: la precisione tedesca, la creatività italiana. Mixare è l’arma più importante. Sono fiero di essere altoatesino, o sudtirolese, chiamatelo come preferite. Sono piccole cose, quelle importanti sono altre. A me piace portare avanti le tradizioni, vengo dalla montagna e ne sono fiero, ma sempre con l’intelligenza di cogliere il nuovo e il bello, che ti portano vantaggi dove prima non ve n’erano».
Un altro ragazzo della zona che ce l’ha fatta è Simone Davi. Sono 4 i bolzanini in rosa. «Anche da fuori si inizia a percepire la portata del progetto. Per me è un sogno farne parte. Mi ricordo quando andavo a fare il raccattapalle e mi prendevo qualche sgridata perché ero lento nel rendere il pallone. Ho tenuto duro, senza mollare, e oggi sono qui. A livello di cure siamo avanti anni luce, con le strutture anche. Abbiamo tanti comfort: piscina, sauna, tutto a portata di mano». Gli abbiamo chiesto come convincerebbe un calciatore a venire qui: «Beh… ci sono i canederli. Scherzi a parte, hai qualsiasi strumento per affermarti».
Uno che la scelta di sposare il Südtirol l’ha fatta nelle ultime ore è Hans Nicolussi Caviglia, preso in prestito dalla Juventus: «Ho scelto di venire perché la società è seria e l’ho capito subito in questi primi giorni. La mentalità è quella che mi appartiene, basata sul lavoro, sull’umiltà e sul basso profilo. Sono rimasto impressionato dal centro sportivo. Mi stanno insegnando il tedesco, è la prima volta che ho l’opportunità di vivermi il Trentino Alto-Adige». Una storia particolare, perché Hans è l’unico rappresentante ad alti livelli della Valle d’Aosta, da quando si è ritirato Sergio Pellissier. Dalla montagna alla montagna: «Da noi ci sono poche società, non è semplice. Il rapporto con il calcio è difficile, ci sono molti settori giovanili e gli impianti sono molto belli. I club ci vengono in ritiro, mi ricordo da piccolo quello della Juventus a Châtillon. Di fatto, era un segno del destino». Sì, perché Nicolussi Caviglia è cresciuto in bianconero, e ha esordito nel 2019 in Serie A contro l’Udinese. Faville, fermate da un problema fisico incredibile: «Sono stato fuori 9 mesi. Nell’intervento che avevo subíto dopo l’infortunio erano rimasti il fastfix e una barretta di ancoraggio all’interno dell’articolazione che per mesi e mesi hanno creato infiammazione e gonfiore. Questi corpi estranei non si vedevano dalla risonanza magnetica, erano andati ad incastrarsi nella parte posteriore dell’articolazione. Con Juve le abbiamo provate tutte, ho anche giocato tre spezzoni di partite in questa condizione lo scorso autunno, ma anche solo con una leggera corsa il ginocchio si gonfiava. A fine marzo, dunque, dopo che ogni esame risultava sempre negativo, sperando di trovare qualcosa che giustificasse il problema, abbiamo optato con Juventus per un’artroscopia diagnostica, il quale ha trovato e rimosso quei frammenti rimasti dall’intervento precedente. È stata una situazione talmente incredibile che forse non si può capire fino in fondo cosa significhi senza averne vissuto una simile».
Chi non vede l’ora di giocare la Serie B è proprio il capitano Tait: «Da sempre seguo l’Inter con affetto. Mi incuriosisce andare in stadi come quelli di Cagliari e Genova, dove lo scorso anno scendevano in campo i nerazzurri. Ci sarà sempre la gente a vederci, le televisioni, la pressione che aumenta: da brividi, essendo nato qui a Bolzano vale il doppio». Infine, nel tavolo della hall dell’hotel in cui soggiorna il Südtirol durante questo ritiro estivo, ci ha raggiunti Marco Curto, uno dei migliori difensori centrali dell’ultima Serie C: «Il Südtirol è un’esperienza calcistica unica. Un ambiente diverso dagli altri per organizzazione, contesto e strutture. Sono un napoletano trapiantato qui: beh… vanno a letto prima, ma lo stile di vita del calciatore è lo stesso dappertutto. Mi porterò in B tutto quello che ho vissuto al Milan da ragazzo: mi allenavo con i campioni, vedevo come lavoravano i miei idoli. Spesso era Zapata ad accompagnarmi a casa. L’importante sarà applicare la dedizione di sempre».
Il Südtirol vale la pena, dunque.