Ha saltato soltanto una quarantina di minuti in tutta la Serie B, quest’anno. Sempre in campo pure in Coppa Italia. La stagione da semi-spettatore alla Fiorentina ha fatto maturare il salto di Alessandro Bianco, centrocampista classe ’02 che grazie all’avvio di campionato con la Reggiana si è guadagnato la chiamata della Nazionale u-21. La prima volta con gli Azzurrini: «Ci speravo… so che tra i convocati ci sono tanti ragazzi che giocano in Serie A, ma dopo questo inizio di stagione ci credevo un po’ di più».
Da piccolo giocava nel Torino, che però lo bocciò: «Piansi per quel no». Ma dalle lacrime trovò l’occasione per crescere insieme agli amici, scoprendo nel Chisola «il posto in cui condividere due anni incredibili tra i dilettanti, eravamo forti e volevo solo divertirmi, non avevo nessun piano per diventare professionista». Nel 2018 ha firmato con la Fiorentina, che lo aveva notato tra i campi piemontesi, e in viola ha vinto tre Coppa Italia Primavera e una Supercoppa Primavera. In panchina, il primo dei tre allenatori che lo hanno cambiato: «Aquilani vuole giocare a calcio. Nelle prime 5 o 6 partite non abbiamo mai vinto, prendevamo anche gol ingenui, ma ci divertivamo un sacco nel provare a essere propositivi. Poi abbiamo fatto lo switch e iniziato a performare». Perché è bello giocar bene, «ma vincere è importante!».
Il secondo, quello che più lo ha plasmato, è Vincenzo Italiano. Bianco ha scelto di rimanere un anno alla Fiorentina nonostante avesse già 20 anni, senza provare subito l’esperienza in prestito una volta uscito dal settore giovanile. «Tornando indietro, è stata una scelta giusta che rifarei. Come quella di andare nei dilettanti dopo il Torino», perché Alessandro le ha ponderate tutte prima di agire: «Il salto è stato clamoroso e Italiano pretende tantissimo. Quando finisci una stagione con lui, sei mentalmente scarico. Però ti dà tanto e incide sulla tua carriera: l’ha svoltata a tanti, guardate». C’è una richiesta in particolare su cui lo martellava: «Concentrazione! Voleva incidere sulla mia costanza, mi ripeteva che dovevo essere concentrato per 90 minuti su tutto, dai duelli aerei alle seconde palle, senza poter sbagliare. Con lui i calciatori finiscono la gara esausti a livello mentale, perché devono mantenere l’asticella altissima nell’arco della sfida».
Come quando contro il Sivasspor in Conference League, un tifoso avversario è entrato in campo e ha colpito Bianco con un pugno dopo una rete subita: «Mamma mia che cartella che mi ha dato, follia!». Italiano si è assicurato che stesse bene e gli ripeteva «mi raccomando, se te la senti di rientrare in campo stai calmo, non fare cavolate!». Per il centrocampista è stato un momento scioccante dato che «mi ero accorto che aveva scavalcato la tribuna con la coda dell’occhio, ma mai avrei pensato che sarebbe finita così». Adesso ci rido sopra.
Quest’anno tra i grandi della Fiorentina si sta affermando anche Kayode, con cui Bianco ha condiviso le vittorie in Primavera: «Sono il primo a credere in Kayo e lui lo sa, ma se dicessi che mi aspettavo questo exploit… sarei un bugiardo». Uno da cui invece ha imparato è Bonaventura: «Giocatore totale, di Jack mi andrebbe bene rubare anche un quarto. Gli ho scritto per fargli i complimenti dopo la convocazione in Nazionale». Maglia azzurra che adesso vestirà pure lui. In ogni rifinitura, poi, era d’obbligo la sfida con Cabral: «Ci sfidavamo ogni volta ai rigori, e ogni volta vinceva lui. Saldavamo ogni 6 mesi, mi è sempre toccato pagare!».
Adesso alla Reggiana c’è il terzo uomo che lo sta consacrando: Alessandro Nesta, un mister che «vuole giocare e che mi sta dando consapevolezza, anche quando sbaglio riesce a darmi una parola positiva». Non può ricordarselo per vincoli d’età, ma «sto recuperando tutti i suoi aneddoti in prima persona». Finalmente ha spazio e sta accumulando minutaggio: «Soprattutto, rispetto allo scorso anno, mi sto misurando con le pressioni e le difficoltà di avere tante partite ravvicinate». Ma dalla Serie A si porta gli insegnamenti di uno spogliatoio fatto di calciatori affermati, dinamiche extracalcistiche comportamentali e… «perché no, un po’ di sano nonnismo». Sorride e prosegue, dal ritiro dell’u-21 a Tirrenia: «Se ripenso alla finale di Coppa Italia contro l’Inter, c’era un’atmosfera da brividi. Facevo fatica a restare in piedi».
Adesso la Nazionale e guarda avanti: «Mi dicono che devo migliorare fisicamente. So che non diventerò mai Adama Traoré, ma lo sto sviluppando in base alle mie caratteristiche». Il suo modello di riferimento è Barella: «L’ho incrociato il giorno della mia prima panchina in Serie A, il mio unico obiettivo era prendere la sua maglia. Gliel’ho chiesta, non pensavo che volesse la mia. Ero titubante perché era la mia prima in A… ma alla fine gliel’ho data». Bianco è uno che vuole la palla tra i piedi e giocare. Fino a ora nella Reggiana è stato protagonista, vincendo anche il premio del Club come giocatore del mese di settembre: «Spero di continuare così e fare il salto».