«Un record che non posso dimenticare è che sono stato il più picchiato in Europa per due anni consecutivi, con tipo 350 falli subiti». Mai banale, ‘Alino’ Diamanti decide di approcciare così l’intervista sul canale Twitch di Cronache di spogliatoio. «Ma nello stesso periodo – aggiunge subito – ero anche l’italiano che ne dava di più. I miei allenatori finivano sempre per dirmi ‘Sei l’unica mezza punta che picchia più di un mediano’». Del resto, spiega, «quando cresci tra interregionale e Serie C, devi saperti difendere. Ho preso botte, cazzotti, schiaffi, sputi. Poi ero uno che parlava molto, mi picchiavano anche per quello. Ma una volta arrivato in A, non avevo più paura di niente e nessuno. L’esordio in A mi è sembrato più facile della C2: ti picchiano meno, sei più tutelato. Se hai la qualità e sei abituato alla gavetta nelle categorie basse, è tutto più semplice, arrivato in alto, è tutto meglio».
Visualizza questo post su Instagram
Diamanti e Baggio
«Quando ho incontrato Roberto Baggio a Bologna per la prima volta gli ho detto ‘Ciao, sono Alino Diamanti, non mi conosci ma io ti devo abbracciare, anche se non vuoi’. L’ho fatto: sono stato 2 minuti a stringerlo» racconta il fantasista che oggi incanta l’Australia con la maglia del Western United.
Le punizioni
«In Nazionale, quando Pirlo mi lasciava le punizioni mi diceva ‘Ok, battila tu, ma devi far gol. Io da qui farei gol’. Giusto per metterti un po’ di pressione. Della serie, se sbagli questa, basta, non te ne lascio più una. Una volta a Londra me ne fece calciare una e io l’ho messa all’incrocio, proprio sui legni, mi guarda e fa ‘Oh ma non segni mai, eh’. Pirlo ha sempre avuto un sarcasmo incredibile. Anche con Zola facevo le sfide sulle punizioni quando ero al West Ham. Vincevo solo perché lui ormai aveva smesso da tanto tempo e non aveva più i flessori, non aveva più la forza».
L’inter e la chiamata di una big
«Un giorno Moratti mi chiamò per dirmi ‘Ti voglio qua, sei il nuovo Recoba, devi giocare per noi’. Mi son detto ‘Oddio, è fatta’, poi è arrivato Mou, gli dissero che volevano prendere Alino Diamanti e lui rispose ‘Chi?’. Non ho mai forzato la mano per andare un una big. Quando ero al Bologn, c’erano Milan, Inter e Juve che si erano interessate a me, in particolare Conte mi voleva in bianconero, poi parlando con Marotta lui disse delle cose che non mi sono piaciute. Ero troppo impulsivo e dissi che non mi interessava più. A 40 anni (che compirà a maggio, ndr) posso dire che alcune cose le ho sbagliate in carriera, ma ho sempre seguito i miei principi e i miei valori, è qualcosa che mi ha sempre contraddistinto».
La Nazionale
«La prima volta che mi ha convocato Prandelli è stato bellissimo. Anche arrivare in Nazionale è frutto di scelte forti: ero al West Ham, ero un idolo indiscusso, ma tornai in Italia, al Brescia, perché Lippi che allora era il c.t. azzurro mi disse che giocando in Inghilterra non riusciva a giudicare le mie prestazioni. Alla fine fu una chiamata importante, perché avevo sempre sognato di fare tutte le categorie e finalmente arrivare in Nazionale. Prandelli mi ha sempre considerato uno importante, nonostante non giocassi in un top team. Abbiamo sempre avuto un rapporto sincero e schietto. Anche quando andai in Cina e non mi convocò più».
Il carattere
«Il calcio non è solo tecnica, ma quanto vuoi le cose, quanto combatti e io sono sempre stato esigente coi miei compagni, perché in campo ho giocato anche con gli stiramenti e le caviglie sfondate e quando vedevo i miei compagni non dare tutto a livello energetico, di impegno emotivo, allora intervenivo, anche in maniera forte, per fargli tirare fuori il meglio».
Gli allenatori a cui è più legato
«I ‘miei’ mister, sono due: il primo è Pierpaolo Bisoli, che per me è stato più che altro un fratello maggiore. Quando tornai in C2 al Prato, perché in B all’Albinoleffe non giocavo, c’era lui e mi disse ‘Non smetterò di allenare fino a quando non ti farò giocare in Serie A’. è stato il primo a darmi completa fiducia anche quando facevo cazzate… e a quel tempo ne facevo. Il secondo è Pioli, mi fece giocare con regolarità in A con Ramirez e Di Vaio, trovò la posizione giusta per farci giocare in maniera ‘illegale’».
«Il Pioli di Bologna non è quello del Milan di ora, anche gli allenatori crescono e si evolvono. A suo tempo lui era un ‘equilibratore’, ti diceva cose semplici, ti dava quella ‘ignoranza’ mista a qualità che ti permetteva di essere libero e sentire il bisogno di dare il massimo in campo per la squadra».
«Per quanto riguarda i presidenti sono riconoscente ad Aldo Spinelli, che a Livorno mi ha portato dalla C2 alla A. Un personaggio incredibile, cambiava la formazione e le tattiche agli allenatori, interrompeva le sedute per dare le sue idee, storpiava tutti i nomi. Entrava sempre negli spogliatoi pre-partita, una volta, entrando, vide Bogdani con addosso delle scarpe blu: ‘Tu chi sei? Tu non giochi, le scarpe blu portano male’. Le ha dovute togliere. Una volta, era un periodo in cui facevo 1 gol e 2 assist a partita e non voleva farmi giocare perché sul lettino dei massaggi, cinque minuti prima del match, secondo lui ero steso in una posizione che nei tarocchi porta sfortuna. Gli ho detto ‘Presidente, ma vuoi litigare?’»
Il primo ritiro
«Per il primo ritiro in Serie A mi tagliai i capelli e mi compari l’abito buono, per presentarmi in un certo modo. Feci un ritiro ‘della Madonna’, tutti si chiedevano ‘Oh, ma chi è questo?’, mi presero tutti in simpatia. Da lì in poi ho fatto come volevo e mi son fatto crescere i rasta».
L’eredità di Alino
L’unica pressione che puoi sentire, è quella verso te stesso. Anche a 40 anni voglio imparare, se sento di non competere coi miei limiti, se sento di non mettere il mio io in discussione, di non imparare qualcosa di nuovo, non sto bene. Per il futuro, voglio studiare per diventare un allenatore, ma non solo. Umanamente ho già gestito gli spogliatoi, ora devo poterlo fare a livello tecnico. Devo conoscere cose nuove per poterlo fare».
«Non ho avuto una carriera da copertina, non ho vinto tanti trofei, ma ho ottenuto tutto quello che volevo con la mia testa, con grande libertà, non scendendo a compromessi con nessuno: la mia più grande vittoria. Ridi e scherza, ho fatto 600 partite coi professionisti e non ho debiti con nessuno. Sono stato sempre il capitano della squadra, mai dei tifosi, dell’allenatore o del presidente. Sono sempre stato un calciatore».
La squadra ‘perfetta’ per il calcetto
«Per vincere un torneo di calcetto, sceglierei Gillet in porta, dietro Barzaglione e si va sereni, in mezzo al campo Diego Perez a stoppare i problemi e Mudingayi. Con questi quattro e Alino davanti se c’è una lite si vince sicuro, non so con la palla come andrebbe a finire».