Andres Escobar è una leggenda del calcio colombiano. Cresciuto e affermatosi nell’Atletico Nacional, ha vinto 2 campionati colombiani e 1 Coppa Libertadores da assoluto protagonista. In Nazionale era un titolare nei Mondiali di Italia ’90 ed era stato convocato anche per USA ’94. Dopo la sconfitta a sorpresa all’esordio contro la Romania, la Colombia perse anche la seconda gara contro i padroni di casa degli Stati Uniti a causa di un suo autogol e venne eliminata.
Il 2 luglio 1994, a pochi giorni dalla sconfitta contro gli USA, Andres andò a cena in un noto ristorante di Medellin con la moglie. All’uscita è atteso da un gruppo di uomini che iniziano ad aggredirlo e insultarlo per la sua prestazione contro gli Stati Uniti. In pochi secondi la situazione degenera e un’ex guardia del corpo, Humberto Munoz Castro, lo crivella a colpi di mitragliatrice. Dietro l’omicidio di Escobar si nascondono storie clamorose, che solo la Colombia dei primi anni ’90 può purtroppo regalare.
Andres Escobar Saldarriaga era un idolo dei tifosi dell’Atletico Nacional, la squadra di Medellin, una città a 240 km a nord di Bogotà. A differenza di quasi tutti gli altri calciatori, proveniva da un ceto sociale medio alto. Era fidanzato con una dentista, Pamela Casals, e stava meditando di raggiungere per qualche tempo una squadra europea. Ma poi voleva tornare: Medellin era la sua città e quello era il posto dove intendeva passare la gran parte della sua vita. Il suo errore fu soltanto il culmine di un Mondiale nato nel terrore e finito malissimo. Riallacciando con cura tutti i fili, la fine di Escobar si può dire che in qualche modo è annunciata. Alle 11 del mattino del 22 giugno, cinque ore prima della tragica sfida con gli Stati Uniti, giunge nell’hotel di Fullerton un fax anonimo: «Se Gomez gioca faremo saltare in aria la sua casa e quella del et Maturana». L’allenatore riunisce la squadra e si decide ad estromettere il centrocampista. Gomez tornerà in patria, distrutto. Era diventato il capro espiatorio di una situazione paradossale e tragica. Gabriel Gomez, 34 anni, era stato descritto dalla stampa colombiana come il responsabile unico della sconfitta all’esordio contro la Romania. I critici avevano lavorato su un terreno minato. Gomez infatti aveva un fratello (Hernán Darío Gómez) che era il vice di Maturana. Di Gomez i media colombiani scrivevano e dicevano che giocava solo perché era un “favorito”. Il cartello di Medellin colpendo Gomez in verità voleva colpire il ct. E c’è tutto un pesante retroterra di sospetti sull’interferenza del cartello trionfante dei narco-trafficanti, quello di Cali, sul calcio colombiano, dopo anni di dominazione del cartello di Medellin, quello di Pablo Escobar, il signore della droga che aveva contribuito alle fortune del suo club, l’Atletico Nacional (arrivato ad una finale di Coppa Intercontinentale con il Milan a Tokyo e battuto solo ai supplementari, dopo una grande prova, fra l’altro, proprio di Andres Escobar).