«Non posso permettermi di mollare, pochi calciatori escono da un contesto come Scampia. Ho perso mio padre molto presto e da allora gioco per mia madre, poi per mia moglie e le mie bambine e ora anche per tutti i ragazzini che vengono da situazioni come la mia, per i quali sono diventato un esempio». Armando Izzo è stato ospite di Cronache di spogliatoio per raccontare la sua vita e la sua carriera e, come sempre quando parla, è riuscito a emozionare chi ascolta. Oggi a 31 anni e sta dando tutto con la maglia del Monza. «Non avendo avuto troppe certezze, essendo cresciuto da solo, con alcune paure, ora non posso mollare perché ho delle responsabilità che mi porto dietro. Questi doveri però mi motivano, mi fanno ricordare da dove vengo e quanto sia stato difficile. Non posso perdere tutto questo». Ecco alcuni estratti dell’intervista.
Armando Izzo e i campetti di Scampia
«Quando giocavo a Scampia ero quello con più qualità e in tantissimi hanno iniziato a ‘proteggermi’ e spronarmi ‘Armà, ti devi impegnare, non devi mollare’. Ero circondato da persone che, nonostante tutto, avevano un cuore enorme ed è grazie al loro aiuto per non farmi uscire dalla strada giusta che sono riuscito a diventare quello che sono oggi. Mi hanno protetto in tante piccole cose, per non farmi sbagliare: mi dicevano di non fumare, di non andare troppo in discoteca o se ci andavamo tornavamo presto. Mi tenevano accesa la lampadina sul calcio con questi che sembrano dettagli ma poi sono l’unica cosa che ti fa fare la differenza».
Nella prima scuola calcio è entrato a 13 anni: «Prima ho sempre e solo giocato per strada. Ho ricordi bellissimi di quel periodo: in tarda serata prendevamo i motorini e andavamo nella galleria dei Quartieri Spagnoli, che a mezzanotte chiudeva. Mettevamo i sacchi della spazzatura come porte e giocavamo fino alle tre di notte. Sono queste le esperienze che ti fanno crescere e che ti porti in campo per tutta la vita. Quella malizia che ti aiuta e che aiuta tutta la squadra a vincere le partite».
La scomparsa del padre
«Mio padre era un ‘magliaro’, vendeva biancheria ai mercati e girava per tutta la regione e oltre, ogni volta che tornava a casa mi portava sempre un pallone diverso, della Roma, dell’Inter, del Milan… quando tornava, fischiava e scendevamo da casa io e i miei cugini e giocavamo per ore. Lui si metteva in porta, io con le scarpe nuove da 70 euro subito a rovinarle con mia madre dal balcone che mi sgridava».
«Mio padre ci ha lasciato che aveva 29 anni, in 3 mesi, per la leucemia. Siamo rimasti io, che avevo 10 anni, mia madre di 27 e i miei fratelli di 7 e 9 anni e l’ultimo appena nato. Ci è cascato il mondo addosso e in quei momenti o subisci o reagisci, mia madre ha scelto di reagire: lavorava per 6/7 euro l’ora, il più possibile, così ho imparato cos’è il vero amore. Tanti bambini, dove sono cresciuto, vivono questa realtà. Io sono stato fortunato perché avevo l’esempio di mia madre e a mia volta sono diventato genitore molto giovane. Ho conosciuto mia moglie a 14 anni e a 16 abbiamo avuto la prima bambina, questo mi ha permesso di ragionare già da adulto, mi prendevo cura della mia famiglia, cucinavo per mia madre e i miei fratelli la zuppa di latte, che era il nostro pasto la mattina, a mezzogiorno e la sera. Sono cresciuto in fretta e questo mi ha salvato, ho capito che dovevo concentrarmi sul diventare un calciatore professionista… sono stato fortunato e ce l’ho fatta. Ma solo quando ho comprato casa a mia madre mi sono sentito davvero realizzato».
Il rapporto con Mazzarri
«Voglio davvero bene a mister Mazzarri, ha fatto cose importanti per me come comprarmi le scarpe nuove appena arrivai al Napoli. Sembra una piccola cosa, però è un gesto che non ha prezzo per come la penso io. Quando ero al Genoa, mi ha chiamato per andare al Torino e ho subito accettato, volevo ricambiare quello che lui aveva fatto per me anni prima. Insieme abbiamo fatto quella straordinaria stagione da 63 punti. Ci incontriamo ancora con le nostre famiglie, siamo rimasti molto legati. Quel Torino aveva un gruppo pazzesco, solo a Monza ho ritrovato qualcosa di simile, l’ho detto ai ragazzi: solo i grandi gruppi fanno grandi campionati».
«L’anno che ci siamo qualificati in Europa col Torino l’Inter mi voleva, ma ormai avevo legato il cuore al Toro e alla fine ho rinnovato». Comunque, ha ammesso Izzo sorridendo durante l’intervista con Cronache di spogliatoio, «non ho mai capito bene come vadano le trattative tra club e agenti. Dopo quell’anno al Toro, settimi in campionato, dopo che avevo fatto 4 gol in A e 2 ai preliminari in Europa, leggevo ovunque interessamenti per me, ma non vedevo proposte concrete, allora sono andato al mio agente e gli ho detto ‘Ma scusa, com’è possibile che non ci sia una squadra?’. Guarda Bremer, decimo in campionato col Toro e con 4 gol, va alla Juve. Poi però, una volta rinnovato col Toro ero felice».
La missione ‘Monza’
«Quando il Toro non mi ha rinnovato all’ultimo mi è crollato il mondo addosso, ma sono arrivato a Monza con una voglia di rivalsa incredibile» ci ha raccontato. «Durante la trattativa a Galliani ho detto che ero lì per lui, per la sua storia incredibile. Quello che ha fatto lui nel calcio, lo hanno fatto in pochi. Mi ha dato fiducia nonostante non avessi giocato molto e ora voglio ripagarla. Ho aspettato fino all’ultima ora di mercato, Galliani mi diceva: ‘Tu sei uno che ha le palle’. Ora al Monza, quando esulto penso: ‘Ce l’ho fatta ancora una volta’: mi davano per morto, si sbagliavano».
Il futuro di Palladino
Secondo Armando Izzo il suo tecnico, Raffaele Palladino arriverà presto in una big. Promosso in prima squadra a settembre al posto di Stroppa, ha cambiato volto al campionato del Monza tirandolo presto fuori dalle zone pericolose. «Ha tre doti umane incredibili: è intelligente, molto umile – sa ascoltare tutti – ed è sveglio. Queste tre doti ti aiutano tanto e poi fa giocare bene la squadre e sa quando adattarsi all’avversario e quando no. Gli auguro il meglio, se lo merita tutto. È arrivato con grande umiltà, dicendo che nonostante fosse giovane, potevamo fare qualcosa di bello. Dà importanza a tutti, fa molte rotazioni, fa sentire tutti importanti. Quando c’è un allenatore così, non puoi non dargli tutto in campo».
Tutto per la propria squadra
«Oggi mi fischiano tantissimi stadi, stanno iniziando ad ‘odiarmi’. Io però penso solo a salvare il Monza, non mi interessa il resto. Magari sono antipatico in campo perché sono scaltro e faccio cose per perdere un po’ di tempo o innervosire l’avversario, ma non importa, darei tutto per il Monza. Del calcio di strada mi porto la furbizia, la malizia. Quella o ce l’hai dentro oppure non puoi impararla».
«Ci metto sempre tutta la girano possibile, ma ora col Var devo stare più attento. Prima per un difensore era più semplice, ora ragiono sempre quando devo fare un intervento duro per non esagerare. Essendo istintivo, prima ci pensavo di meno, adesso sono migliorato molto… ma ancora oggi sulle palle ‘mezza e mezza’ o la prendo io o non la prende nessuno».
Izzo e la Nazionale
«Di tutto questo percorso – ci ha confidato Izzo – il momento più emozionante è stato indossare la maglia della Nazionale: era bellissima. Un sogno che si coronava, qualcosa di grande, la sensazione di poter dire ‘Ce l’ho fatta’».