Grazie a Nike, Cronache di Spogliatoio ha avuto l’opportunità di intervistare 3 coppie formate da un campione del Mondo e da un talento della Nazionale di oggi. Un giovane del presente che incontra il proprio idolo. Il secondo contenuto realizzato – dopo quello con Gianluca Mancini e Marco Materazzi – è stato quello insieme ad Alessandro Bastoni e Andrea Barzagli. L’ex difensore è stato per anni perno della Juventus e della Nazionale Italiana: la sua esperienza al servizio di uno dei più talentuosi giocatori difensivi del nostro calcio.
L’EVOLUZIONE DEL DIFENSORE – «Rispetto a prima, quando si giocava prevalentemente a uomo, è chiaro che il compito del difensore sta cambiando. Saper giocare il pallone è qualcosa in più che dà valore al difensore, poi c’è chi è talmente bravo a essere un punto di forza nell’impostazione di squadra e chi può fare diversi lanci o assist. È sicuramente qualcosa in più, ma io sono vecchio stampo: il difensore per prima cosa difende, poi il fatto di saper giocare a calcio ti dà l’opportunità di essere in squadre blasonate perché vuol dire che oltre a essere bravo difensivamente, sei bravo in impostazione e di conseguenza il livello è molto più alto».
LA PRIMA VOLTA CON LA DIFESA A 3 – «Se mi ricordo il primo allenamento in cui abbiamo provato la difesa a 3? Lascia stare, lascia stare, è stato un dramma. Anche perché sia io che Bonucci e Chiellini eravamo tutti abituati a giocare a 4. Tutti centrali. Leo alla fine è rimasto centrale e gli è cambiato poco, io e Giorgio un tantino nel corso degli anni ci siamo modificati per quel ruolo lì. Non si difende meglio a 3 che a 4, non è vero. In tanti dicono ‘Mi metto a 3 e poi a 5 che difendo meglio’: a 3 se non sai difendere lasci degli spazi enormi, quindi sono anche le caratteristiche dei giocatori a scegliere il modulo. Ci sono anche alcuni che sono proprio dei difensori centrali a 4 e fanno fatica a giocare a 3, altri hanno altre caratteristiche e riescono a fare sia l’uno che l’altro. A 3 le prime volte con Conte è stato molto strano, quella di Gasperini l’ho provata da avversario e devo dire che è un caos. Certe volte difendi e dici: ‘Ma quanti sono in area’, e sono 7 o 8 e ti chiedi come mai. Attaccano, difendono. Ti crea un po’ scompiglio. Con Gasperini devi essere forte fisicamente, atletico. Ne servono di caratteristiche».
PREPARAZIONE– «Arrivare sul finale di partita e avere ancora gamba è grazie ad allenatori che chiedono tanto alla propria squadra fisicamente. Gasperini mi hanno detto li fa allenare molto di più di Conte. Io Conte ce l’ho avuto: come lui non ce n’è. Avevo detto ‘Per fortuna non ho mai incontrato Gasperini’, perché mi avevano detto peggio. Con Allegri i carichi erano minori rispetto a Conte. In confronto ai campionati esteri abbiamo un’altra mentalità, abbiamo preparazione e corsa a secco, invece all’estero molte partitine e magari più ritmo rispetto all’Italia. Sono cose differenti, magari uno si deve solo ambientare. Quando sei giocatore ti adegui abbastanza facilmente, chiaramente il primo impatto è un po’ tosto».
LE ABITUDINI DI DANI ALVES – «Io mi sono evoluto, da giovane ero sempre molto concentrato e poi piano piano mi sono accorto che noi italiani abbiamo questo momento prima della partita dove c’è chi ascolta musica, chi è molto concentrato. Mi sono accorto che non è determinante questa cosa: ognuno ha il suo modo per concentrarsi. Ogni tanto scherzare e stemperare il momento fa bene. Poi sono arrivate colonie di sudamericani che hanno iniziato a mettere la musica, ma devo dire che se ti vuoi isolare, in uno spogliatoio ci riesci. Ti metti con le tue cuffie, te ne vai da una parte. Se invece vuoi stare in mezzo alla musica ci stai, dove loro ridono e scherzano, riescono ad avere questo on-off che staccano e attaccano, appena sono in campo sono subito concentrati. Abbiamo avuto un po’ di problemi con Dani Alves perché lui metteva la musica a palla, era abituato al Barcellona e dicevano che è una cosa che succede spesso. Ma anche in Inghilterra le squadre hanno la musica forte prima della partita. A un certo momento gli avevano detto ‘Guarda Dani, scusa ma qui c’è chi vuol stare concentrato e chi meno’, e quindi si metteva la musica a palla nelle cuffie e ballava da solo. Poi alla fine entrava in campo e lo vedevi che era uno dei più concentrati. La cosa è molto soggettiva».
ATTEGGIAMENTO – «Il professionista esemplare al fischio d’inizio ma con l’approccio più leggero e spensierato che abbia mai trovato in carriera è Dani Alves. Al di là di come si faceva vedere dall’esterno, era una persona molto concentrata in campo. Ne trovi tanti, però è meglio viverla così che viverla di tensione, che vedi la gente super-concentrata che poi entra in campo e ha già fatto mezzo tempo da quanto è concentrata. Ognuno è fatto suo modo».
IN RITIRO – «Ho visto veramente i mostri nei primi ritiri, che ancora andavamo in montagna. Adesso la Juventus non li fa quasi più i ritiri, va subito a giocare in tournée, ma in montagna al mattino e il pomeriggio… la gente dormiva da tutte le parti, vedevi che si appoggiava. Però te lo ritrovi: quando vai più degli altri vuol dire tanto. Sono stato per 2 anni in camera con Padoin ed è un ragazzo educatissimo, poi abbiamo iniziato a stare tutti da soli alla Juventus. Prima si usava di più avere il compagno. Anche in Nazionale succedeva spesso. Sai come funziona, anche se sei in camera da solo ti ritrovi nella stanza di uno e sei lì in 4 o 5 a dire due cavolate. Se sono un giocatore da Playstation? No, zero».
MENTALITÀ – «Bastoni sta già vivendo in un ambiente di alto livello con una società che ha vinto e che ha storia. Per rimanere a questi livelli, se ci arrivi giovane, l’unico errore che puoi fare è fermarti e pensare di essere al top. Per mantenere quei livelli devi aumentare sempre di più il lavoro. Quando uno è così giovane in una squadra del genere vuol dire che è già un calciatore di livello. Ma non si deve fermare. Io invece ho fatto l’inverso: sono partito più dal basso e ho avuto una mentalità mediocre in quegli anni, per il semplice fatto che ero un giocatore bravo ma con una mentalità molto piccola, mi stava bene giocare in quell’ambiente lì. Poi ti accorgi in certe squadre che devi giocare per vincere, devi avere personalità e voler essere protagonista, voler trionfare. Questo lo puoi provare solamente quando ci arrivi. Lo fai tramite il lavoro. Sono stato fortunato ad arrivarci dopo Wolfsburg in un periodo non felice per la Juventus. E poi è cambiato tutto. Quando sei giovane e arrivi in Serie A… troppe volte vedo ragazzi che si adeguano all’ambiente e gli piace. Non hanno aspirazione, non hanno quella volontà di dire: ‘Voglio arrivare a essere uno dei più forti’. Questo fa la differenza, ci sono altri che sono meno bravi ma hanno una mentalità veramente da numeri uno e quando giochi a certi livelli, in Champions League o in Nazionale, la devi avere».
EVOLUZIONE DEL GIOCO – «Adesso tendenzialmente è cambiato anche il gioco. È un gioco più veloce e, ultimamente, secondo me, anche in Italia siamo molto predisposti a giocare a calcio. Quando inizi ad avere giocatori che vogliono giocare sempre la palla, i difensori si devono adeguare. E poi migliorare, perché tutti possono migliorare. Anche per giocare da dietro, se trovi un allenatore come Conte, che ti spiega bene come uscire ed essere organizzato. Si parla sempre di aprire la visuale degli occhi che magari a volte non ce l’hai molto aperta perché sei con la testa bassa. I passaggi ce l’hai perché se uno è bravo e te li sa impostare, si tratta di fare un passaggio di piatto che in teoria in Serie A difficilmente uno può sbagliare. Poi chiaramente le difficoltà aumentano se sei sotto pressione e le squadre sono chiuse o ti pressano. Questa evoluzione di dover giocare a calcio fa sì che il difensore se vuol stare in una grande squadra deve adeguarsi e saper giocare».