Così testardo che una volta venne punito. «Ah si? Non vuoi allenarti? Allora domani porti le borracce a tutti». E lui zitto. La storia di Beto inizia così, con il musone, lo sguardo torvo e la testa bassa mentre esce dagli spogliatoi, a un tiro d’esterno dal tram 28: punta di peso dell’União de Tires, squadretta tra Cascais e Lisbona, più vicino alla punta estrema dell’Europa che a Praça do Comércio. «Era alto, secco e scalmanato». Parola di Luis Lopes, il primo allenatore del bomber dell’Udinese, 27 partite e 11 gol in Serie A. Contro il Cagliari ha segnato la prima tripletta italiana. «Ne ricordo un paio al Tires. Per affinare la tecnica lo facevo palleggiare con una pallina da tennis, poi gli promettevo dei regali». Esempi. «Una merendina per ogni esercizio corretto. Fisicamente era una bestia, doveva solo migliorare la qualità».
Il discorsetto in spiaggia
A 13 anni lo nota il Benfica, ma non è cosa: «Non era pronto, ma come si fa a rifiutare un club del genere? È stato al posto giusto nel momento sbagliato. I compagni lo sfottevano perché non era al loro livello, così rimase isolato. Sa come sono i ragazzi. A fine anno chiese al presidente di tornare a Tires». Incontro da romanzo. Il discorsetto avviene a venti metri dalla spiaggia, in estate, un’ora di chiacchierata sotto il sole con Beto in costume e il ‘pres’ in pantaloncini corti. I due parlano, gli amici del bomber attendono. «Gli dissi che sognare di fare il calciatore non bastava – ha raccontato – Doveva disciplinarsi e tirare fuori la personalità. Gli consigliai di avere gli occhi della tigre e di dimostrare ogni giorno il suo valore. Mi ascoltò».
«Basta, vai a letto presto»
Come ha ascoltato Luis: «Lo convinsi a cambiare in modo netto la mentalità, lo stile di vita, l’alimentazione, l’approccio agli allenamenti. Feci leva sul suo orgoglio». Il discorso fu più o meno questo: «Basta serate, vai a letto presto. Arriva primo al campo e lascialo per ultimo. Così diventerai grande». E Beto ascolta, cambia: «Doveva imparare a sacrificarsi, così gli imposi di riempire le borracce. ‘Se sono vuote non giochi’. E lui si comportò con umiltà. A un certo punto ci siamo anche chiesti dove fosse finito, poi spuntò con le borracce piene. Beto è cambiato lì». Merito di un tecnico testardo e di un presidente amico. Luis e Fernando l’hanno riportato in campo. A 16 anni, per guadagnare due soldi e non essere un peso in famiglia, Beto ha lavorato in un Kfc vicino casa. «Si era stufato del calcio, così si mise dietro il bancone a prendere le ordinazioni».
Il primo stipendio
Cappellino rosso e divisa d’ordinanza. Alcuni clienti lo scambiano per un giocatore di basket, lui risponde che in realtà fa l’attaccante. Ma non ci crede più. «I libri non erano i suoi migliori amici, doveva contribuire all’economia di famiglia, dal pallone non guadagnava nulla». Non ancora. «Nel 2018, a vent’anni, ha iniziato a ricevere il primo stipendio con l’Olimpico do Montijo in terza serie». Il resto è cronaca: 21 gol, la chiamata del Portimonense, un anno di apprendistato e poi l’Udinese.
Macchine e consigli
Nel mezzo la passione per le auto. Luis sorride: «Dopo aver preso la patente si era fissato con le macchine di lusso, parlava solo di Mercedes, Bmw, Ferrari. Ogni tanto guidava la Peugeot del presidente per divertirsi. Ora facciamo il tifo per lui, alla fine le strigliate gli son servite. Se penso a Beto mi viene in mente un gigante dalle gambe lunghe che contrastava chiunque». A Portimão lo chiamavano l’Haaland portoghese. Merito di un gol in rovesciata con contro il Tondela in prima divisione. «Piano con i paragoni, ma se gli date un pallone lui lo butta dentro». I rimproveri hanno fatto scuola.