La Serie A ha rischiato di non vedere Bremer per colpa di Verissimo. Che non è il talk show della Toffanin, ma il centrale brasiliano del Benfica. Andò più o meno così: estate 2018, Petrachi appunta sul Block notes un paio di difensori giovani, di prospettiva, brasiliani. Verissimo somiglia più a Bonucci, imposta e crea gioco, Bremer a Chiellini, perché ti sta addosso e non ti molla. Con lui respiri poco, ti muovi anche meno. Vedi Scamacca in Sassuolo-Torino.
Che affare
Consigli scherza – «Bremer ti ha seguito anche a casa?» -, Gianluca risponde: «Sì, sta a pranzo con me». Gleison è questo, un mastino, e arriva a Torino perché Verissimo costa un paio di milioni in più. Petrachi fiuta l’affare e ne sborsa otto, 4-5 in meno di Lucas. «Non è mai stata una seconda scelta». Forse l’avrebbe preso lo stesso. In fondo era volato un paio di volte in Brasile per vederlo dal vivo, quando Gleison giocava nell’Atletico Mineiro e già stoppava le punte. Oggi è uno dei difensori migliori della Serie A. Ha 24 anni, ha segnato 2 gol in 21 partite e lo cercano tutti. A giugno si aprirà un’asta.
Nella fattoria
Se Bremer è diventato calciatore lo deve a un pizzico di fortuna. Suo padre ha giochicchiato un po’ tra i dilettanti, faceva il difensore, gli dicono ancora che era più forte del figlio, poi si è comprato una fattoria. Gleison gli dava una mano ogni tanto, nel pomeriggio, badando agli animali tra un palleggio e l’altro: «Vitelli, mucche, maiali, galline. C’era di tutto. Non mi ha mai fatto mancare niente». Neanche i consigli giusti. Un amico di famiglia fa il procuratore, papà si accorge che il figlio ha qualcosina in più e gli manda un messaggio: «Riesci a trovare una squadra a Gleison?». Lui cerca, scava, chiama. Trova. Lo contatta il Desportivo Brasil di Porto Feliz, nello stato di San Paolo. Gioca e vince un paio di campionati giovanili. Uno dei suoi primi allenatori dice che si «butterebbe nel fuoco, visto il coraggio che ha». Uno dei suoi compagni è David Neres, oggi allo Shakhtar Donetsk. A vent’anni lo prende l’Atletico Mineiro. Il resto è storia granata.
Meticoloso e freddo
Il primo match da titolare arriva dopo tre mesi di panchine. Torino-Sudtirol in Coppa Italia, 2-0 e ottavi conquistati. Bremer gioca pulito, non sbaglia, ma vuole di più. Mazzari gli dice di stare calmo. Che il calcio italiano va capito e non vuole bruciarlo. Sirigu usa toni più forti per il suo bene: «Sta zitto e lavora, vedrai che i risultati arriveranno». E infatti è così: la prima gara dal 1’ in Serie A arriva nel derby con la Juve, maggio 2019, 1-1. Bremer gioca da 7 per 85 minuti, poi si perde Ronaldo in marcatura e i bianconeri pareggiano: «Avrei potuto dovuto fare di più». Perché lui è uno tosto, meticoloso. Uno che se si dimentica un dettaglio si intristisce. Poche emozioni in campo – «sono un tipo molto freddo» -, di più fuori, con la moglie Deborah. I due si conoscono fin da ragazzini e stanno insieme da una vita. «Abitiamo in collina, fuori città. A noi brasiliani piace stare in mezzo al verde». Ha superato lo scoglio dell’italiano grazie a un insegnante privato. Il suo sogno è aprire una scuola calcio per bambini a Porto Seguro, la sua città preferita.
Sergio e le bugie
Da ragazzino amava la storia e non sopportava la matematica. Nel tempo libero si dedica alla boxe. Il suo idolo è Anthony Joshua, «AJ», due volte campione del mondo di pugilato. Si ispira a Sergio Ramos e non sopporta le bugie. Quattro anni fa, dopo un bel match contro il Liverpool in amichevole, scrissero che Klopp gli aveva fatto i complimenti nello spogliatoio: «Tutte balle, non è mai accaduto». Lo chiamano leader. Gli piace. «Se ho qualcosa da dire a qualcuno, non mi tiro indietro». Neanche quando c’è da inseguire un attaccante in giro il campo. Scamacca ne sa qualcosa. Cristiano Ronaldo pure. Almeno per tre quarti di match. Bremer ancora pensa agli ultimi 5’. Così si diventa grandi.