L’allenatore del Monza Cristian Brocchi si è raccontato a trecentosessanta gradi in una lunga intervista sul canale Instagram del giornalista Nicolò Schira. Ecco le principali dichiarazioni dell’ex centrocampista, tra le altre, di Milan e Lazio.
CORONAVIRUS – «Sto vivendo la quarantena in casa con la mia famiglia, cerchiamo di fare più cose possibili per occupare la giornata. I miei figli Federico e Filippo la mattina fanno scuola on line, mentre io il pomeriggio sto dietro agli allenamenti della squadra. Cerco di tenere i ragazzi in forma, nel caso in cui il campionato riprenda. Ieri ho fatto anche da parrucchiere a Filippo: voleva farsi i capelli a zero e abbiamo fatto questa mattata! (sorride, ndr). L’ho rasato a zero e adesso mia moglie non mi parla…».
PRESSIONI – «A Monza c’è un progetto importante e ambizioso: l’obiettivo è quello di vincere, è normale che ci siano le pressioni ma questo non dev’essere un problema. Anzi bisogna saperci convivere e devono essere da stimolo. Chi non regge le pressioni e le soffre non può stare in un grande club».
BROCCHI SI NASCE…CAMPIONI SI DIVENTA – «La maglietta ce l’ho ancora, la porto nel cuore e l’ho rimessa anche il giorno della vittoria della Champions League a Manchester. La indossavo ai tempi del Verona per sdrammatizzare ed esorcizzare con un sorriso il mio cognome, visto che ai tempi delle giovanili qualcuno diceva ‘Ma come farà a giocare nel Milan uno con un cognome così”. È stata una grande soddisfazione tornare anni dopo al Milan per vincere tutto da protagonista».
GAVETTA – «I primi anni in C sono stati molto importanti. Alla Pro Sesto mi sono affacciato nei professionisti e Lumezzane è stato il trampolino per andare in B a Verona. Le categorie esistono e non è solo una questione di fortuna: le qualità dei giocatori, oltre a essere tecniche, sono sopratutto mentali, quest’ultime sono fondamentali per emergere. Sono sempre stato considerato un giocatore di corsa, ma non giochi in Milan, Fiorentina e Lazio se sei solo un giocatore di quantità».
PRANDELLI – «È stato un insegnante incredibile per me, è l’allenatore che a livello tattico mi ha insegnato più di tutti. Arrivato dalla Serie C e i suoi consigli mi hanno fatto crescere tanto. Da lui ho imparato soprattutto la cura dei dettagli e l’attenzione a ogni aspetto tecnico/tattico».
CAPELLO – «Mi inorgogliscono i suoi complimenti, perché non è una persona che parla bene di un’altra se non lo pensa. Anzi è molto diretto e non regala nulla. Ho scelto di seguirlo come assistente, perché siamo molto diversi caratterialmente e volevo scoprire come gestiva i rapporti con i giocatori e la società. In Cina è stata una bella esperienza allo Jiangsu che vanta una proprietà importante come Suning: siamo arrivati con la squadra ultima e ci siamo salvati con 3 turni d’anticipo. Inoltre il mister mi ha dato tanta libertà e responsabilità nel lavoro settimanale sul campo con la squadra”.
ANCELOTTI – «Mi ci rivedo molto nella gestione dello spogliatoio. Io non potrei mai essere l’allenatore che ha sempre il muso e urla sempre: quando ho avuto tecnici del genere, non ho mai ottenuto grandi risultati. Voglio che la squadra si alleni con il sorriso, ma resto schietto e sincero. Se qualche volta serve urlare, lo faccio anche io stai pur certo. Dico sempre una cosa: le regole sono uguali per tutti, ma poi con ognuno di loro ho un rapporto diverso perché ogni giocatore necessita di cose differenti».
SETTORE GIOVANILE – «È stata una esperienza fondamentale e dirò sempre grazie al dottor Galliani che due giorni dopo il grave infortunio, che chiudeva la mia carriera da calciatore, mi chiamò per propormi la possibilità di guidare una formazione delle giovanili del Milan. Giorno dopo giorno è stato un susseguirsi di emozioni. L’anno con gli Allievi e il biennio in Primavera sono stati preziosissimi per creare una mia metodologia e imparare la nuova professione grazie a Stefano Baldini, Aldo Dolcetti e Filippo Galli. Ho avuto anche la fortuna di trovare ragazzi fantastici a livello umano oltre che grandi talenti: penso ai vari Gigio Donnarumma, Locatelli, Cutrone, Vido, Calabria, Crociata, Mastalli e Zanellato che oggi militano tutti da protagonisti tra A e B. Mi piace condividere e confrontarmi, anche adesso a Monza facciamo tanti incontri con i tecnici delle formazioni giovanili. Sono occasioni di crescita per tutti: sia mia sia loro».
22 OTTOBRE 2018 – «Il giorno della mia firma con il Monza. Da due mesi il mio nome veniva accostato al Monza, ma sono sincero: non mi avevano mai chiamato nè il presidente Berlusconi nè il dottor Galliani nei giorni precedenti a quel giorno. In 20 minuti abbiamo trovato l’accordo, era impossibile dire di no a un progetto così importante e ambizioso. Sono stato ben felice che abbiano pensato a me. Una società che in un anno e mezzo ha investito 25/30 milioni per sistemare Monzello, creare strutture oltre a costruire la squadra non si trova facilmente…».
PUPILLO SILVIO&GALLIANI – «Non sono stato chiamato al Monza per simpatia come purtroppo molti dicono, ma perché nei miei confronti c’è una stima. Tutti nel calcio hanno un direttore che ti stima o stravede per te. Gattuso al Milan ha avuto l’occasione in prima squadra perché c’era un direttore come Mirabelli che stravedeva per lui. Idem Inzaghi alla Lazio quando ha fatto il salto dalla Primavera: ha avuto la chance perché Tare lo conosceva e stimava molto».
IDOLO – «Da bambino mi piacevano i grandi campioni come Maradona: Diego mi faceva impazzire. Amavo quei giocaotori che ti fanno divertire. La gente allo stadio deve divertirsi, per questo amo proporre un calcio offensivo e propositivo con una squadra che detti legge nella metà campo avversaria. Come modelli poi guardavo tanti giocatori da Di Livio a Davids passando per Donadoni e Bennarrivo. Tutti diversi tra loro, ma con caratteristiche che mi piacevano».
MIX VINCENTE – «La fortuna di un allenatore sono sempre i calciatori: se sono bravi e funzionali alla tua idea di calcio allora i risultati arrivano. Alla base ci dev’essere una società forte con strutture di allenamento importanti».
LAZIO – «Sono stato il primo acquisto di Igli Tare. È stata una grande sfida: ho lasciato il Milan che era casa mia per essere protagonista nonostante l’età. Mi sono legato tantissimo all’ambiente: sono stati 5 anni bellissimi. Ricordo ancora lo scetticismo iniziale: molti mi davano per finito e invece leggere quelle cose mi caricava tantissimo, abbiamo vinto 3 trofei tra cui la Supercoppa Italiana a Pechino contro l’Inter di Mourinho che avrebbe poi fatto il Triplete. Sono legatissimo anche alla prima Coppa Italia vinta: tanti dicevano che avevo la bacheca piena perché al Milan c’erano tanti campioni, vincere e da titolare anche a Roma è stata una grande soddisfazione».
MATRI – «È un fratellino per me, non ti nego che l’estate scorsa avevano provato a convincerlo per farlo venire a Monza. Ale però voleva provare a raggiungere i 100 gol in A e ha scelto Brescia. A gennaio abbiamo preso Mota e Rauti ed eravamo già al completo. Non avrebbe avuto senso creare troppa abbondanza, rompendo gli equilibri».
IL PIÙ FORTE – «Ci ho giocato insieme all’Inter e al Milan: dico Ronaldo, il Fenomeno. Quando partiva palla al piede dovevi farti il segno della croce per fermarlo. Non era umano: ti lasciava senza parole per le giocate pazzesche che faceva alla velocità della luce».
28 MAGGIO 2003 – «È il trofeo a cui sono più legato per il tatuaggio che ci facemmo con Abbiati e Gattuso. È stata la prima coppa per molti di noi. Eravamo l’unica camera tripla di tutto Milanello: tutti passavano da noi. La serata del 6 maggio prima dell’andata del derby in semifinale c’era una adrenalina pazzesca. Le ore non passavano mai: sia io sia Rino giocavamo titolare, poi Manchester fu l’apoteosi».
BRESCIA – «Una esperienza molto importante che si è chiusa non bene per altre problematiche. Eravamo nel mezzo di alcune situazioni societarie, non è stata una questione tecnica. Quando firmai, mi dissero che dovevamo salvarci all’ultimo minuto dell’ultima giornata: eravamo in linea con i programmi. Brescia è una piazza top con una curva calorosissima».
TECNICI GIRONE A – «Un allenatore che stimo tanto è Silvio Baldini, mi piace molto la sua Carrarese e il modo in cui interpretano le partite. È un grandissimo conoscitore di calcio».
FINALE JUVE-MILAN – «Non esiste un allenatore che ha la bacchetta magica. Ogni tecnico ha bisogno di almeno 2 mesi per iniziare a trasmettere le proprie idee. Quella era una Juve stellare nettamente più forte di noi: meritavamo di più, abbiamo fatto una grande partita perdendo ai supplementari. Il dispiacere c’è perché anche la mia carriera avrebbe potuto prendere una piega diversa. Molti non capivano le difficoltà della squadra e il lavoro fatto per giocare una finalità del genere. Ma fa niente: con umiltà mi sono rimboccato le maniche e sono ripartito».
COMPAGNO PIÙ PAZZO – «Il tavolo di Milanello formato da me, Gattuso, Abbiati, Ambrosini e Inzaghi: ci ammazzavano dalle risate. Stavamo talmente bene insieme anche con Pirlo, Nesta e Kaladze. Ci prendevamo in giro, ma appena l’arbitro fischiava e iniziava la gara non ce ne era più per nessuno. Per questo abbiamo vinto tanto».
VIERI – «Abbiamo giocato solo un anno insieme, all’Inter nel 2000/01. Dovevo trovare un compagno di stanza appena arrivato in ritiro e un dirigente mi dice che si era liberato un posto nella stanza con Vieri, visto che Peruzzi era andato via. Lui non sapeva manco chi fossi, ero appena arrivato dal Verona e mi presento mentre Bobo stava giocando a biliardo con Ronaldo. Lui mi guarda e fa una smorfia, dicendo ok a patto che gli portassi la camomilla in camera prima andare a dormire. Il giorno dopo me l’ha portata lui: il resto lo sapete, è nata una amicizia fantastica. È il mio migliore amico nel mondo del calcio, siamo inseparabili».
KAKÀ – «Sarebbe stato bello averlo al Monza. Allenarlo? I campioni come lui non hanno troppo bisogno di essere guidati. Ti diverti ad allenarlo per ammirare le giocate che fa. Un ragazzo meraviglioso. Ricordo ancora il suo primo allenamento a Milanello: dopo 10 minuti ci guardammo tutti strabiliati. Eravamo tutti a bocca aperta: un fenomeno!».
TEMPO LIBERO – «Vado a vedere le partite dei miei figli e gioco a padel. Ho trascinato io due anni fa a giocarci Bobo, all’epoca non gli piaceva adesso Vieri è tra i più scatenati a City Life. Io me la cavo bene anche se negli ultimi mesi ho perso un po’ la mano. Più giochi e più migliori».
SERIE A – «È l’obiettivo del dottor Galliani e del presidente Berlusconi. È un sogno anche mio. Spero di essere l’allenatore che riuscirà a portare il Monza per la prima volta in A».
KLOSE – «Miro è micidiale sotto porta, lo vedi poco ma fa sempre gol. Un attaccante completo sotto tutti i punti di vista».
RIMPIANTO – «Ho giocato da titolari le semifinali, ma mai una finale di Champions. Entrare mi sarebbe piaciuto…».
AVVERSARIO PIÙ TOSTO – «Negli scontri titanici mi esaltavo, gli preferivo ai fighettini. Liverani ti nascondeva sempre la palla, il più forte di tutti era Zidane. Ricordo Juve-Verona: lo marcavo a un metro perché tanto la palla non gliela toglievi mai. Un fuoriclasse con una tecnica individuale incredibile».
REJA – «Mi ha allungato la carriera con la sua gestione. Arrivò in un momento di difficoltà e in una settimana aveva già messo a posto lo spogliatoio. Come tipologia mi ricordava molto Ancelotti».
TOP 11 EX COMPAGNI – «Abbiati in porta, difesa a quattro con Pancaro a destra, centrali Nesta e Costacurta con Maldini a sinistra. Il centrocampo top più forte di tutti era Gattuso-Pirlo-Seedorf con Kakà. Davanti scelgo col cuore: Vieri-Inzaghi».