C. Lucarelli: «Direi ancora ‘tenetevi il miliardo’. La mia carriera è stata sottovalutata rispetto agli ideali politici»

by Redazione Cronache

Cristiano Lucarelli è il tecnico della Ternana dei miracoli in Serie C, l’unica squadra ancora imbattuta in Europa. L’ex attaccante di Atalanta, Torino, Livorno e Napoli si è raccontato in un’intervista a la Repubblica.

CALCIATORE – «Lottavo per il pane, non per il filetto. Ho segnato 240 gol ovunque e a chiunque, sono stato capocannoniere ma tutto è stato sottovalutato rispetto ai miei ideali politici, che pure porterò nella tomba. Ho pagato per le mie idee, anche da allenatore. Quando giocavo perdevo sempre i ballottaggi: Lucarelli o Bojinov alla Juve? Bojinov! Lucarelli o Toni alla Roma? Toni! Idem in Nazionale. Passavo per essere l’esaurito militante rivoluzionario che, naturalmente, non sono mai stato. Non è giusto. Quando mostrai il Che, avevo vent’anni. Ora ne ho 45 e sono quasi nonno».

L’INFANZIA – «Il mio quartiere era il più difficile di Livorno insieme a Corea. Nomi asiatici, perché le case popolari avevano appartamenti molto piccoli, quattro per ogni pianerottolo. Ma chi è uscito da lì, chi si è sollevato dal niente, non ha più avuto paura della vita. Con mio fratello Alessandro e i miei genitori Maurizio e Franca aspettavamo la partita come una liberazione, la vivevamo tutti insieme allo stadio. Era bellissimo. Papà è stato camionista, poi camallo al porto. Dopo Shangai abbiamo abitato in via Garibaldi, vicino al mercato ortofrutticolo».

TERNANA – «Come dice il maestro Mazzarri, gli schemi sono importanti ma con i giocatori bravi vengono meglio. Non voglio neppure sentir parlare per scherzo di uno zero a zero difensivo. Sorrido, e quando non basta li martello. Ma ho ragazzi che dopo dieci anni ancora mi chiamano per un consiglio o per dirmi buon compleanno. Sanno che posso sbagliare, ma non mentire».

IL PARAGONE – «Allenare è molto più difficile che giocare e paghi solo tu, solo tu sei davvero precario. Direi ancora ‘tenetevi il miliardo’, perché sono le scelte a renderci quello che siamo. Forse non lo consiglierei a mio figlio, perché ogni no e ogni sì vanno calati nel momento: io scelsi di fare il trapezista senza rete, mi andò bene. E comunque, un livornese ricco si sente sempre un po’ in colpa».