Che fine ha fatto

Deulofeu?

di Gerard Deulofeu

Quando avevo 17 anni, Pep Guardiola a fine allenamento restava in campo insieme a me. Dopo aver fischiato la fine, si girava per dirmi: «Gerard, rimani qui». Iniziava a mostrarmi tutti i movimenti della fase difensiva. Perché sì, ero un talento de La Masia, ma difensivamente ero un casino. Prima di andare all’Everton ho giocato una decina di partite insieme a lui. Mi organizzava le spiegazioni per il post-allenamento, mi faceva vedere cosa avrei dovuto fare. Era bello, perché non avevo neanche 18 anni e un allenatore come lui, rimaneva con me sul campo perché sentiva che avrei potuto fare una bella carriera.

 

Posso dire una cosa?

 

Se avessi avuto a disposizione più tempo per dimostrarlo, tutti avrebbero capito che sono un giocatore da Barcellona. Ma in quel Barcellona, e neanche in quello in cui sono tornato anni dopo, il tempo per i giovani non c’era. Il livello era troppo alto! Immaginate che a 17 anni mi sono trovato nello spogliatoio con Messi, Puyol, Sergio Busquets, Xavi, Pedro, Villa, Iniesta, Sergio Valdes… come facevo ad avere spazio? Ho cercato di prendere tutto ciò che di buono si potesse prendere da loro: sia quel Barcellona, sia la Nazionale spagnola, all’epoca vincevano tutto. Non era facile avere la propria occasione.

 

 

A casa ho una decina di foto insieme a Messi che mi abbraccia dopo un gol. Leo è un ragazzo fantastico: a volte riguardo quegli scatti e credo sia incredibile. È come se fossero oro. Ho giocato insieme al migliore della storia, e gli ho servito anche qualche assist! Festeggiare insieme è stato bello. Ho sempre avuto un rapporto buono con lui: si avvicinava a me, dava consigli su come muoversi per prendere il pallone. Per lui era più difficile però, perché ne aveva sempre due o tre addosso!

 

Sono orgoglioso di essere cresciuto a La Masia. Ho abitato lì lasciando la mia città: è un posto incredibile che mi ha fatto diventare grande. Ma non ero del tutto maturo: anche perché quando esci dalla cantera del Barça, ti accorgi che il calcio è diverso. Che non è tutto così perfetto. Ho trascorso la mia adolescenza in un ambiente spettacolare. Non ero sviluppato abbastanza per apprendere i consigli di quei campioni. Non gli davo il giusto peso, sicuramente. Ho comunque preso tanto, ma quelle parole le ho assimilate con il tempo. Stavano parlando con un ragazzino molto testardo! Ma è anche grazie a quei consigli se ho avuto una bella carriera.

 

 

A volte leggevo, come per tanti talenti di quegli anni: «Deulofeu è il nuovo Messi». Quell’etichetta mi ha danneggiato, l’ho sentita addosso. Ma nessuno sarà mai come Leo, quello lo sapevo già. Nessun giovane, neanche Yamal. In campo, però, non mi è pesato: mi sentivo a mio agio tra quei campioni, ma come vi dicevo… era difficile giocare. Adesso ci sono tanti ragazzi fortissimi, come Yamal, che hanno potuto trovare spazio perché il livello è diverso.

 

Se avessi avuto modo di giocare con continuità e sbagliare, avrei dimostrato di essere un giocatore da Barcellona.

 

 

Ma al Barcellona non c’era tempo, ed era giusto così.

 

Questo mi ha permesso di costruire la mia carriera: Everton, Siviglia, Milan, Udinese.

 

Ricordo ancora il primo giorno in Italia. Atterrai a Malpensa. Andai dal presidente dell’Everton e gli chiesi perché non stessi giocando: «Per favore, lasciami andare al Milan». La prima sera, andai subito a cena con il mitico Adriano Galliani. Ho fatto soltanto 6 mesi al Milan, ma mi sembra di averci trascorso due anni. Perché ho subito sentito cosa significasse quella maglia lì. Credo che se entrambe le parti si fossero venute incontro, avrei potuto vestire quella maglia per tante stagioni. E mi sarebbe piaciuto.

 

Non ho mai avuto rimpianti. Ma sento ancora oggi l’amore per i tifosi del Milan e la stima che hanno nei miei confronti. Mi scrivono nonostante sia passato del tempo. Quei 6 mesi hanno lasciato un segno indelebile. Il legame che si è creato con la tifoseria è difficile da spiegare: è la società più grande d’Italia e ho sentito l’orgoglio di quella maglia.

 

 

Quando sono arrivato all’Udinese, ho vissuto il mio miglior periodo di sempre. Nei mesi precedenti ero stato infortunato, e il primo anno ho giocato poco perché non ero al meglio. Ho avuto due operazioni al ginocchio. Ma quando dico che Udine è speciale, c’è un motivo: nonostante arrivassi da due operazioni, ho potuto esprimere il mio miglior calcio. Facevo il trequartista, ma non solo: ogni ruolo in attacco. Ho giocato ovunque. Mi trovavo benissimo in ogni posto. Facevo male a tutte le squadre. I miei compagni sapevano che ero colui che poteva trascinare la squadra. Ero il ragazzo che univa il centrocampo e l’attacco. Un creatore di occasioni. Ho studiato tanto per incidere in quella posizione.

 

E so che se tornerò a giocare, saprò incidere proprio in quel modo.

 

 

Ricordo alcune partite in cui ero ingiocabile: qualche doppietta, qualche tripletta. Ma mi vengono in mente due gare in particolare contro le big: una con il Napoli, in casa loro, in cui ho segnato. E un’altra contro l’Inter, dove abbiamo vinto 3-1. I match che mi rimangono impressi sono quelli con le squadre forti, ma per un motivo: mi piace giocare contro tutti, ma con le big ho una motivazione in più, mi gasa affrontare calciatori di livello e affermarmi. Quando li vedo in tv o quando li affronto, voglio spaccare tutto.

 

 

Poi si è fermato il tempo.

 

Ho perso quasi tutto, anche la mia vita personale.

 

Quando hai una gamba così, malata, è molto difficile.

 

Operazioni, operazioni. Ma la cosa più importante è che oggi ho accettato quello che è successo. Ne ho accettato l’impatto. Che è la cosa più difficile, poi.

 

Non ho toccato il pallone per un anno e mezzo. Solo poche volte, in casa, per giocare con i miei figli. Niente di più. Per un anno e mezzo.

 

Ma quelli come me possono stare anche un anno e mezzo senza toccare il pallone. Ho giocato l’ultima partita il 22 gennaio 2023. Non ho dubbi che se tornerò, sarò forte quanto prima.

 

 

Sicuramente ho sofferto. Adesso posso dirvelo: sto guarendo. È una questione di tempo, devo riprendere il muscolo della gamba. Voglio giocare a calcio ancora per almeno 7 anni.

 

A febbraio 2024 ho pensato di mollare tutto. Di abbandonare l’idea che sarei tornato a giocare a pallone. La gamba era ancora malata. Avevo quasi perso le speranze. Ora è tutto diverso: la gamba è curata. Sto correndo per 30 minuti al momento, sto facendo delle prove. Il ginocchio sta accettando il carico di lavoro. Sono contento perché ho lottato tanto e il mio stile di vita può aiutarmi. Sono troppo attento alla salute, assolutamente un malato di salute.

 

Seguo la dieta del Paleolitico. Come il mio amico Marcos Llorente. Mangio soltanto quando mi alleno: se ho una sola seduta in un giorno, vado a digiuno al campo e mangio successivamente, alla fine. Ho cambiato tanto anche nel mio riposo, con un letto speciale. Ho uno stile di vita come la preistoria in questo. Ovvero mangiare quando si ha fame, utilizzare prodotti stagionali, mangiare carne e pesce di qualità, i grassi di qualità, cibi genuini come a quei tempi. In modo da avere energia.

 

Dopo l’operazione ho avuto un problema rarissimo. E a ogni movimento che provavo a fare, c’era liquido nella gamba o un altro problema. Non potevo muovermi di casa, specialmente con il freddo. Adesso posso allenarmi ogni giorno, senza che la gamba si gonfi o infiammi. Ora il ginocchio è funzionale, preparato. Ma il muscolo si è perso in questo anno e mezzo. Devo recuperare lui. E basta.

 

 

Quel dolore mi ha tolto tutto. Ma adesso so che posso tornare in campo. Non inizierò la stagione, ma la finirò. È un obiettivo. Ricevo ogni giorno tanti messaggi di supporto e ho un cerchio ristretto di persone che sta facendo gesti davvero non scontati per aiutarmi. Ho scoperto amicizie che non pensavo di avere.

 

Sono a Madrid adesso, sto lavorando. Sono in contatto con Gino Pozzo, il presidente dell’Udinese. Sempre. A lui, come ai tifosi dell’Udinese, faccio una promessa: se giocherò nuovamente a calcio, il primo minuto sarà sicuramente a Udine.


CREDITS:
autore: Giacomo Brunetti; testo di: Gerard Deulofeu e Giacomo Brunetti; immagine di copertina: Imago; immagini: Shutterstock, Imago, Image Photo Agency.