Chiunque di voi, leggendo le notizie di calciomercato spagnolo, almeno una volta si è chiesto: «Ma chi le paga delle clausole così alte?». Per rispondere a questa domanda abbiamo spulciato un Decreto Regio emesso in Spagna nel 1985.
Le clausole nel calciomercato spagnolo
Il Barcellona ha ufficializzato Kessié con una clausola di recesso (e non rescissoria, che in Italia riguarda circostanze diverse) di 500 milioni. una cifra altissima. Come quella da un miliardo per Benzema e Pedri, oppure quella da 750 milioni fissata dal Real Madrid per Brahim Díaz.
Le società spagnole sono obbligate a inserirla nei contratti, è una tutela che nasce dai cavilli dell’articolo 16 del decreto citato, il Real Decreto 1006/1985 per la precisione.
Lo statuto dei lavoratori considera gli atleti professionisti con rapporti di lavoro speciali. IL decreto ne regola tutto, addirittura le ferie e il servizio militare, oppure i periodi di prova. Diciamo pure che un calciatore potrebbe fare uno stage.
I contratti sportivi, in tal senso, possono essere solo di tipo determinato, anche se a inizio giugno il calciatore Pepelu, nel rinnovare con il Levante, ha strappato un accordo da 10 anni (scadenza 2032). Scelta di cuore, in questo caso.
»In Spagna – cita l’articolo 16 – la risoluzione del contratto per volontà dell’atleta professionista, senza causa imputabile alla società, darà diritto a un risarcimento che, in assenza di accordo al riguardo, la competenza giurisdizionale sarà fissata secondo una serie di circostanze esplicate».
Proprio per questo, per evitare di ricorrere all’autorità giudiziaria e garantirsi inoltre una tutela a livello di introito, i club e i calciatori impongono nei contratti la clausola di recesso obbligatoria per legge.
Nel 2018, Iker Muniain ha messo a dura prova il sistema, annunciando di non voler inserire la clausola nel rinnovo con l’Athletic fino al 2024, per «non sentirsi o sembrare un calciatore in vendita». Lo hanno seguito De Marcos e Balenziaga.