a cura di Giacomo Brunetti
Come fa l’Athletic Club a giocare (e vincere) con soltanto giocatori baschi
Sono una delle 3 squadre spagnole a non essere mai retrocesse in seconda divisione, eppure utilizzano solo calciatori della propria regione. Per scelta.
L’Athletic Club è un modello unico e invidiato in tutto il mondo. Una realtà che viene presa in considerazione ogni qualvolta si parla di quel calcio pieno di passione e attaccamento che tutti sognano. Gioca soltanto con calciatori baschi e nonostante questo, non è mai retrocesso in seconda divisione: anzi, si è concesso il lusso di vincere numerosi trofei, l’ultimo lo scorso anno con la Coppa del Re. Ma com’è possibile che una squadra così gloriosa, e con risultati così importanti, possa riuscire in tutto questo utilizzando soltanto ragazzi che provengono dalla propria regione (termine su cui torneremo)? E perché nessun altro club al mondo ci ha provato?
Per rispondere a questa domanda abbiamo intervistato Mikel González, director of football dell’Athletic Club, colui che come un direttore sportivo tesse la linea e coordina tutta l’attività sportiva della società. E, anche lui, puro basco, nato a Bilbao nel 1987. Nel luglio del 2022, a 34 anni, era diventato direttore dello sviluppo, l’altra carica più importante, per poi scattare di livello dopo 3 mesi.
González ci ha raccontato in modo approfondito il sistema-Athletic. La domanda che lui ha definito «da un milione di euro» non gliel’abbiamo fatta subito, ma ci ha aiutato a comprendere la risposta con il passare dei minuti: «Come fa l’Athletic a vincere e a non essere mai retrocesso utilizzando solo calciatori della propria regione?». Perché in un calcio sempre meno sostenibile, potrebbero farlo tutti. Ma come vedremo, «quello dell’Athletic è un modello non replicabile».
«Il nostro sistema – ci spiega Mikel – è unico per filosofia e risultato, pone delle radici non solo nell’ambito sportivo, ma in quello delle istituzioni e nel sociale», proprio perché l’Athletic Club non è soltanto una squadra, ma rappresenta un’ideologia che parte da Bilbao e si estende a tutto il Paese Basco, ovvero l’Euskal Herria. E qui è necessario fare la prima distinzione: i Paesi Baschi sono una delle 17 regioni spagnole, e oggi non devono interessarci; il Paese Basco (l’Euskal Herria, appunto) è invece la regione geografica abitata dal popolo basco, situata a cavallo dei Pirenei tra la Spagna e la Francia, ed è quella a cui fa riferimento la politica dell’Athletic. Il termine Euskal Herria indica sia il luogo geografico abitato dai baschi sia l’insieme stesso dei baschi (come se per intendere “Italia” e “popolo italiano” si usasse la stessa espressione).
Possono vestire la maglia biancorossa coloro che sono nati nel Paese Basco, quindi nelle 7 province dell’Euskal Herria, e coloro che si formano in questa zona: ovvero, «se si formano nel Paese Basco per causa naturale. Magari dei genitori che si trasferiscono da noi e si stabiliscono qui, hanno già un figlio che dunque inizia la scuola e gioca in questa zona, quindi si integrano perfettamente con il nostro territorio, ne sposano la cultura e diventano parte della nostra rete sociale. In questo caso, puoi essere convocato».
Poi una premessa fondamentale. «È la società che fa l’Athletic, nella zona della Biscaglia (quella più centrale e vicina a Bilbao, ndr) è impossibile che qualcuno non tifi per noi. Anche chi non è interessato al calcio sa cosa significhi l’Athletic ed è in cima a tutto nella società, è radicato nelle famiglie, lo trovi ovunque: c’è un riferimento al bar, al parco, accanto a una casa, dappertutto». È davvero un’impronta: «A scuola impari l’inno, ti regalano sempre la maglietta, vedi ovunque il nostro logo». Mikel, professionale e cordiale, ci fa un esempio: «Mio nipote ha un anno e mezzo, non sa parlare, ma sa dire ‘Athletic’ e se vede il logo della squadra, te lo indica compiaciuto. Va in automatico, è nel DNA!», ci spiega sorridendo, ma anche per farci capire quanto il Club affondi le proprie radici nelle persone.
Il modello prosegue da decenni senza sosta: «Raccogliamo risultati e successi senza snaturarci, nonostante cambino le persone che lavorano dentro all’Athletic nei vari anni, poiché è la struttura a essere forte». È un processo lungo, con tante tappe, «sono decenni di lavoro che poi danno i frutti». Una frase che rimane scolpita nella nostra mente, mentre parliamo: «Se mi chiedessero di esportare questo modello e farlo da un’altra parte, sarebbe impossibile e utopico pensare che sia possibile». È arrivato dunque il momento di farci raccontare i segreti e l’organizzazione di questo sistema: «Vedrete che non si può replicare», ripete.
«Abbiamo oltre 160 società affiliate nei Paesi Baschi», ci spiega González. Definisce «una tela de araña», una ragnatela che permette di controllare tutti i bambini e i ragazzi che possono un giorno far parte della squadra. «Queste squadre hanno una grande capacità di sviluppare giocatori e allenatori, ed è la nostra fortezza. Un sistema permanente nel tempo che funziona a prescindere dalle generazioni di dirigenti, calciatori e tecnici».
Inoltre, l’Athletic investe «tantissimi soldi nello sviluppo della propria struttura sportiva di Lezama, per coinvolgere tutti gli operatori in modo professionale: tutti i lavoratori del nostro centro sportivo hanno contratti professionistici e sono preparati per concentrare al 100% le proprie competenze nell’Athletic». Il primo passo è captare il talento: «Ci sono 20 scout e 20 tecnici che lavorano sulle squadre affiliate per monitorare i talenti e portare le competenze di una squadra pro». Sono presenti ulteriori 5 scout che monitorano le due squadre riserve (Bilbao Athletic e Baskonia, che vi spiegheremo più avanti) o i calciatori baschi che giocano in altre prime squadre. Una ricerca capillare: «Monitoriamo il 100% dei giocatori baschi, tutti coloro che possono entrare nella nostra filosofia. Investiamo tempo e risorse in questo»
Andiamo nel dettaglio del rapporto con quelli che Mikel definisce i club «convenidos, las filiales». Le filiali, delle vere e proprie filiali dov’è stipato il talento prima di arrivare in sede: «Hanno una grande identità nei nostri confronti, e cerchiamo di coltivarla ogni giorno perché è linfa vitale. Investiamo tanto nelle società legate all’Athletic». Il processo di fidelizzazione è alla base: «Stiamo parlando di oltre 160 squadre e migliaia di giocatori e tecnici. Quando sono ancora molto piccoli, tutti i tesserati delle nostre affiliate si allenano almeno un giorno all’anno nelle nostre strutture di Lezama, in modo da poter vivere almeno per qualche ora cosa significhi essere dell’Athletic, mentre noi possiamo monitorare e guardare da vicino i più forti e interessanti». Questo avviene anche attraverso dei tornei amichevoli che si svolgono proprio dentro la casa del Club e «abbiamo inoltre un programma di allenamenti distaccati per i giovani in orbita di essere presi ma non solo, senza togliere le peculiarità che ogni società del nostro territorio è giusto che abbia».
Vengono forniti tecnici e riferimenti per migliorare anche le singole sedute di allenamento, «e diamo supporto totale alle affiliate. L’Athletic c’è sempre. Ad esempio, diamo tutti i club un supporto medico per gli infortuni più gravi, sia in loco che a Lezama, per permettere di avere diagnosi migliori e percorsi di recupero più efficienti. Non li lasciamo mai soli».
Il settore giovanile dell’Athletic Club è di altissimo livello. È situato negli impianti di Lezama, a un quarto d’ora di macchina da Bilbao, che si estendono per 147.600 m². «Dopo che abbiamo intercettato il talento, questo arriva nel nostro quartier generale. Ogni anno investiamo per avere il massimo dal nostro centro sportivo, dove si allena anche la Prima Squadra, e garantire sempre l’avanguardia. Il dipartimento è enorme, anche comparato a livello mondiale, e il modello della nostra accademia ha un programma di sviluppo sportivo di grandissima caratura».
E qui torniamo alla «pregunta del millón», la domanda da un milione di euro di cui parlavamo all’inizio. «I grandi club e le federazioni vengono da noi e ci chiedono come facciamo». Tutte le big spendono tantissimi soldi, come un po’ tutte le squadre, per acquistare i giocatori e per mantenere i loro ingaggi, oltre che tutta la struttura. L’Athletic invece diventa grande soltanto con i ragazzi del proprio territorio. E tutti cercano di studiarlo, di capire come faccia, pensando che sarebbe bello imitarlo.
«Ci dicono che è come se avessimo una macchina che fabbrica calciatori. In effetti i Paesi Baschi generano tanto talento e le società di questa zona sanno lavorare bene», con una differenza: «A differenza del resto del mondo, noi il talento lo conserviamo, investiamo per formarlo e tenerlo con noi». Pensate soltanto che adesso in rosa ci sono calciatori come Nico Williams, suo fratello Iñaki Williams, Sancet, Dani Vivian, Unai Simón, Aitor Paredes e tanti altri, come il decano Óscar de Marcos (in rosa dal 2009) o Ander Herrera, tornato alla base. «Tanti club spendono molto per sviluppare i propri vivai – dice González – ma non danno spazio a quei talenti su cui loro stessi investono denaro, se li lanciassero ne avrebbero tanti anche loro come noi, ma non è facile e preferiscono prendere 3/4 calciatori già pronti da fuori», semplifica.
Gli chiediamo perché i migliori non vogliano cedere alle lusinghe dei top-club che li vogliono: «Sanno che qui hanno il meglio e gli mostriamo il cammino concreto per farli arrivare in prima squadra. Una volta qui, sanno che se fanno bene possono avere il loro posto. Li coccoliamo, gli diamo tutto e difficilmente da altre parti avrebbero tutto ciò. Possono lottare per la propria terra e per la squadra del cuore. Gli diamo tutto e non avrebbero motivo per andarsene». Infatti la permanenza media di un calciatore in prima squadra all’Athletic è di circa 7 anni, la più alta che ci sia.
Per mettere alla luce il talento che ha in casa, l’Athletic ha una ossatura delineata anche nella conformazione delle squadre del proprio settore giovanile. Innanzitutto è necessario dire che in Spagna, quasi tutte le società hanno una seconda squadra, quelle che in Italia sono attualmente la Juventus Next Gen, l’Atalanta Under-23 e il Milan Futuro. A Bilbao ce ne sono addirittura… due! Il Bilbao Athletic e il Baskonia. «Il Bilbao Athletic è la nostra under-23 e gioca attualmente in terza divisione, nella vostra Serie C», illustra González, «mentre il Baskonia raccoglie i migliori under-19 del nostro vivaio e milita in quinta divisione, dove i ragazzi si misurano subito con il calcio vero, quello dei grandi, acquisendone subito le dinamiche», e poi c’è la Sub-19, che è l’equivalente della formazione Primavera italiana, che gioca con 17enni e 18enni, quindi un anno sottoetà. In testa alla piramide – per esemplificare all’italiana – c’è dunque l’Athletic Club in prima divisione, poi il Bilbao Athletic in Serie C, il Baskonia nell’equivalente della Serie D (in Spagna ci sono 4 livelli prima del dilettantismo, come se ci fossero Serie C1 e Serie C2, mentre in Italia solo 3) e la Sub-19 nel campionato Primavera, e così via con la Sub-17 e tutte le altre.
Per farci ragionare sull’ideologia del Club, il direttore Mikel González ci pone una domanda che spiega quanto lavorare in modo minuzioso e qualitativo sia fondamentale per la sopravvivenza della società ad alto livello: «Se abbiamo un problema e ci manca la seconda punta in prima squadra, non possiamo andare sul mercato come fanno tutti, guardare in una lista di 6/7 obiettivi e scegliere chi comprare. Noi non possiamo buttarci nel calciomercato per risolvere le difficoltà. Quindi sapete cosa facciamo?». Questo forse è un passaggio nevralgico del modello che vi stiamo raccontando: «Guardiamo nelle giovanili, l’unico posto da cui possiamo prendere qualcuno per risolvere il problema. A volte hai un giocatore pronto, a volte nessuno, altre volte due».
Data questa limitazione e per farsi trovare pronti per ogni necessità o ricambio, ma soprattutto per creare cicli di generazioni vincenti, «siamo ossessionati dal miglioramento individuale dei nostri ragazzi sotto tutti i punti di vista. Quando arrivano a 15/16 anni, sappiamo tutto di loro e li monitoriamo completamente, dal fisico alla motricitò, fino alla biomeccanica del loro corpo, senza tralasciare gli aspetti personali e psicologici». D’altronde, «i futuri acquisti sono loro e li abbiamo già in casa».
«Dall’under-17 lavoriamo con catena di successione», illustra González. «Guardiamo da lì a 3/4 anni quali potrebbero essere i ruoli in cui potremmo avere più bisogno, oppure quelli in cui siamo coperti. Dobbiamo garantire a questi ragazzi un futuro, se dobbiamo fare un investimento, guardiamo prima in casa nostra per capire dove possiamo arrivare con le nostre forze, e dopo ragioniamo sulla prima squadra. I giovani da noi devono sapere che il loro percorso verso la prima squadra è tutelato e che siamo i primi a dover essere credibili in questo».
Con l’ausilio di tecnologie avanzate, «ci avvaliamo di modelli preventivi per studiare una crescita ad hoc per ogni individuo, al fine di capire i profili più adatti per la prima squadra». L’obiettivo è avere una squadra sempre vincente, attualmente allenata da Ernesto Valverde – «il miglior allenatore possibile», lo definisce González, e già in carica dal 2013 al 2017 – che necessita delle migliori condizioni. «Stiamo vivendo un momento positivo, lottiamo per qualificarci in Champions, siamo in corsa in Europa League e abbiamo appena vinto la Coppa del Re, ma dipende molto dalle generazioni e da come lavoriamo negli anni precedenti». In un calcio che guarda spesso al presenze e senza tregua, «dobbiamo fare le cose per bene per non soffrire i cambi di ciclo, e applicarci per garantirci il futuro mentre dobbiamo vincere nel presente». Una formula non facile da applicare alla realtà. È un lavoro «gigantesco».
Tutto questo ha anche dei grandi vantaggi, secondo Mikel González: «Quando acquisti un calciatore da un’altra squadra, questo lascia tutto e deve adattarsi a una vita nuova. Da noi, quando passi in prima squadra, mantieni la stessa casa, gli stessi amici, hai la famiglia vicina, tua moglie e i tuoi figli vivono o vivranno nella loro città, le strutture in cui ti alleni sono le stesse in cui sei cresciuto, anche la lingua e le usanze sono uguali e non cambieranno». Questo facilità l’inserimento: «Quando un ragazzo passa dalle nostre giovanili ai grandi, rende meglio e subito».
Dopo aver alzato al cielo la Coppa del Re da capitano, in estate si è chiusa dopo 19 anni la storia di Iker Muniain con l’Athletic. Una di quelle storie d’amore che Mikel González ci racconta con emozione: «Una leggenda e un ragazzo eccezionale, lui come tanti altri ha rifiutato offerte dalle squadre più importanti d’Europa per giocare con il suo Athletic, diventando simbolo di identità e distinzione». È volato in Argentina, al San Lorenzo, a 31 anni. «Muniain è di Pamplona, nella Navarra, una delle province dell’Euskal Herria, ma non della regione di Bilbao. È arrivato qui e ha deciso di lottare per vincere: sempre meglio farlo con la tua squadra del cuore che con un’altra, no?». Come sta accadendo anche con Nico Williams, per cui l’Athletic ha rifiutato offerte importanti, soprattutto dopo l’Europeo vinto: «Siamo stati contenti di non aver ceduto Nico la scorsa estate. L’Athletic è una società che non ha bisogno di vendere, lo abbiamo dimostrato ancora. Siamo contenti di aver dato una dimostrazione di forza».
Portiamo questo esempio, per concludere, poiché racchiudere l’essenza del perché un calciatore preferisca rimanere qui piuttosto che fare un salto in una big. Perché l’Athletic, per lui, rimarrà sempre la sua big. E gli dovrà sempre qualcosa indietro.