Caos totale nei protocolli COVID.
Dopo l’Inter anche la Lazio sta vivendo una situazione molto complicata e controversa. A tenere banco è la vicenda riguardante la positività di Ciro Immobile, fermato dalla UEFA per la trasferta di Champions League a Bruges, ma regolarmente in campo a Torino contro i granata in campionato e poi di nuovo stoppato per la nuova trasferta europea a San Pietroburgo.
Ora c’è il big match con la Juventus e la domanda che tutti si pongono, tra tifosi e fantallenatori, è la stessa: il bomber biancoceleste potrà scendere in campo?
Da Formello filtra un cauto ottimismo. Il direttore sportivo Igli Tare ha dichiarato a Sky Sport:
«I tamponi erano regolari, li abbiamo consegnati alla Procura che è venuta più volte a Formello. Abbiamo collaborato e siamo in buona fede. Ci sono dei valori che vengono considerati in un modo o in un altro, perciò ci vuole uniformità nei protocolli altrimenti discuteremo di queste situazioni ogni settimane. Se giocherà contro la Juve? Pensiamo di sì perché nel tampone fatto ieri mezz’ora dopo quello della UEFA è risultato negativo, perciò eravamo straconvinti che sia lui che Leiva e Strakosha potessero viaggiare con la squadra. Ma nel rispetto delle regole e soprattutto della competizione, abbiamo preso questa decisione”.
La procura, dal canto suo, ha inviato i propri ispettori, sollecitata anche dal Torino.
Confronto tra test UEFA e Serie A
Come riportato da ilposticipo.it, la ‘colpa’ sembrerebbe essere dell’ormai famoso ‘gene N’, che secondo alcuni virologi creerebbe dei falsi positivi ma non contagiosi, ma che verrebbe rilevato nei test europei.
I pareri sono discordanti, anche tra gli stessi virologi. Entrambi i test sono legittimi, ad oggi, e «chi si adegua ai rispettivi esiti non può essere punito, pur seguendo protocolli contraddittori fra loro e facendo giocare a singhiozzi i propri atleti, positivi nelle coppe europee e negativi in campionato».
Evoluzione del protocollo
Ed allora appare necessario una uniformazione del protocollo, mettendo fra loro d’accordo non tanto le varie federazioni e la UEFA, quanto piuttosto i vari virologi ed esperti scientifici chiamati ad elaborare un test che dia maggiori certezze. Nel frattempo la FIGC ha aggiornato il Protocollo o, meglio, ha chiarito alcuni punti alla luce dell’evoluzione dei dati epidemiologici e del susseguirsi dei vari DPCM. In particolare, ha previsto la possibilità di sostituire i tradizionali tamponi molecolari PCR con test antigenici (quantitativi con immunofluorescenza) – ossia i cosiddetti test rapidi – che danno un riscontro immediato sia per i test di routine previsti nelle 48 ore antecedenti le partite, sia per quelli richiesti nel giorno partita per i Gruppi Squadra con positività documentate, sia nel monitoraggio con tamponi ogni 48 ore, previsto dal protocollo, in caso di isolamento fiduciario. Ciò per evitare che le lunghe attese degli esiti dei tamponi impediscano ai giocatori di tornare in campo una volta negativi.
Qual è la differenza tra negativi e “debolmente positivi”?
Ha inoltre specificato le modalità di gestione dei casi di accertata positività, in seguito all’effettuazione di test antigenico rapido, precisando che l’atleta dovrà essere considerato un “contagio”, e andrà posto in isolamento/quarantena senza poter essere schierato in campo. E ciò anche per i soggetti risultati “debolmente positivi” al test antigenico rapido, a meno di una conferma di “negatività” ottenuta con test molecolare classico, almeno 4 ore prima dall’inizio della partita. Nel frattempo il suo gruppo squadra, comunque posto in isolamento fiduciario, potrà proseguire gli allenamenti solo in caso di negatività di ciascuno ai test molecolari o antigenici quantitativi effettuati ogni 48 ore per tutto il periodo di isolamento, oltre ad esami sierologici da effettuarsi la prima volta all’accertata positività e da ripetersi dopo dieci giorni. Il gruppo dovrà quindi vivere nella cosiddetta bolla e effettuare i test il giorno della gara in modo da ottenere i risultati dell’ultimo tampone entro 4 ore per consentire l’accesso allo stadio, con la disputa della partita solo ai soggetti risultati negativi al test. Al termine della gara, tutto il Gruppo Squadra riprende il periodo di quarantena fino al termine previsto, mentre il ritorno del atleta agli allenamenti/competizioni dovrà essere valutato dal Responsabile Sanitario del club in relazione al quadro clinico di riferimento (decorso della malattia, test di laboratorio, risultati degli accertamenti previsti per il rilascio della nuova certificazione di idoneità agonistica) e al contesto e alla durata dell’interruzione dell’attività dovuta alla malattia.
I calciatori contagiati quando possono rientrare in campo?
Il calciatore potrà rientrare in caso di positività asintomatica dopo un periodo di isolamento di almeno 10 giorni dalla comparsa della positività, solo in seguito ad esito negativo del test molecolare, mentre il positivo sintomatico potrà rientrare nel gruppo squadra dopo un periodo di isolamento di almeno 10 giorni dalla comparsa dei sintomi (non considerando anosmia e ageusia/disgeusia – cioè perdita del senso dell’olfatto e del gusto o alterazione del gusto – che possono avere prolungata persistenza nel tempo) e l’esito negativo del test molecolare eseguito dopo almeno 3 giorni senza sintomi. Le persone che, pur non presentando più sintomi, continuano a risultare positive, in caso di assenza di sintomatologia da almeno una settimana, potranno interrompere l’isolamento dopo 21 giorni dalla comparsa dei sintomi.
Questo facilità la gestione ma non spiega perché un giocatore può essere positivo per l’UEFA e negativo per il nostro campionato. Su questo quindi bisognerà capire come uniformare i risultati dei test per capire, su basi scientifiche e nell’interesse di tutti, quale sia il test che dia la maggiore certezza di individuare la vera positività!