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Cristiano Biraghi
Quel tiro all’incrocio mi è costato schiaffi sul collo da Materazzi per tre giorni, è il suo modo di essere felice per me. Ho 17 anni e per me è tutto nuovo. Entro in amichevole contro il Manchester City e mi esce questo gol senza senso. L’ho già rivisto mille volte, dovrò essere bravo a non essere etichettato solo per quello. Si è generato un loop secondo il quale devo dimostrare ogni volta, le aspettative si sono impennate. Alla fine sono un ragazzo alle prime armi e non è facile gestirla: in questo l’Inter è brava a farlo, non mi ha esposto. Mi voglio tutti bene in questo spogliatoio, da Eto’o a Cambiasso, fino a un giovanissimo Coutinho. Il Triplete è arrivato solo due mesi fa.
Viaggiare, sempre. Sono un ragazzino che ha scelto di venire in Spagna, a giocare nel Granada, e pochissimi italiani scelgono di emigrare per mettersi in gioco. Ne LaLiga posso avere continuità, e non me lo sono fatto ripetere due volte. Non ho ancora né famiglia, né figli, quindi spostarsi è più facile. Prendo uno zaino e vado. Il calcio che ho trovato è molto tecnico. In Spagna il tasso è altissimo, tutte giocano a viso aperto mentre da noi c’è ancora la vecchia palla lunga. Loro hanno una concezione e una metodologia di allenamento che da noi non è ancora arrivata. Si punta sulla tattica e sulla fisicità per riuscire a vincere, qui ho capito che allenare la qualità e la tecnica è fondamentale per distinguersi ed emergere.
Qui in Spagna ci sono i due giocatori più forti al mondo, Messi e Ronaldo. Poterli affrontare è bellissimo e giocare in un campionato di tale livello, lo è altrettanto. Stadi nuovi, lingua diversa, cultura da scoprire, un nuovo modo di pensare. Amplio il bagaglio tecnico e umano, e mi diverto. Leo e CR7 sono al top della forma, si contendono palloni d’oro ogni anno e il Barcellona è una delle squadre più forti degli ultimi anni. Nei 90 minuti in cui li affronti, non è piacevole essere lì. Ma te lo ricordi per sempre. Sono quelle cose che racconterò ai miei figli. Al Camp Nou vai lì e loro hanno l’80% del possesso palla. Quasi umiliante, fai una partita di atletica e non di calcio. Sostanzialmente, loro giocano a calcio e tu corri dietro a un pallone come un cane. Il campo è gigante, loro non la perdono mai. Se fai due passaggi, al terzo ti saltano addosso.
Non ho mai voluto far fare follie ai tifosi per colpa mia. Quando mi scrivono «Se mi saluti mi faccio i capelli rossi», o cose simili, provo a non farli impazzire! Mi sentirei troppo in colpa a mandare in giro una persona con i capelli rossi, ahah! Ma apprezzo la passione, perché si tingerebbero grazie a quella.
La punizione è il mio grande amore. Il mio segreto è cercare di immagazzinare più informazioni possibili sul tipo di calcio. Studio l’erba dello stadio in cui gioco e cerco di ripetere il movimento corretto dell’allenamento. Alla fine di ogni seduta, chiedo a un portiere di fermarsi con me e inizio a tirare in modo funzionale. Oltre a migliorare il modo di calciare, testo il movimento per fermarlo nella mente e riuscire a replicarlo. Ogni punizione è diversa, è fondamentale sapere per ogni condizione come calciare e in quale modo. La rincorsa deve essere efficiente e razionale in base al calcio. Se voglio un tiro forte, vado con una frustata, e quindi mi serve più rincorsa. Se cerco un tiro morbido, invece, ho bisogno di un passetto. Fortunatamente, con una rincorsa mediamente corta riesco a imprimere una buona potenza al pallone.
Al Franchi, giocandoci spesso, conosco ogni centimetro del terreno di gioco. Il manto erboso è tra i più belli d’Italia. Altrove, dove l’erba è più alta, è differente. Devi prenderla da più sotto, altrimenti non si alza. Sono accorgimenti che fanno parte del calcio e non possono essere una scusante, devi studiare, provare e sbagliare, fino a quando non trovi la formula giusta. Io mi sono sempre ispirato a Mihajlović, uno stile di calcio simile al mio: non morbido, ma una palla veloce di mezzo collo. Lui è un must di questo gesto tecnico, avvicinarsi è difficile se non impossibile, ma cerco di rubargli qualcosa.
Promemoria: allenarsi a freccette.
Altrimenti come faccio a battere Brozović. Un mostro, ha il proprio kit anche per andare in trasferta e sfidarci tutti. Giocare con lui in ritiro è sostanzialmente una prassi. Stiamo migliorando tutti con la pratica.
Così come in campo. Da quando è arrivato Conte, è cambiato tutto. Tornare all’Inter è sempre stato il mio obiettivo. Sarò sempre contento di essere tornato, raggiungendo trofei importanti. Personalmente, incontrare Conte è stato fondamentale per la carriera. Senza dimenticarmi di bere un buon bicchiere di vino con Barella.
Non ho mai sentito un senso di rivalsa verso le critiche. Ho sempre lavorato senza ascoltare quello che si dice di me. Certo, se ti vogliono bene, è meglio del contrario. Ho dato tutto per le maglie che ho indossato. A Firenze c’è un legame più forte, questo è chiaro, perché oltre alla componente sportiva, c’è anche la scomparsa di Davide a legarci indissolubilmente. Ho ricevuto insulti per il fantacalcio, o per le mie prestazioni, ma me ne frego. Sui social tutti possono dire la loro. Quando c’è troppa libertà, si va sempre oltre. Dietro a uno schermo siamo tutti bravi. Non è un mondo che mi piace, quello. Ho visto anche quanto successo a Lollo Venuti: offese senza senso. Bisogna partire ancora prima che dai social, dalle persone, e recuperarle a livello mentale, perché se arrivi a dire certe cose, devi correggerti all’interno, non sei pronto per interagire con le persone.
Devo inviare un messaggio al mister per fargli i complimenti per la vittoria dello Scudetto. Sono molto contento per lui, se lo merita. Quando è arrivato, il Milan stava toccando il fondo, non era semplice subentrare. È stato uno dei lavori più difficili per un allenatore. È la gratificazione più grande da quando allena. Se lo merita perché è un bravo tecnico, ma anche una persona che se ne trovano poche in questo mondo. Sono felice per lui e il suo staff. Stefano è una persona molto genuina, che non differenzia tra i singoli giocatori o quello che fai in campo. Non fa tanti calcoli su come comportarsi, è buono nel senso più vero del termine. Con lui ho un rapporto pulito.
Davide, te lo avevo promesso: andiamo in Europa. Quando eri rimasto alla Fiorentina, diventandone capitano, era un anno di transizione e stava cambiando tutto. Volevamo tornare in Europa, non ci siamo riusciti e tu te ne sei andato. Ci hai lasciato i tuoi ideali da portare avanti, nella quotidianità ancor prima che negli specifici momenti. Ci siamo riusciti e questa qualificazione è anche per te. Ora che sono capitano, ho imparato che non serve sbraitare, che far capire le cose è ciò che è più importante. Cerco di replicare i tuoi insegnamenti, i giovani sbagliano ed è giusto che lo facciano, tocca a noi trasmettere i comportamenti corretti.
Sento la responsabilità di tutti, parto in primis dai miei atteggiamenti dentro e fuori dal campo. Sono responsabile di una squadra nei confronti di una città come Firenze, piazza calorosa e impegnativa. Ti dà affetto, ma chiede in cambio. Ci sono tante pressioni non facili da gestire, ma è stimolante. La qualificazione alla Conference, con un bel calcio insieme a Italiano, è stata una grande soddisfazione. Mi sono sentito partecipe di una cosa stimolante, uno dei miei momenti migliori insieme alla Champions League e all’esordio in Nazionale.