Nessuno credeva che sarebbero stati compatibili, che avrebbero creato un modello tanto bello e vincente. Con idee e programmazione al potere. Perché se da una parte il presidente De Laurentiis è uno che vuole apparire e avere il controllo su tutto, dall’altra Cristiano Giuntoli è un direttore sportivo vecchio stampo, che sta lontano dalla telecamera e i giocatori li segue in prima persona, li valuta, li vede e li rivede, prima di prendere contatti e piazzare il colpo. Vive con il telefono in mano giorno e notte, anche perché chi dorme non piglia giocatori e lui lo ha imparato con il passare degli anni. Esperienza, guizzo e capacità di adattamento ai tempi che corrono, queste sono le chiavi del successo.
«Dammi un budget e degli obiettivi, poi al resto ci penso io»
Niente nel percorso di Cristiano Giuntoli, 51 anni nato a Firenze, ma proveniente dalla vicina Agliana (in provincia di Pistoia) è casuale. Anzi, sembra che tutto segua un copione e un filo logico prestabilito. Giuntoli è un ds da chiavi in mano, della serie «dammi un budget e degli obiettivi, poi al resto ci penso io». Ma guai a mettere bocca nelle sue scelte, si parla alla fine e sarà il campo a farlo. Ha sempre ragionato così, fin dai tempi di Carpi, dove portò la squadra dalla D alla Serie A in 5 anni. Non un miracolo, piuttosto il frutto di un lavoro meticoloso in cui nessun dettaglio è stato lasciato al caso. Senza spese folli e con pochissimi errori di valutazione. Così è successo anche a Napoli. Quello che aveva fatto in provincia lo ha ripetuto in una grande, portandola a vincere lo scudetto dopo oltre trent’anni. Anche qui, non chiamiamolo caso.
Giuntoli, l’architetto mancato
Si può dire che Giuntoli sia l’architetto di questo Napoli, anche se il soprannome gli sta stretto e probabilmente gli farebbe un po’ storcere il naso. Già, perché lui architettura l’ha frequentata veramente – 19 esami per assecondare la madre – per poi lasciare spazio solamente al calcio. Prima da giocatore e poi da direttore sportivo. Con gli studi che ha fatto ha imparato a gestire gli spazi, con gli stessi occhi con cui oggi squadra la famiglia di un ragazzo che ha talento o l’albergo in cui alloggia la squadra prima della partita, giusto per citarne due esempio che rendono l’idea del suo livello di attenzione.
Cristiano l’occhio se lo è fatto in provincia. Ha fatto tanta gavetta. Ha imparato tanto, scovato, valorizzato. Guarda partite a ciclo continuo, conosce tutto del calcio minore perché quando parti da lì in qualche modo ti resta dentro. E a Carpi è stato la sua fortuna. A Napoli, così facendo, si è consacrato.
Da Lobotka a Rahmani e Mario Rui, sinergia con Spalletti e intuizioni vincenti
Non è sempre stato tutto facile però. Dopo l’esonero di Gattuso e quello ancora prima di Ancelotti, sembrava che le strade di Giuntoli e il Napoli fossero destinate a separarsi. Con l’arrivo di Spalletti le cose sono cambiate. Lobotka era un oggetto misterioso, oggi è l’uomo ovunque del Napoli campione d’Italia. Stesso discorso vale per Rahmani e Mario Rui. Merito di Spalletti certo, ma anche di chi li ha presi, trovando il modo di conciliare le scelte di mercato con il sistema di gioco. Missione compiuta.
Oggi finisce dunque in prima pagina. Meritatamente. Anche se mai in copertina perché «quella se la meritano i calciatori». Cristiano è così, schivo, avversario di riflettori e interviste. Sa come muoversi però, con i giornalisti. Conosce la stampa, il suo potere e sa toccare le corde giuste. Fondamentale in una città come Napoli, domare la comunicazione. Ha imparato a farlo fin da bambino, durante le ore passate nel bar del nonno, dove si parlava solo di calcio e di ciclismo.
«Kvara chi?»
Quando poi è arrivata la sua opportunità, Giuntoli non se l’è lasciata sfuggire e si è fatto trovare pronto. Ha rifondato lo spogliatoio: via i grandi nomi, pesanti e talvolta ingombranti e spazio al gruppo. Osimhen, Kvaratskhelia, Kim e via via tutti gli altri.
«Kvara chi? Ma dove l’ha preso questo?», mormoravano molti tifosi. Poi pronti via gol e assist all’esordio in A dopo un ritiro in cui aveva già fatto vedere cose molto positive. Prendere il georgiano a dieci milioni però non è stato soltanto un guizzo, piuttosto una ricompensa per i tanti rapporti seminati negli anni. Perché un conto è scoprire un giocatore, un altro è andarselo a prendere, trattare, bruciare la concorrenza. Qui entra in gioco il fiuto, ma anche il polso di prendere una decisione e portarla fino in fondo. E in questo Giuntoli è un maestro. Napoli e il Napoli, ringraziano.
«Cristiano io ce la farò». La lezione di Bobo
Tra gli episodi che lo hanno segnato, o comunque gli hanno lasciato impresso un esempio e una lezione, ce n’è uno che risale all’adolescenza. Giuntoli ha 16 anni e gioca negli allievi del Prato. Con lui c’è un ragazzone, italo australiano che non piace all’allenatore. Lo scartano e lo mandano in prestito. Eppure lui gli giura «Cristiano io ce la farò». Quel ragazzone era Bobo Vieri e si può dire che il suo obiettivo l’ha raggiunto eccome. Giuntoli quella lezione di tenacia non se l’è mai dimenticata.
Adesso chissà quale futuro lo attende. Tante voci, poche certezze. Cristiano ha saputo aspettare i momenti, rispettarli, capendo quando essere incudine e quando martello. Magari avrebbe preferito un presidente meno accentratore, ma a De Laurentiis è legato e gli sarà grato per sempre. Poi traguardi del genere creano legami nel profondo. Soprattutto quando ne sei l’artefice. L’architetto ha saputo creare spazi di luce, modellare il gruppo e elevarne il valore. Costruendo il palazzo più bello di tutti. In molti lo prendono come modello, dovrebbero imparare da lui la pazienza e il guizzo, qualità probabilmente naturali. Di quelle che le hai o non le hai. Quelle che trasformano le pietre in diamanti.