Se fra il 2012 e il 2013 eravate bambini, adolescenti (o perché no, adulti!) con la passione per il calcio, sicuramente vi ricorderete di ‘Calciatori Giovani Speranze’, la docuserie realizzata da MTV sulla Primavera della Fiorentina. Allenamenti, partite, dietro le quinte, momenti di vita quotidiana in convitto: le telecamere riprendevano tutto e i protagonisti, ovviamente, erano i ragazzi della rosa.
Le loro carriere nel corso degli anni hanno preso strade diverse: c’è chi è arrivato in Serie A, come Cedric Gondo, oggi attaccante della Salernitana, ma c’è anche chi, una volta giocato in C, ha scelto di intraprendere una via differente. Fra tutti, Saverio Madrigali, che di quella Primavera fortissima – dove fra l’altro giocava anche Federico Bernardeschi – ne è stato anche capitano.
Oggi, Saverio, all’epoca difensore anche delle Under dell’Italia, fa il pasticciere e l’imprenditore con una sua attività aperta nel 2021. Ma non solo. La sua pasticceria a Pisa è appena stata inserita nella guida del ‘Gambero Rosso’ fra i migliori locali della Toscana: «Come lo abbiamo scoperto? Ce l’ha detto un cliente. È entrato complimentandosi con noi… ma eravamo ignari di tutto. Gli abbiamo chiesto: ‘Ma per cosa?’. E lui: ‘Ma come? Siete nella guida del Gambero Rosso’. È un riconoscimento importante, una grande soddisfazione».
Ma come si è passati dal calcio alla pasticceria?
Il pallone è stata la prima, unica, grande, intensissima passione di Saverio fino ai 23 anni. Da Pisa a Firenze, dopo scuola, ogni giorno. Nel 2021, a 26, ha deciso però di chiudere con un mondo che gli ha dato molto, ma forse tolto altrettanto: «L’ultimo anno giocavo alla Lucchese. Lì ho deciso di smettere. Nelle ultime stagioni avevo iniziato a fare qualche corso di pasticceria, iniziandomi ad appassionare veramente. Per due anni e mezzo ho lavorato in altre strutture, ma con il COVID mi sono detto: ‘Perché non provare ad aprire qualcosa?’. Siamo partiti dal nulla, c’era un fondo vuoto. E ora dopo 3 anni eccoci qui: siamo cresciuti a livello di organico, il lavoro sta andando bene».
La domanda viene da sé: cosa lo ha fatto smettere? «Il mondo del pallone sta peggiorando nelle categorie inferiori. Più passa il tempo, più c’è questo distacco netto fra la Serie A e le altre categorie sia a livello di importanza che di guadagno economico. Questo sicuramente è stato fra i motivi principali: se uno gioca in C, non riesce a campare poi tutto il resto della vita. Arrivati a 35 anni, magari poi è difficile trovare un’altra strada. In più ho sempre avuto dei problemi dopo gli infortuni al ginocchio. E infine, il terzo motivo si lega alla mia ultima esperienza: nella mia ultima stagione a Lucca, la società è fallita. C’erano ritardi nei pagamenti, addirittura ci facevamo le docce fredde. Sembrava che non fossimo neanche professionisti. Sommando tutte le cose, ho deciso di smettere. Per me era diventato inutile».
La decisione, però, è stata tutt’altro che semplice. La realizzazione di ciò che è stato ancora meno: «Tante volte mi sono chiesto se giocare a pallone sia stata una perdita di tempo, sono sincero. Mi capitava quando ripensavo al me ragazzino: gli anni fra i 12, quando ho cominciato ad andare a Firenze tutti i giorni, e i 23 sono stati dedicati esclusivamente al pallone. Ora alleno dei bimbi per pura passione, gliene parlo e lì mi rendo conto di quanto tempo in meno io abbia avuto all’epoca: tutti i giorni uscivo da scuola alle 13.30, mangiavo in macchina per essere alle 14 agli allenamenti e poi rientravo a casa per le 21. Tutti i giorni, tutta la settimana, tutto l’anno. Però è anche vero che vivi tante esperienze belle che in molti vorrebbero provare. Sono due facce della stessa medaglia».
Essere il protagonista di una serie tv… a 16 anni
Prima di diventare un pasticciere, Madrigali nella sua carriera ha giocato con Arezzo, Pontedera, Cosenza, Vicenza e Lucchese. Senza tralasciare ovviamente la Fiorentina, anzi. Con i suoi compagni della Primavera, Saverio viveva il sogno di tanti, tantissimi giovani che, da casa, rivedevano in quei ragazzi degli esempi da seguire: «Ognuno ha avuto la propria esperienza con quella serie tv, ovviamente. Ma poi in concreto non cambiava ciò che dovevi fare: la troupe veniva al campo, si metteva accanto a te e riprendevano allenamenti, partite e così via. Ma per te era come se vivessi la tua giornata normalmente. Non era una cosa invasiva. Io facevo la vita di tutti i giorni: era semplicemente come avere un amico vicino che ti riprendesse. Col tempo ovviamente siamo diventati amici con i ragazzi che venivano al campo».
Ma se per quanto riguarda il campo, la serie non ha avuto un impatto sulla vita di Saverio e di tanti altri ragazzi della Primavera, questo non si può di certo dire al di fuori. Ha vissuto la ‘popolarità’ ancor prima di diventare un calciatore professionista a tutti gli effetti: «La risonanza che ha avuto il programma dopo l’uscita… quella sì che è stata invasiva! Non potevi andare in giro perché ti chiedevano le foto, ti inseguivano. Non è stato facile gestire quella situazione, anche perché eravamo semplicemente dei ragazzi di 16-17 anni: è un attimo che ci si monta la testa e si perde la cognizione del luogo dove sei».
Alberto Rosa Gastaldo, Axel Gulin, Alan Empereur, Gondo, Lezzerini sono solo alcuni dei protagonisti di ‘Calciatori Giovani Speranze’: «Quello che sento più frequentemente è Axel Gulin». In rosa c’era anche Bernardeschi, che però non era tra i personaggi cardine della serie: «Eravamo un gruppo davvero molto forte: eravamo tutti più o meno sullo stesso livello. Andavamo sempre in semifinale o finale di Coppa Italia e campionato. E 4-5 di noi erano sempre in Nazionale».
In passato, l’ex calciatore della Viola e della Juventus ha sottolineato come per lui esistesse solo il pallone e non volesse distrazioni. Ma quindi come funzionava la scelta del ‘cast’? «MTV aveva stipulato un accordo con la Fiorentina. Quando a inizio stagione firmi i documenti, la tua immagine è tutta interamente del club. Quindi nel momento in cui la società ha stretto l’accordo con la tv, noi siamo diventati parte del programma. Poi MTV ha scelto i protagonisti in base alle possibili storie da raccontare: c’era Gondo, giusto per dirne uno, che aveva un rapporto molto intenso con la sua famiglia, era attaccatissimo alla mamma».
Essere protagonista di una serie TV a 16 anni, per qualcuno, effettivamente, può essere stata una distrazione: «Non era invasiva, ma una fonte di distrazione sì. La fortuna era avere accanto delle persone che ti consigliassero nella maniera giusta, fra procuratori e famiglia. Serviva qualcuno che ti tenesse con i piedi per terra senza farti perdere la cognizione del fatto che fossi un ragazzo che faceva uno sport sì per divertimento, ma anche con un obiettivo finale in testa. A me questa cosa non ha toccato più di tanto: io vivevo la mia quotidianità tornando a casa ogni sera. Era un: ‘vado a Firenze, mi alleno, faccio ciò che devo e torno’. Ad altri magari è pesato di più perché erano in convitto tutto il giorno, tutta la settimana».
Da mister Semplici a Montella e… «Ma Pepito Rossi quanto era forte?!»
Nei suoi anni a Firenze Madrigali è sempre stato un punto fermo. Si è allenato con tanti allenatori in Primavera, fra cui Leonardo Semplici: «Per me in quegli anni era nel posto sbagliato: era già improntato per una squadra di adulti, veniva da esperienze in campionati veri. Non eravamo pronti noi ad avere un rapporto del genere: i ragazzi a quell’età non sono in grado di capire quale sia la cosa giusta. Quando sei grande, sei più intelligente, sai gestire meglio certe situazioni. Forse ci è mancata quella cosa lì, ma da allenatore… nulla da dire».
Col tempo Saverio è riuscito anche ad entrare con buona continuità nel gruppo della prima squadra allenata da Vincenzo Montella: «Capitava avessero bisogno di ragazzi, in 4-5 eravamo praticamente fissi. Siamo anche stati convocati, ma solo Capezzi e Bernardeschi esordirono. Montella era uno che teneva un po’ le distanze nello spogliatoio, non solo con noi giovani, ma con tutti». In quella Fiorentina c’erano tantissimi campioni, ma uno ha rubato per sempre il cuore di Madrigali: «Quello che mi ha impressionato di più è stato Giuseppe Rossi. Sono rimasto scioccato dal tocco palla che aveva. Anche quando faceva la cosa più semplice come i dribbling con i coni, sembrava un alieno. Una velocità assurda: pum, pum pum! Non avevo mai visto una cosa del genere. Quella Fiorentina aveva un livello tecnico altissimo, ma quell’episodio lì mi è rimasto impresso. Veniva già da due crociati, ma era comunque impressionante: andava a una velocità fuori dal mondo».
Pepito, però, non era l’unico: «C’era Pizarro: in allenamento nessuno andava a pressarlo perché tanto non gli toglievi palla. Poi c’era Gonzalo Rodriguez: in difesa era sempre perfetto. Cuadrado si allungava la palla e non lo prendeva più nessuno. Mamma mia, era una Fiorentina davvero forte! Però Pepito mi impressionò davvero: faceva tutto con una tranquillità disarmante. Come se fosse tutto normale».
Dalla Nazionale con Romagnoli e Petagna fino alla rottura del crociato… 2 volte
Saverio cresce, gioca, sempre di più e sempre meglio. Veste anche la maglia dell’Italia fino all’U18. Poi arriva il primo grande stop: «Mi sono infortunato in Germania con la Nazionale. Il medico mi disse: ‘Puoi fare gli esami, ma sicuramente ti sei rotto il crociato’. Lì ti cade il mondo addosso. All’epoca non c’era tutta l’informazione di oggi, era ancora un terreno un po’ sconosciuto, su Internet trovavi poche info.
Sono andato dal Prof. Mariani e lì è sorto un altro problema: avevo una cisti ossea. Ho praticamente fatto due interventi perdendo un anno intero. In quei momenti magari non ti rendi conto della gravità dell’infortunio: certo, hai paura, ma sei incosciente. Pensi: ‘Ok, ma tanto poi passa’».
A 22 anni, però, il ginocchio fa crac nuovamente: «Il secondo infortunio l’ho sofferto di più a livello di testa perché è una cosa che ti butta parecchio giù e tu sei più consapevole di ciò che comporta. Non torni più quello di prima, anche solo a livello di movimenti. Avevo già iniziato a pensare di lasciare il calcio. Mi dicevo: ‘Ha senso continuare a provarci?’. Ti rendi conto di perdere molto tempo per l’infortunio e il recupero te ne porta via altro: non è che torni e sei perfetto, anzi. C’è tutto il calvario fra ritmo partita, minutaggio e così via».
La decisione di lasciare il calcio è, dunque, maturata per 4 anni. Guardandosi indietro, però, Saverio scorge tanti ricordi belli: «Il più bello? Ce ne sono tanti. A livello giovanile sicuramente i tornei e le convocazioni in Nazionale. Ti rendi proprio conto della differenza che c’è nel vestire quella maglia. A me veniva da piangere quando sentivo l’inno in campo. Eravamo molto forti, in tanti sono arrivati a giocare in A: Romagnoli, Petagna, Cristante, Capezzi, Lezzerini, Gollini. Un altro momento stupendo è stato il primo gol fra i professionisti: quando segni ed esulti davanti alle persone, vedi le lacrime nei loro occhi. Quella cosa lì ti mette i brividi: loro piangono perché sono talmente tanto contente per ciò che hai fatto che non riescono a nasconderle. È una sensazione indescrivibile».
«C’è ancora chi mi chiede: ‘Perché hai mollato?’»
Parlare con Saverio è emozionante. Percepisci la sua passione e come tutte le storie più intense, ne è poi rimasto scottato: «Il calcio mi manca, ma sono rimasto talmente tanto bruciato dalle dinamiche ci sono dietro che poi mi passa. Basta accendere la tv. Vedi notizie su notizie, calciatori meno bravi di altri che vengono premiati di più e allora ti chiedi: ‘Ma perché devo continuare a vedere queste cose?’. E con questo, non voglio dire che il calcio segua solo il potere economico, sia chiaro».
A 26 anni, Saverio però fa il passo. Smette col calcio e apre una sua attività: «Nell’ultima stagione per me era diventato veramente faticoso andare al campo. C’erano tante situazioni scomode: sono finito fuori rosa per due mesi, con la società che diceva che fossi infortunato. Ma non era vero. Poi mi hanno richiamato in squadra perché altrimenti non arrivavano a 11. Tutte queste situazioni mi facevano pensare: ‘Ma chi me lo fa fare?’. Quando ero ragazzino o adolescente, non avevo mai sofferto i sacrifici: il calcio era il mio mondo. Davo tutto. Ho smesso perché ho iniziato a sentire che qualcosa dentro di me stava cambiando».
Il primo step è stato dirlo ai genitori: «Mia mamma era contenta perché aveva vissuto in prima persona i miei ultimi anni. Si è resa conto di quanto sacrificio non ricambiato ci fosse dietro. Io facevo tutto col massimo impegno e tutto l’amore del mondo: la mattina facevo fisioterapia per il ginocchio, poi andavo al campo. Non ero mai a casa… però poi ti ritrovavi fuori rosa e a girare da solo a bordocampo».
Se la mamma lo ha accettato, per il papà è stato più difficile: «Era disperato perché lui è super appassionato di calcio. Gli è caduto il mondo addosso. E lo capisco, eh: i miei mi hanno seguito ovunque, persino in trasferta. Lui l’ha sofferta. E poi c’erano gli amici: ‘Ma perché lasci, Save?’. E io rispondevo: ‘Perché devo fare qualcosa che non mi diverte più, che non mi dà più ciò che volevo e che non mi garantisce un futuro a livello economico? Chi me lo fa fare?’. E a questa domanda non sa rispondere nessuno perché la verità è che non c’è un’altra risposta».
«La pasticceria mi ha cambiato la vita… anche se adesso i dolci mi piacciono meno»
Da quando Saverio ha aperto nel 2021 si è tolto delle belle soddisfazioni. La sua vita è cambiata. Niente più telecamere o palloni. Spazio a un vero e proprio laboratorio: «Abbiamo un laboratorio in pasticceria: attacchiamo alle 4.30/5 della mattina e arriviamo fino all’ora di pranzo. Ho sempre il pomeriggio libero, ma ho subito percepito il cambiamento. Quando arrivi a vivere la vita di tutti i giorni, ti rendi conto che per una persona ‘comune’ i soldi sono importanti. Si sudano quotidianamente. Non è che dici: ‘Oggi non mi alleno’. La quotidianità acquisisce più valore, così come il denaro.
E poi la gestione del tempo: prima magari ti allenavi due ore, poi ti gestivi da solo. Sceglievi tu se andare in palestra, dal fisio e così via. Ora è diverso. Rispetto a prima ti rendi conto anche di quanta differenza economica ci sia. Magari prima prendevi 2-3mila euro al mese e paragonandoti agli altri dicevi: ‘Ma se gli stipendi medi in B o C sono fra i 110 e 120 mila euro, perché io ne prendo appena 2 al mese mentre gli altri 12?’. Adesso non è più così. Cambi proprio mentalità».
Le difficoltà comunque in un mondo o nell’altro restano: «L’aspetto più difficile da calciatore era convivere con lo stress di tutti i giorni. Devi stare sempre sul pezzo, sopportare le critiche – anche infondate. È difficile lasciare fuori certe cose e concentrarsi solo su ciò che vuoi per te. Ora invece devi stare attento a tutti gli aspetti che ci sono dietro un’attività: tasse, pagamenti e così via. E poi le preparazioni più difficili: le torte di compleanno dei bambini. Sono i dolci che mi piacciono meno. Si chiamano ‘cake design’ e differisce dalla mia idea di pasticceria perché sono tutte cose fatte con pasta di zucchero. È modellismo, dai!».
Di strada Saverio ne ha fatta. È caduto, si è rialzato. Ha scelto di cambiare. E non è mai una cosa scontata. Ora lavora nella sua pasticceria e gira il mondo per lasciarsi ispirare: «I viaggi sono un’altra mia grande passione. Cerco sempre di prendere spunto e trovare qualcosa di interessante da aggiungere alle mie ricette. Ci sono posti dove la pasticceria è sensazionale: la Francia e Parigi sicuramente sono i posti che mi hanno arricchito di più. Ma anche gli USA fanno sempre qualcosa di particolare».
Qualche anno fa studiava economia, si era sempre tenuto un piano B, ma la pasticceria era una cosa più che lontana: «Nel mio primo anno di professionismo, studiavo Economia. Ma era impossibile andare avanti: gli orari delle lezioni non combaciavano mai con quelli degli allenamenti e delle partite così ho abbandonato l’idea. A fine carriera avrei potuto ricominciare a studiare, ma mi sono avvicinato alla pasticceria. E sta andando bene per ora… quando giochi devi essere molto disciplinato, ma i dolci mi piacevano molto. Stavo sempre molto attento, ma li mangiavo. Adesso lavorandoci ogni giorno, in realtà, molto meno».
«Dopo il Gambero Rosso, qual è il mio obiettivo?»
La pasticceria Madrigali è entrata nella guida del Gambero Rosso. Per Saverio, però, è solo l’inizio: «Sicuramente è un riconoscimento bello e importante, impreziosisce il tuo nome e ti porta qualche cliente, ma poi finisce lì. C’è il lavoro di tutti i giorni da portare avanti. Il mio obiettivo è alzare sempre di più la qualità, farmi conoscere di più in zona e far comprendere alle persone che dietro a certi prodotti c’è uno studio complicato, anche grazie alle nuove tecnologie. La pasticceria deve essere così».
La chiusura del cerchio, però, non poteva che essere sul pallone: «Un rimpianto? A volte ci pensi. Dici: ‘Cavolo, io ho avuto la sfortuna di rompermi il crociato addirittura due volte e gli altri mai mezzo infortunio’. Purtroppo conta essere bravi, conoscere le persone giuste, trovarsi al posto giusto nel momento giusto, ma anche essere risparmiati dagli infortuni. Se non ti fai male, hai già fatto un quarto del lavoro. Però chiaro… come fai a dirlo? Magari non ce l’avrei fatta comunque. Ma è andata così. E con la pasticceria ho ritrovato la felicità». E questa è la cosa più bella. Perché a 26 anni si può cambiare percorso e trovare una nuova, alternativa via per la propria vita.