La fiaba più bella della storia del calcio europeo per Nazionali non poteva che arrivare dal Paese del fiabista moderno per eccellenza, Hans Christian Andersen, l’uomo della Sirenetta che guarda il mare all’ingresso del porto di Copenaghen. È per quello che, come tutte le fiabe di Andersen, in questa storia c’è anche una forte vena di malinconia. Non solo: la Danimarca 1992 è l’unica Nazionale dell’epoca contemporanea che è diventata un film, un film vero, con attori, sceneggiature, dialoghi, scenografie. Scritto e diretto da Kasper Barfoed, il film si chiama “Sommeren ’92”, Estate 1992: per chi conosce quelle facce e quei cognomi, basta una semplice data. Aveva fatto capolino la scorsa estate anche su Netflix Italia, approfittando della coincidenza con gli Europei; magari ora ci tornerà per i Mondiali di novembre, oppure bisognerà cercarlo in altre vie su Internet. Per esempio, se avete dimestichezza con il danese, lo trovate su Youtube.
Danimarca all’Europeo 1992, come un film
Il protagonista principale è il ct Richard Moller Nielsen (interpretato da Ulrich Thomsen), uomo mite e tormentato, da più parti considerato non all’altezza di guidare una Nazionale così talentuosa: eliminato nelle Qualificazioni Europee, per tutta la prima parte del film è a lungo sull’orlo dell’esonero prima del clamoroso exploit con una squadra priva del suo maggior fuoriclasse, Michael Laudrup fresco campione d’Europa con il Barcellona: chiamato a scegliere tra l’Europeo e le vacanze a Riccione, l’ex attaccante di Juventus e Lazio non ha dubbi nel preferire la Riviera Romagnola. Gli altri giocatori, però, ci sono tutti, da Vilfort al “fratello d’arte” Brian Laudrup fino all’eccentrico John Jensen il cui soprannome, “Faxe” (nota marca di birra danese), la dice lunga sulla personalità.
Il c.t. doveva montare la cucina, invece…
L’impresa danese è diversa da altri miracoli sportivi come per esempio la Grecia 2004 o – ahinoi – l’Italia 2021. Com’è noto, la Danimarca a quell’Europeo a 8 squadre non doveva nemmeno esserci: era arrivata seconda nel girone dietro la fortissima Jugoslavia, ennesimo flop di una generazione che aveva illuso il Paese con le spettacolari prestazioni ai Mondiali 1986 ma non era più riuscita a ripetersi nei grandi tornei successivi. Quando il 1° giugno 1992 arrivò la notizia della squalifica della Jugoslavia, in seguito alle sanzioni inflitte dalle Nazioni Unite secondo dinamiche simili a quelle che in questi mesi stanno colpendo la Russia, il ct Moller-Nielsen era assorto nell’opera di montaggio della nuova cucina e quasi tutta la squadra era già partita per le vacanze con le rispettive compagne, non molto felici di abbandonare le spiagge di tutta Europa per una seccatura di un paio di settimane.
Qualcuno probabilmente pensò che si trattasse di un fastidio più che un’opportunità, che senza una vera preparazione la Danimarca non sarebbe uscita viva dal durissimo girone contro Francia, Inghilterra e i padroni di casa svedesi. E poi c’erano storie minori che finirono per condizionare e arricchire l’avventura umana, prima ancora che tecnica, di quella Nazionale estemporanea ma fatta di uomini veri: per esempio quella del centrocampista Kim Vilfort, che in quei giorni aveva i pensieri occupati sempre da sua figlia Line, otto anni, malata di leucemia: alla fine di ogni partita faceva ritorno in Danimarca e per questo motivo saltò anche la partita di girone decisiva per il passaggio in semifinale, quando i suoi compagni superarono 2-1 la Francia di Cantona e del Pallone d’Oro 1991 Jean-Pierre Papin.
Dentro il torneo
Era un Europeo più breve di quello attuale: per alzare il trofeo erano necessarie appena cinque partite nel giro di quindici giorni, il segnale che poteva succedere di tutto. E lungo il tragitto gli eroi cambiarono di partita in partita: in semifinale fu la volta del portierone Peter Schmeichel, reduce dalla sua prima stagione al Manchester United, che ai rigori finali ipnotizzò Marco Van Basten, Pallone d’Oro in pectore e certamente il miglior rigorista al mondo in quel momento. I danesi affrontarono le partite decisive come se fossero sulla luna: la logica diceva che nulla avrebbero potuto contro i campioni uscenti (Olanda) e i campioni del mondo in carica (Germania), ma il calcio segue binari che la ragione non conosce.
Così nella finale di Goteborg Schmeichel sfoderò un altro paio di miracoli e i tedeschi si trovarono lentamente sopraffatti nel gioco e nello spirito da questa squadra di outsider il cui numero 9 Flemming Povlsen non segnò nemmeno un gol e il cui capocannoniere, Henrik Larsen, avrebbe raggiunto di lì a qualche settimana il ritiro del Pisa, in serie B. Dopo venti minuti ci pensò John Jensen a portare in vantaggio i suoi: era uno che segnava molto di rado, ma quel pomeriggio i pianeti erano allineati in modo tale da far finire sotto la traversa il suo destro violento e definitivo, imprendibile per Illgner. La Germania, priva del suo leader Matthaeus che si era gravemente infortunato in primavera al ginocchio, non riuscì a reagire e incassò il secondo gol a una decina di minuti dal termine, un bel tiro da fuori di Vilfort a colorare ancora più di fiaba queste due settimane che sovvertirono l’ordine precostituito del calcio europeo. Non vinsero i giocatori migliori, ma certamente la squadra più forte.
E dopo?
La Danimarca rientrò rapidamente nei ranghi. Non si qualificò al Mondiale di USA 1994, eliminata dalla Spagna dopo una partita piena di polemiche arbitrali, e fece semplice atto di presenza agli Europei 1996, eliminata ai gironi da Croazia e Portogallo. Fu una meteora che attraversò i cieli ancora illuminati a giorno per un paio di settimane. Nostalgia nella nostalgia: Euro 1992, con le sue partite quasi tutte in pieno sole grazie agli infiniti tramonti dei cieli di Svezia, fu anche l’ultimo torneo in cui fu consentito ai portieri di raccogliere con le mani un retropassaggio di un loro compagno. Un ultimo tocco vintage prima di salutare un torneo a suo modo indimenticabile.