Danjuma ha preferito l’Everton al Milan. Come fece Botman col Newcastle la scorsa estate. De Zerbi ha scelto rimanere in Premier League piuttosto che aprire all’Inter. Non serve stupirsi, ma essere consapevoli: la Premier è l’NBA del calcio. Prendiamo proprio l’esempio del basket. Un giocatore preferisce giocare in Europa, invece che alla Virtus, o in una medio piccola in America?
La Premier è diventata il campionato più visto al mondo, più ricco, più competitivo, con più marketing. E come l’Arabia -anzi: non tanto quanto l’Arabia – ha un vantaggio competitivo: può pagare subito i club e aumentare decisamente il conto in banca del calciatore. Il risultato è che la giocano ad un’altra velocità. Ma tornando all’Italia, quindi, cosa bisogna fare? Il nostro campionato resta molto difficile, diviso in due tronconi da 10 squadre abbastanza definiti: la fascia medio-alta e quella medio-bassa. È competitivo, perché se in Spagna vincono sempre 2, al massimo 3 squadre, in Italia tutti gli ultimi 4 campionati li ha vinti una squadra diversa. I nostri allenatori restano i migliori al mondo, nel Paese c’è tanta cultura calcistica. Il campionato piace, gli stadi sono pieni, ma non abbiamo chiaramente più la potenza economica di prima. Ci mancano sempre le strutture (vedi: stadi di proprietà) e dovremo diventare sempre di più una Farm League, un campionato delle idee e che forma i giocatori, perché bisogna fare mercato con tanto lavoro di scouting e arrivando prima degli altri. Rejndners è un esempio virtuoso. Poi abituiamoci al fatto che di qui si passa e poi si vende, salvo rari casi. Servirebbe anche un discorso di sistema, dall’alto, per migliorare il prodotto. Perché Premier prima e Liga poi hanno fatto proprio così, un lavoro di sistema. E oggi tra ricavi di stadi tutti di proprietà (a parte il West Ham in affitto per 100 anni) e ristrutturati, tv e merchandising la Premier è diventata ingiocabile o più semplicemente l’NBA del calcio.