Ombre e polvere al Maracanà, come se a parlare fosse Proximo del Gladiatore. Chissà se ha visto il film. Drissa Camara è cresciuto in questo, dribblando pietruzze e sassi su quel campetto in Costa d’Avorio che si chiamava proprio così, Maracanà. Lì ha imparato a dettare i tempi, a segnare e a saltare l’uomo, a volte senza scarpe. «Alle 4 del pomeriggio arrivavamo tutti già cambiati, cascasse il mondo. Impegni, ritardi, imprevisti. Nulla ci avrebbe fermato». E mentre lo racconta l’espressione cambia.
Lo sguardo va a destra, come se l’immagine di lui bambino fosse incastonata come un diamante tra i suoi ricordi, accanto a un’altra in cui alza un trofeo più grande di lui. «In uno degli ultimi tornei giocati in Costa d’Avorio ho vinto il titolo di miglior giocatore». L’ultimo dettaglio è il sorriso. Riconoscente, felice, perché senza il Maracanà non sarebbe arrivato neanche il Tardini, ma anche un po’ nostalgico, in quanto Drissa non torna in quel campetto da diverso tempo.
Camara, un gol per la famiglia
Oggi il suo presente è Parma, la città che l’ha preso per mano a 11 anni e non l’ha più lasciato andare: «Ormai mi sento un parmigiano», ci racconta. All’inizio introverso, sulle sue, poi sempre più a suo agio. La timidezza di Drissa, nascosta da occhi buoni che a vent’anni hanno già visto parecchio, sparisce piano piano. Centrocampista, oggi 20enne, il 12 novembre ha segnato il primo gol in B contro il Cittadella. Il secondo tra i pro’ dopo quello alla Salernitana in Coppa Italia. Un guizzo per la famiglia in Costa d’Avorio e per papà che non c’è più: «Se n’è andato nel 2018. Non gli ho potuto neanche dire addio…». E qui si ferma.
Camara non ha visto la sua famiglia per sei anni. Arrivato nel 2015 insieme ad altri futuri calciatori ivoriani, tra cui Chaka Traoré del Milan Primavera (tre presenze in A con il Parma), è stato vittima di un raggiro. Chi lo accompagnò in Italia dalla Costa d’Avorio violò le norme per i calciatori minorenni. Fece credere alle autorità che il ragazzo arrivava nel nostro Paese per un presunto ricongiungimento familiare. Drissa fu ingannato, ma il Parma l’ha preso sotto la sua ala.
«Le lacrime di mia madre»
Nel 2021 è tornato per la prima volta in Costa d’Avorio dopo sei anni: «Quando ho rivisto mia madre abbiamo pianto senza dirci nulla. E insieme a noi c’erano i miei quattro fratelli e la sorellina. È stato uno dei giorni più belli della mia vita. Ho ripensato a tutte le notti in cui sono stato da solo in convitto, nella mia cameretta, mentre tutti gli altri tornavano a casa per le feste o in vacanza. Io no. Sono musulmano, non festeggio il Natale, ma restare da solo il 25 dicembre o durante quei giorni fa male». Tra un mese tornerà a casa a Capodanno per la prima volta dal 2015: «Impensabile fino a qualche tempo fa. Tutto ciò che faccio è dedicato alla mia famiglia. Il primo gol in Serie B, invece, è per mio padre. Quando sono tornato sono andato a trovarlo al cimitero». E qui non aggiunge altro. Il silenzio parla per lui. La sua è una storia di sacrifici: «Negli anni ho avuto diversi infortuni. Prima il menisco, poi mi sono operato a entrambe le spalle. ‘Uscivano’ sempre per problemi legati alla crescita. Da quest’anno sono in prima squadra, Pecchia mi sta dando fiducia». Centrocampista di lotta e governo, fin qui ha segnato due gol e sfornato due assist in sette presenze. «Il mister mi dice sempre di restare concentrato e di non perdermi. È il mio punto debole: ogni tanto resto sulle nuvole e fatico a entrare in partita, ma ci sto lavorando».
I consigli di Buffon
Anche grazie ai consigli di Buffon: «Nello spogliatoio siamo l’uno accanto all’altro. Mi parla spesso, mi dice in cosa migliorare, poi scherziamo molto. Ogni tanto fa finta di dimenticarsi da dove vengo. ‘Ma quindi tu sei del Senegal, giusto?’. Avere una leggenda come lui aiuta». Un’altra figura di riferimento è Giovanni Manzani, il segretario del settore giovanile: «Un secondo padre. Se l’avessi chiamato all’una di notte avrebbe risposto. Si può dire che mi ha visto crescere, e che mi ha insegnato cos’è la vita. Io e Traoré siamo come fratelli. Abbiamo superato gli ostacoli facendoci forza a vicenda. Non abbiamo visto le nostre famiglie per anni. Nel 2020, durante il periodo del Covid, a Parma c’eravamo solo io e Bruno Alves. Il resto dei giocatori erano a casa. A diciott’anni è tosta, ti mancano le certezze, ma volevo diventare un calciatore a tutti i costi». Ce l’ha fatta.
Tuttora Drissa spedisce gran parte dei suoi guadagni alla famiglia. «Sono un tipo tranquillo. Vivo da solo da qualche mese e per venire agli allenamenti prendo l’autobus. Sarebbe bello far conoscere Parma a mia madre». Una sorta di «isola che c’è» dove la vita non gli ha permesso di trasformarsi in Peter Pan. Drissa è cresciuto in fretta e ragiona da adulto. Per obiettivi: «Uno dei miei idoli è Yaya Touré, sogno di rappresentare la Costa d’Avorio». E sentirsi come Peter Pan. Per una volta sola.