La storia di Emanuele Rao, uno dei pochi 2006 del calcio italiano: «Gioco e convivo con il diabete»

by Giacomo Brunetti

Quando ha segnato contro la Lucchese in Serie C nel 2023, è diventato il più giovane marcatore di tutto il campionato in quella stagione: a 17 anni, sei mesi e 13 giorni è diventato il 2° marcatore più precoce nella storia della SPAL. Emanuele Rao è nato nel 2006 ed è stato enfant prodige in C, è una certezza della sua squadra e ha già messo a referto 4 reti. Una stagione complicata per i ferraresi, che devono uscire dalle zone calde della classifica. Nonostante sia da poco maggiorenne, sono due anni che vive il calcio dei grandi: «Essermi messo alla prova fin da giovanissimo in un campionato complicato è stato tosto, non mi è stato regalato niente e rispetto alla Primavera fai un percorso che ti sbatte subito in faccia la realtà. All’inizio non è stato facile: fisicamente, anzi, molto difficile; ma pure trovare gli smarcamenti giusti oppure allontanarsi dall’uomo. Ma devo dire che sta proseguendo bene».

Ha due modelli che sono «Lookman e Leão, esterni sinistri e di gamba, con dribbling, mi ispiro a loro», e quando era piccolo sognava di diventare un parrucchiere: «Ho frequentato una scuola da parrucchiere perché da piccolo avevo molta passione per i barbieri con gli amici del mio paese». E di questa passione ne ha fatto una sfida: «Volevamo aprire un negozio da piccoli. Ho iniziato quando giocavo nel Chievo, poi quando è fallito sono passato alla SPAL e con mia mamma e mia zia ne abbiamo cercata un’altra. Dopo un anno, a causa degli impegni sportivi in Primavera e in Nazionale, non riuscivo ad avere costanza e ho accumulato diverse assenze, quindi ho dovuto cambiare: mi è dispiaciuto. Adesso frequento il Liceo Scientifico Sportivo a Ferrara». Quindi se qualcuno dovesse chiedergli un taglio… «ho perso la mano! Ma prima, specialmente al Chievo, qualche compagno l’ho aiutato».

La convivenza con il diabete

Emanuele è alle prese ogni giorno anche con il diabete. Non facile per lui che è un atleta professionista. Aveva una bisnonna con il diabete di tipo 2, mentre a lui è stato diagnosticato il diabete mellito di tipo 1, una patologia cronica autoimmune che causa appunto un’alterazione del sistema immunitario. Ormai sono 10 anni che ci convive: «Ho il diabete dal 2015, avevo 9 anni. Giocavo nel Chievo e durante le partite avevo sempre molta fame, iniziavo a tremare e non capivo perché. La notte mi svegliato, dovevo andare spesso in bagno, anche tre volte a notte, e bevevo tanta acqua. I miei genitori sono entrambi infermieri e hanno deciso di portarmi all’ospedale dove lavoravano per farmi delle analisi. Mi hanno trovato una glicemia altissima e hanno scoperto che avevo il diabete. Lì per lì non sapevo neanche cosa fosse, ero ricoverato in ospedale e ho solo chiesto a mia mamma: ‘Potrò continuare a giocare a calcio?’». A quel punto, insieme alla famiglia, è iniziata la convivenza: «Mia mamma mi ha tranquillizzato, mi diceva: ‘Stai tranquillo amore, potrai ancora giocare a calcio’. Sono rimasto per 5 giorni in ospedale, durante le feste di Natale, e ho passato la vigilia lì con mia mamma e mio padre. È stata tosta, non capivo cosa fosse». 

Una volta uscito dall’ospedale, «ho ripreso gli allenamenti con il Chievo. Mio padre mi seguiva tutte le sere, dopo lavoro, veniva a vedere gli allenamenti e mi aiutava nelle pause per bere. Andavo da lui, mi provava la glicemia e monitoravamo. Se c’era qualcosa che non andava, mi dava un panino da mangiare in fretta. Riprendevo gli allenamenti bevendo una bottiglia di acqua e zucchero. Non è stato facile». Una cura del dettaglio che un giorno, quando il Chievo è fallito, li ha messi davanti a una scelta: «Quando mi ha chiamato la SPAL, i miei genitori si sono chiesti se fosse sicuro mandarmi lontano da casa, da solo, con il diabete. Ci abbiamo ragionato molto, ma abbiamo provato: ho trovato delle tutor eccezionali che mi sono state dietro, mi hanno aiutato molto, da lì ho imparato a gestirlo in autonomia. Inoltre nella scorsa stagione in squadra c’era anche Patryk Peda, anche lui soffre di diabete. Ci siamo trovati sotto questo aspetto. Adesso sta andando bene: ogni tre mesi vedo il mio diabetologo. Mi dice che ho dei risultati eccezionali».

Ancora oggi, in ogni allenamento e in ogni partita, ha un compito in più: «Ho il microinfusore, che è un macchinino. Non faccio le classiche siringhe. È una sorta di pancreas artificiale e io devo dargli gli input su cosa mangio, e su quello basa l’insulina. Prima della partita lo tengo per il riscaldamento perché più tempo lo tengo addosso, meglio è. Durante la partita lo stacco perché magari con un colpo si può rompere. A fine primo tempo lo riattacco per quei 15 minuti che sono negli spogliatoi, faccio l’insulina che serve e poi lo stacco per il secondo tempo».

L’esperienza in Nazionale e la voglia di svoltare con la SPAL

Emanuele fa parte anche della Nazionale. Ora è in under-19 e punta l’Europeo di questa estate: «Sono uno dei pochi calciatori cresciuti in un vivaio di una squadra in Serie C. Quando sono stato chiamato in Nazionale, ho iniziato con l’under-17. Ho visto subito Pafundi e mi sono detto ‘Ok, qui il livello è alto, questo ragazzo è veramente forte’. Ho fatto amicizia con Mendicino, oggi al Cesena, ma anche Martinelli della Fiorentina. Ho fatto l’Europeo under-17, che non è andato benissimo, ma ho giocato sempre ed è stato emozionante perché era la prima volta che andavo in televisione. Un’emozione bellissima anche per i miei genitori a casa. Ora mi hanno chiamato in under-19». Il miglioramento è sempre a primo posto: «Nell’immediato voglio migliorare e finire l’anno al meglio. Ho già superato il mio numero di gol della scorsa stagione e questo è già un buon obiettivo. Voglio arrivare al prossimo Europeo u-19».

È giovane, ma è sempre proiettato in avanti. Come quando con il primo stipendio, non ha comprato un vezzo, ma… «un macchinario per il recupero fisico. Ho compiuto 18 anni da poco e non avevo la patente, dovevo sempre chiedere i passaggi ai miei compagni e non potevo andare prima al campo per fare prevenzione o recupero. Quindi appena ho avuto un po’ di soldi da parte, ho comprato questa macchina che avevo visto utilizzare anche ad alcuni calciatori più grandi di me. Così posso fare attivazioni, massaggi prima dell’allenamento e altre cose».

La SPAL adesso deve ingranare: «Siamo partiti bene, stiamo lavorando molto per non incappare in momenti che fermano la nostra strada. Mi è piaciuto come sono partito a livello personale, credo di essere calato nelle ultime partite, ma continuo a darci dentro per fare sempre meglio. Sono maturato molto stando con i grandi, anche fisicamente, specialmente in questa stagione». Anche l’attaccamento alla società lo sprona: «Il rapporto con i tifosi della SPAL è bellissimo. Sono molto caldi, anche quando ci sono stati dei faccia a faccia nei periodi negativi, li ho sempre sentiti. Certo, non è piacevole avere dei faccia a faccia perché significa che le cose stanno andando male, ma per un ragazzo giovane sapere di avere dei tifosi così attaccati, che cantano tutta la partita, è uno stimolo ed emoziona tanto. Ho sempre cercato di concentrarmi sul campo e poco sulle voci esterne, in tutti i momenti».

Appassionato di bicicletta (ma non di ciclismo), da piccolo andava in mountain bike nel bosco con gli amici del suo paese. Si gode la sua avventura in Serie C, sapendo che tante squadre lo monitorano. Prima, però, bisogna fare bene con la sua SPAL. Sempre con un occhio a dare di più, «devo migliorare in fase difensiva perché noi attaccanti siamo i primi a difendere. E poi devo diventare più cattivo davanti alla porta. Antenucci mi parla spesso e mi dà tanti consigli: li metto in tasca e li porto con me. Così come quelli di tutti i più esperti». Emanuele Rao è uno dei pochi 2006 protagonisti nel calcio italiano: il futuro è dalla sua parte.