Emanuele Valeri si riassume in tre parole. Le prime due sono «My Family», chiare e intuibili. Se l’è tatuate sul braccio a 18 anni perché per lui la famiglia è tutto. «Volevo qualcosa che resistesse al tempo, ogni giorno, sempre insieme a me». Come le iniziali dei suoi nonni sul collo, i primi ad alzargli il mento con il pollice a 13 anni, dopo il primo schiaffo incassato dalla vita. «Giocavo nella Lazio. Ogni tanto facevo il raccattapalle all’Olimpico e andavo in curva, mi divertivo, stavo bene». E poi? «Poi basta. Dopo i Giovanissimi mi dicono che la storia finisce lì. Un’altra squadra da cercare, un campo diverso dal Gentili, un sogno che si sgretola. Lì mi allenavo sognando i campioni come Klose. Fu una bella botta, lo ammetto».
Perseveranza
E qui subentra la seconda parola, «perseveranza», perché Valeri ha ricominciato dal basso, ha cambiato ruolo, ha giocato in Eccellenza, si è salvato con l’Atletico Vescovio in un campo a Via del Baiardo, vicino al Tevere, e poi ha debuttato in Serie A con la Cremonese proprio lì vicino, all’Olimpico. Perseveranza. E visto che a Valeri piacciono i film gliene consigliamo uno: si chiama The Founder e racconta la storia di Ray Kroc, l’uomo che ha inventato il mondo McDonald’s come lo conosciamo noi. Non il sistema espresso, bensì l’impero immobiliare con ristoranti in tutto il mondo. Il film si apre con il primo piano di Michael Keaton che cerca di vendere un frullatore a chi non ha voglia di ascoltarlo, e si chiude con le prove di un discorso da fare davanti al presidente degli Stati Uniti. «Perseveranza», concetto ricorrente.
Il raccattapalle in Serie A
Crederci sempre, quindi. «Nel 2016 giocavo per divertirmi, oggi sono in Serie A». Terzino a tutta fascia della Cremonese di Alvini, sei presenze e un gol alla prima annata tra i grandi. «E chi ci pensava? – racconta Valeri a Cronache – Quando capitava di raccogliere i palloni sotto la Sud, a 8-9 anni, vedevo i giocatori a due passi da me e pensavo ‘chissà, magari ci giocherò anche io’. Era un sogno, sì, ma quando giri il Lazio in Eccellenza o giochi in Serie D devi essere realista. Pensare che forse più in alto non arrivi». E invece. «E invece eccomi qui. Il bello è che ho debuttato proprio all’Olimpico, contro la Roma, davanti agli amici di una vita e alla mia famiglia. Lì dove ho fatto il raccattapalle da bambino. Che storia, eh?».
In Eccellenza e in Curva
Mentre parliamo Emanuele sta guidando verso Roma. Un paio di giorni a casa e poi di nuovo a Cremona, pronto per la sfida contro il Lecce. Nato e cresciuto a Primavalle, domenica scorsa ha giocato il «match più emozionante della sua vita», Cremonese-Lazio 0-4. «Rosico ancora per il risultato eh, mandar giù quattro schiaffi è dura, ma se parliamo di emozioni allora sì, non riesco a spiegarti cosa ha provato. Quando ho visto i tifosi della Lazio sugli spalti ho detto ‘cavolo, ma allora è tutto vero’. In fondo ero uno di loro. A 16 anni giocavo in Eccellenza. Le partite in casa erano alle 11 di mattina, a fine gara mangiavo un panino al volo e poi filavo all’Olimpico con gli amici di sempre. Ero sugli spalti il 26 maggio, quando la Lazio ha vinto la Coppa Italia contro la Roma, e il 6 gennaio 2005, il giorno del gol di Di Canio sotto la Sud. La mia famiglia è laziale, così come il papà della mia fidanzata». La storia è ciclica: «Non porto rancore, sia chiaro. Nessuna rivincita». Solo lavoro.
«Signo’, allora? Che facciamo?»
Il campo base l’abbiamo già citato: Atletico Vescovio. «Giacomo Galli, l’allenatore, ha sempre creduto in me. Qualche anno prima giocavo all’Urbetevere e facevo l’ala, ma Marco Mei, un altro tecnico fondamentale, mi convinse a scalare terzino. Io non ero molto convinto, ma ha avuto ragione lui. Al Vescovio ero il più piccolo, le prime quattro partite non ho mai giocato, poi Giacomo un giorno si avvicina a me e mia madre e fa: ’Signo’, allora? È pronta a vedere suo figlio diventare un giocatore vero?’. Da professionista, intendeva. Io risposi per lei e dissi di sì, scherzando. A fine anno mi ha preso il Rieti, in Serie D, dopo una stagione da 33 partite e tre gol». Botta smaltita: «Dopo il famoso ‘no’ dei biancocelesti avevo perso le speranze, ma dopo un bel campionato in D firmo con il Lecce in Serie C. Contratto di quattro anni, piazza da quindicimila persone a partita, ottimo gruppo. Nonostante abbia giocato solo tre partite la considero una tappa formativa. Mi sono ritrovato lontano da casa per la prima volta a 18 anni. In dieci mesi avrò visto i miei un paio di volte. Ero solo, ma volevo farcela. Dovevo farcela».
Inside Cremonese
Il 2018 è l’anno della svolta. «Un giorno chiama il mio agente e mi chiede, ‘vuoi andare a Cesena?’. Era in Serie D, ma resta una grande piazza, tant’è che a fine anno saliamo subito in Serie C. Dopo un’altra stagione buona arriva la Cremonese». Una storia che dura dal 2020. Tre promozioni in carriera: «Alvini è bravo. Ha idee forti, precise, e te le inculca nella testa. Magari da fuori può sembrare un personaggio, ma in realtà è un martello. A Cremona sto da Dio, quando abbiamo vinto il campionato c’erano migliaia di persone in piazza. Abbiamo festeggiato fino a notte fonda. Un’emozione». Ora l’obiettivo è la salvezza, fin qui 2 punti in 7 partite: «Uno da tenere d’occhio è Dessers. Ha grandi colpi, deve solo sbloccarsi».
Tatuaggi e sogni
Ema è già partito in volata, e in una Nazionale che convoca Mazzocchi e Zerbin, due ragazzi con un passato di gavetta in Serie D, gli chiediamo se magari il pensiero può finire lì, al loro percorso diventato favola, ma stavolta il dribbling è preciso: «Piedi per terra e stop. Non ci penso. È il sogno di chiunque, ma ho giocato solo sei partite in A». L’ultimo pensiero è per il tatuaggio che verrà. «Ho una mezza idea, ma non la svelo». Si tratta di sogni. E quelli sono suoi.