di Gabriele Codeglia
Compagno di Diego Armando Maradona (nella foto, a destra) nella nazionale Under-20 dell’Argentina che ha trionfato al Mondiale di categoria del 1979. Quel campionato, disputato in Giappone, in cui il Pibe, all’epoca diciannovenne, trascina letteralmente l’Albiceleste fino alla vittoria in finale contro l’URSS (3-1).
Osvaldo Rinaldi, classe ’59 (un anno più grande di Maradona), regista di centrocampo, ha vestito le maglie di San Lorenzo (1978-1982), Racing di Avellaneda (1983), Loma Negra (1983-1984) e River Plate (1985-1986), per più di 140 presenze. Fa parte dei diciotto convocati dal CT César Luis Menotti. In squadra ci sono anche Juan Barbas (a Lecce si ricordano di lui), Gabriel Calderón (ex PSG, tra le altre) e Ramón Díaz, capocannoniere di quell’edizione del Mondiale Under-20 con 8 gol. Quell’Argentina segna 20 reti in tutto il torneo (equamente distribuite tra gironi e fase ad eliminazione diretta) e ne subisce appena 2, su 6 partite giocate.
In quelle sei sfide, Rinaldi è sempre presente. Condivide con Diego momenti indimenticabili, dentro e fuori dal campo. Sarà il primo titolo di categoria nella storia della Nazionale, che lo vince di nuovo soltanto nel 1995, ripetendosi poi nel 1997, 2001, 2005 e 2007.
Nel ritiro pre-Mondiale, nel centro sportivo ‘Fundación Natalio Salvatori – Campo El Hacha’, quartiere José C. Paz, zona nord-ovest di Buenos Aires, l’Argentina si sta preparando alla grande manifestazione. E qui parte il ricordo di Osvaldo Rinaldi, raccontato in esclusiva a Cronache.
«Ogni volta che finivamo di allenarci, Diego restava in campo a provare le punizioni. Voleva migliorare in quel fondamentale e spendeva tantissimo tempo ripetendo il gesto, con quel mancino, decine e decine di volte. Ore e ore. Se mi fossi fermato a provare assieme a lui, avremmo fatto le 6 del mattino.
Una delle tante volte in cui si stava esercitando, Diego, ovviamente da solo in campo, calciava in porta senza barriera, senza portiere, e ogni volta spediva il pallone oltre la traversa: sempre fuori.
Ad assistere a quelle sue ripetizioni, a bordo campo quel giorno, c’erano due giornalisti, uno tedesco e uno giapponese.
– ‘Ma è questo il famoso Maradona? Davvero? Da solo, senza portiere, senza barriera: non riesce a segnare‘.
– ‘Tranquilli. Se notate, lui non vuole fare gol ora, sta semplicemente cercando di colpire quel cartello proprio dietro alla porta. E lo colpisce sempre‘.
Così, dopo un po’, Diego ha spostato la palla indietro di un metro, ha fatto piazzare una barriera di quelle in acciaio che si usano in allenamento, ha chiamato un portiere e da, lì in poi, ogni tiro, ogni punizione, finivano all’angolino.
È per questo che ci tengo sempre a ribadirlo: Diego non era soltanto un talento naturale, ma un professionista che, nonostante quel dono enorme, ha sempre voluto migliorarsi e perfezionarsi, specialmente nei fondamentali in cui era già una spanna sopra agli altri.
Ah, comunque, inutile che vi descriva le facce dei due poveri giornalisti nel vedere Diego calciare quelle punizioni…».