Emiliano Viviano si è raccontato a Cronache di Spogliatoio in diretta su Instagram, svelando i segreti del ruolo del portiere. Alcuni mesi fa eravamo stati a casa sua per fargli commentare le vostre prodezze sui campi da calcio, stavolta abbiamo analizzato cosa significa essere estremo difensore, raccogliendo alcuni momenti della sua carriera.
ALLENAMENTO A CASA – «Per i portieri allenarsi in questo periodo è più semplice rispetto ai calciatori di movimento. Non si disimpara in poco tempo a stare in porta, bisogna allenare esplosività e forza: questo si può fare anche a corpo libero. Il giocatore deve allenare i cambi di direzione, la frenata, è un po’ più complicato. Certo, la finalità è il campo».
IL CALCIO DI RIGORE – «A differenza di tanti miei colleghi non sono uno che li studia molto, mi affido spesso all’istinto. Preferisco seguire e studiare quelli che è più difficile che calcino. Mi è capitato di parare un rigore a Florenzi contro la Roma e la sera prima avevamo studiato 7 possibili tiratori e tra questi non lui non c’era».
TECNICA DI TIRO DELL’AVVERSARIO – «Restare fermo quando ti segnano su rigore è brutto. Mi è capitato che Colacone in Brescia-Modena mi tirasse uno scavino e glielo parai. Handanovic e Consigli sono molto bravi, ma è difficile giudicare un estremo difensore da questo fondamentale».
ILICIC – «A Palermo aveva tante pause. Il suo salto di qualità è stato eliminare le pause durante le partite, e Gasperini lo fa rendere al massimo. Attualmente è uno dei giocatori più dominanti d’Europa. Quando ci giocavo insieme volevo ammazzarlo di botte perché era sempre indolente (ride, ndr), sembrava fosse lì per sbaglio in alcuni momenti».
LA CHIAMA – «In Serie A non è proprio come nelle leghe inferiori. Arriva il quarto uomo e l’allenatore gli mostra la distinta».
COMPAGNO CHE LO HA COLPITO – «Tanti nel settore giovanile. C’era Andrea Alberti nel Brescia, ha esordito a 17 anni in Serie A e poi ha smesso. Era un fenomeno da ragazzo. Andrea Luci giocava con me, era un altro tipo di giocatore rispetto alla carriera che ha fatto: era fantasista, ora fa il mediano a causa dei tanti problemi fisici. Ce ne sono mille, come a tanti altri non davo fiducia ma sono arrivati. Perché si arriva col lavoro».
LA BARRIERA – «Dipende sempre da quanti giocatori sono sulla palla, ma tendenzialmente il secondo e il terzo in barriera sono i più importanti. Io tendo a metterne il meno possibile perché voglio veder partire il pallone».
CARATTERISTICA IMPRESCINDIBILE – «La personalità davanti a tutto. Non faccio nomi, ma c’erano portieri scarsi che hanno fatto una grande carriera con la personalità. Cambia la maniera di imporsi e di porsi rispetto alla squadra. Siamo tutti un po’ matti. A Firenze mi dicevano: ‘Va bene che il portiere deve essere grullo, ma tu te n’approfitti».
CAMBIARE SQUADRE – «Quando giochi al campetto senti dentro il sentimento del quartiere. Quando cambi squadra te la senti dentro, quando te ne vai trai le conclusioni ma quando sei in campo per un club te lo senti dentro. A Bologna la città e la tifoseria erano magnifiche, a Genova anche, e poi ho coronato il sogno di giocare nella Fiorentina. A 8 anni andavo in curva, a 13 nei settori ospiti. I primi giorni sognavo: nonostante qualcuno mi dica ancora ‘però, peccato…’, io ci ripenso solo in modo positivo. Avere la maglia gigliata con il mio nome dietro è indescrivibile. Quell’anno all’87° eravamo in Champions, poi andò il Milan. Era una Fiorentina di rinascita ed è stata un’esperienza gratificante».
PRESENTE – «Ho avuto questa esperienza in Portogallo della quale non posso dir nulla, non ho avuto possibilità di fare niente. A gennaio avete letto delle varie possibilità, a giugno mi rimetto in pista. Alla SPAL lo scorso anno sono stato da Dio, poi sono dovuto tornare in Portogallo ma a Ferrara c’era un gruppo favoloso e mi è dispiaciuto non essere rimasto».
CRONACHE – «Vuole fare calcio. La gente segue il calcio e piace anche a noi calciatori. La gente la segue perché vuol vivere il calcio».