Ai taccuini della Gazzetta dello Sport ha parlato Sebastiano Esposito, baby prodigio dell’Inter.
SEGRETI – «Oltre agli insegnamenti della mia famiglia, ho solo due segreti: l’umiltà e la spensieratezza. Quando sono andato via di casa a otto anni, ho capito che non avrei potuto vivere come un bambino qualsiasi. E la stessa cosa quando mi sono trasferito all’Inter. Calcio, studio e poco altro, ma adesso mi va bene così. Vivo per il calcio e ho già realizzato tanti miei sogni. La gente mi riconosce, mi ferma per strada, mi fa piacere. Se i calciatori possono godere di questa popolarità, è grazie all’amore dei tifosi. Mi piace usare i social, devo dare il massimo anche se di follower ne avessi 2. Forse ancora fatico a rendermi conto di cosa sta succedendo».
INIZI – «E’ accaduto tutto in così poco tempo: giocavo in Under 17 e ho debuttato in Primavera, giocavo in Primavera e mi allenavo in prima squadra, poi l’esordio in Europa League, quello in Champions, quello in Serie A… Le gioie sicuramente gli esordi, un’emozione diversa dall’altra. La delusione è stata la sconfitta nella finale dell’ultimo Europeo Under 17 contro l’Olanda. Ma mi ha fatto crescere. I miei genitori non c’erano contro l’Eintracht, c’erano invece in questo inizio di stagione ma l’esordio in A non arrivava. Così, ridendo, gli ho detto di stare a casa. E quando sono entrato, in tribuna c’era solo mio fratello Salvatore. Ma alla famiglia devo tutto, qualsiasi cosa. A mia madre forse dedicherò il prossimo tatuaggio… Il primo è la frase “ama il tuo sogno anche se ti tormenta”. Il secondo è una croce. Dio è la cosa più grande. Mamma e papà mi hanno messo al mondo, ma se lui non avesse voluto non sarei qui».
INTER – «Conte è impressionante. Un allenatore straordinario. Lukaku è un ragazzo di un’umiltà fuori dal comune. Mi ha accolto nello spogliatoio come fossi il suo fratellino. Da lui ho solo da imparare, ma ho legato anche con D’Ambrosio, che fu allenato da mio padre ed è partito dalla Juve Stabia. Ci tengo che sappia quanto è importante per me. L’Inter è una cantera ma anche una famiglia. Si cresce come giocatori, ma si cresce anche come uomini. Devo tanto a Roberto Samaden (responsabile del settore giovanile nerazzurro, ndr), ma voglio ricordare anche Roberto Clerici, che mi scoprì portandomi a Brescia e che è scomparso».
ITALIA – «In Qatar nel 2022? Piano. Se sono arrivato qui, è soltanto per aver fatto un passo alla volta. La maglia azzurra è una, lo stemma è uno, l’orgoglio è unico. E chi non dà il 100% ogni giorno, in Nazionale non ci va. E di ogni squadra in cui gioco mi piace essere un leader».