Giovanni Fabbian si inquadra così, in quattro parole. «Il coraggio di volare». Stile di vita grazie a sua madre, ispirazione da sempre: «Quand’ero piccolo me lo ripeteva sempre». Soprattutto di sera, prima di andare a dormire, dopo un pomeriggio passato a giocare nel campetto in cemento di Rustega, vicino Padova, il paesino dove Giovanni ha plasmato i sogni. «E dove ogni volta che torno ritrovo gli amici di sempre, quelli con cui giocavo da bambino». Il senso della frase è intuibile: mai accontentarsi, osare. Giovanni lo fa a modo suo. Ha il viso pulito di chi tiene i piedi per terra, la frangetta sulla fronte come la moda impone e due occhi vivaci, buoni, di chi ti guarda con attenzione prima di rispondere. Risponde in videochiamata da casa sua, un paio di giorni prima della sconfitta contro il Perugia. Sorride, si apre, racconta.
Il sogno di suo nonno
Il presente dice Reggina, Serie B, quattro gol in 10 partite a 19 anni. «Per Inzaghi, per la gente di Reggio, per la mia famiglia e per mio nonno Gabriele». Uno che ha visto passarsi accanto il treno della vita: «Mi dice sempre che ho realizzato il suo sogno, diventare calciatore. Negli anni Cinquanta giocava libero ed era anche bravo, così Nereo Rocco cercò di portarlo a Padova». Pare che il Paròn andò personalmente a Rustega, rapito da quel centrale tosto e tecnico: «Purtroppo disse di no. Essendo l’unico maschio in una famiglia di sette sorelle doveva badare alla famiglia». Quindi addio sogni. Realizzati, oggi, da un nipote di talento, centrocampista di qualità in prestito dall’Inter. «Anche mio padre è fissato con il calcio. Nonostante abbia più di cinquant’anni gioca nel campionato Over 50. Fa il mediano o il terzino, se la cava ancora».
Il primo gol tra i pro’
La punta di diamante resta Giovanni, forgiato dal cemento di Rustega e affinato dal Padova, prima di volare all’Inter dopo aver vinto il campionato Under 15: «Erano quasi trent’anni che il Padova non alzava al cielo quella coppa. Lì ho capito che il calcio sarebbe stato il mio futuro. Dai quattro agli otto anni ho giocato al San Domenico Savio, la squadra del mio paesino, poi mi sono trasferito al Padova. Ricordo ancora il gol del 3-0 realizzato in finale». Un’emozione forte: «L’ho capito soltanto dopo». Un po’ come la prima rete tra i professionisti contro il Sudtirol: «Impossibile spiegare un’emozione simile». Quindi la fotografa: «Ho pensato a quando ho lasciato casa per andare all’Inter. Alle storie di mio nonno su Nereo Rocco. A mia sorella che vuole diventare giudice. A mio padre ‘malato’ di calcio e anche a quella frase di mia madre». Ora si capisce meglio.
Lui, Gnonto e Casadei
Il campo base è stato Interello. «La prima volta che ho varcato quei cancelli ero spaesato. Mi sono detto ‘beh, ora si fa sul serio’. Siamo sempre stati una bella squadra tra l’altro, l’anno scorso abbiamo vinto il campionato Primavera. Lì ho costruito amicizie che durano ancora oggi». Una di queste è Gnonto. Il primo post del suo account Instagram è una foto insieme lui. Willy e Giovanni avranno 8 anni e si contendono un pallone: «Siamo stati compagni di banco a scuola. Era il più piccolo, ma anche il più forte. Un altro con cui ho legato molto è Casadei. L’anno scorso abbiamo condiviso l’appartamento, e in ritiro eravamo in camera insieme». Cesare e Willy, ora, si divertono in Inghilterra, uno al Chelsea e l’altro al Leeds: «In effetti sarebbe bello fare una bella rimpatriata tutti insieme, magari durante il Mondiale. Vorrei andarli a trovare».
Reggio Calabria e Inzaghi
Intanto Giovanni si diverte a Reggio, isola felice con Inzaghi alla guida: «Sono nato l’anno in cui ha vinto la Champions con il Milan, il 2003. Mi sta dando fiducia, gli devo molto». Anche a Simone, suo fratello, il primo a chiamarlo in prima squadra per alcuni allenamenti: «Quando arrivi lì ti rendi conto che giocheresti ovunque. Se mi avessero detto di mettermi i guanti sarei andato in porta, è ovvio. Barella mi ha dato diversi consigli. Quando li vedi in tv non ti rendi conto, ma poi dici ‘sì, è realtà». Ho preso anche qualche randellata eh, ma quando capita stai in silenzio, ti rialzi e ricominci a correre».
«Menez è un esempio»
La Reggina è quarta con 18 punti. La rosa è un mix tra giovani come Fabbian, Pierozzi e Gori e veterani alla Gagliolo, Crisetig, Cionek e Jeremy Menez. Qualità al potere: «Un fuoriclasse – racconta Giovanni con il sorriso di chi vede ogni giorno tocchi di alta classe -. Ricordo una giocata contro il Modena, controllo al volo di tacco e tiro. Lui e Inzaghi parlano spesso, si vede che c’è feeling. Jeremy è un esempio per giovani come me». Come chi vive a Reggio Calabria: «Mi piace passeggiare sul lungomare, poi la gente è calorosa, ti fa sentire amato, quando giochi in casa non sei mai solo».
Tennis, Kroos e Ibra
Giovanni non ama il fantacalcio – «non gioco da anni, mi dimenticavo di schierare le formazione» -, medita di iscriversi a Economia e ama la lettura: «Sto leggendo la biografia di Ibra, Adrenalina. Lui è sempre stato un riferimento, come Barella o Kroos. Spesso guardo i loro video su YouTube». Un solo hobby: «Il tennis. Quando torno a Rustega cerco sempre di giocare un po’, anche perché non sono un grande amante della Playstation». Una notizia. L’altra è che non ha neanche un tatuaggio: «Non si sa mai in futuro, ma per ora resto così come sono». Con due occhi pieni di sogni: «Il primo è la Serie A, ma vado per gradi. Ora voglio far bene alla Reggina e dare tutto per questa piazza». Volare alto. Gliel’ha insegnato mamma.