C’è un allenatore italiano che sta facendo molto bene in Croazia, è Federico Coppitelli

by Giacomo Brunetti

Federico Coppitelli ha portato l’Osijek a ridosso delle grandi del campionato croato. Quando è arrivato in estate, era l’unico allenatore italiano in Croazia. Da quel giorno, se ne sono aggiunti altri due: nomi che hanno fatto rumore come Fabio Cannavaro e Gennaro Gattuso. Dopo aver vinto uno storico Scudetto Primavera alla guida del Lecce, e aver allenato nei settori giovanili di Roma, Frosinone e Torino, per il tecnico classe ’84 è arrivata l’occasione di misurarsi nelle coppe europee e mettere paura alle big del calcio croato.

«È stata una scelta diversa da quello che può essere un percorso più classico», ci racconta. «Appena sono entrato in contatto con la realtà, e dopo essermi documentato in modo approfondito, ho trovato una società molto europea e con delle strutture fantastiche. Mi sembrava che potessimo funzionare molto bene. E le aspettative in questi primi mesi sono state confermate». Il primo impatto è stato positivo: «In Croazia il livello delle strutture è molto alto, in Serie A non è semplice avere un centro sportivo come quello dell’Osijek, ma anche i servizi che la società mette a disposizione dello staff e dei calciatori. Dal campo alle palestra, fino agli uffici e al ristorante: è tutto relazionato con la performance. L’Osijek cerca di metterci nelle condizioni migliori: non risparmiano su ciò apparentemente che non è direttamente connesso al risultato della partita».

Attualmente l’Osijek è al 4° posto in classifica, a 3 punti di distanza dalla Dinamo Zagabria, battuta in casa dopo 8 anni. Nelle ultime 10 partite, la squadra di Coppitelli ha recuperato terreno dopo un inizio inflazionato dalla partenza durante il calciomercato di alcuni elementi fondamentali e qualche infortunio di troppo: «Avevamo appena ceduto alcuni calciatori importanti, è servito un po’ di lavoro. È un anno zero per il club. Siamo la squadra più giovane della lega per età media, abbiamo perso dei calciatori cardine e quindi essere quarti, dietro alle tre big che per possibilità e tradizione sono spesso davanti a tutti, ma con poco distacco, è un buon traguardo. Eravamo ristretti come rosa», ci spiega. Ma proprio in quel periodo, l’Osijek ha fondato le proprie certezze: «All’inizio i risultati non arrivavano, ma non ho mai avuto l’idea di una tensione crescente all’interno del gruppo, c’è sempre stato molto equilibrio. Dovevamo anche affrontare il preliminare di Conference League e siamo usciti ai rigori. Era un momento brutto.. Abbiamo posto le basi per arrivare dove siamo, sento di poter guardare alla seconda parte di stagione con slancio positivo. Siamo una squadra molto giovane, quindi a volte abbiamo perso punti in modo ingenuo e dobbiamo migliorare. Il pubblico è caldo, la città ci spinge, siamo un trampolino per i giovani. Abbiamo l’obbligo di fare buoni risultati».

Giocano all’Opus Arena, impianto da 13mila posti tutti attaccanti al campo. Un vero gioiellino: «Se vieni a vedere il nostro stadio, ha un’hospitality incredibile, sono tutte piccolezze sulle quali in Croazia sono molto avanti. Danno contezza della visione che hanno del calcio e dell’organizzazione. Anche sotto questo punto di vista è un’esperienza molto formativa per me, ho la possibilità di entrare in contatto con strumenti che ti danno l’obbligo di saperli riconoscere e sfruttarli nel modo corretto». Coppitelli in Croazia sta portando il suo credo: «Ho sempre cercato di creare una squadra con un’identità forte, ricerco questo aspetto da quando alleno. E credo che sia la boa intorno alla quale ti puoi attaccare quando le cose vanno male, devi creare una forte identità con dei valori comuni, come ad esempio delle frasi, perché il risultato quando manca si fa sentire, e il calciatore deve sentire sempre le sue qualità e sapere che lavorando, puoi uscire da quelle situazioni. Anche nel primo periodo negativo abbiamo fatto delle buone prestazioni, anche con pochi cambi a disposizione, però ci abbiamo sempre creduto in ciò che stavamo proponendo».

L’impatto con una cultura diversa, anche sotto il punto di vista calcistico, ha portato Coppitelli e il suo staff non ad adattarsi, ma a innovare: «Ogni nazione ha la sua peculiarità: in Croazia erano abituati a dividere l’allenamento e la partita. Il primo era più una questione fisica, e poi c’era la gara in cui si metteva in pratica altro. Da buoni italiani abbiamo portato le nostre conoscenze e l’inclinazione tattica: non avendo subito raccolto risultati, i giocatori hanno comunque creduto in quel cambio di metodologia».

Nella seconda parte di stagione, l’obiettivo è rimanere attaccato al treno delle grandi (Hajduk, Rijeka e Dinamo) e centrare la qualificazioni in Europa, che può arrivare anche vincendo la coppa nazionale: «Noi adesso abbiamo un gioco riconoscibile e cerchiamo di esaltare le qualità dei giocatori giovani che abbiamo. Abbiamo assorbito un po’ il gap, solitamente arrivavamo a 20/30 punti di distanza. Il campionato è difficile, le squadre sono forti. Unico neo: quando giochiamo fuori casa, spesso non troviamo dei campi di alto livello e le squadre locali, che ci sanno giocare, hanno un vantaggio. Se hai delle buone individualità diventa complesso, è un campionato spigoloso e non semplice».

In Croazia si può anche sperimentare. L’Osijek ha la rosa più giovane per età media messa in campo di tutto il campionato (24,2 anni), contendendosi il primato con l’Istra (che ha avuto un allenatore italiano per alcuni mesi, Paolo Tramezzani, che ha poi lasciato il club). La SuperSport HNL è un palcoscenico per talenti: «Nell’Hajduk gioca un 2007, che è Bruno Durdov, molto forte. Ma anche il difensore centrale Prpic è esperto e interessanti a soli 20 anni. La gestione è chiaramente differente: ho allenato tanti stranieri in carriera, qui l’inglese non è molto sviluppato e dunque sto studiando il croato. Lo capisco, sto iniziando a parlarlo un po’». L’Osijek in casa ha quello che Coppitelli definisce «probabilmente il talento più importante di tutto il campionato», ovvero l’attaccante Anton Matkovic (classe ’06). Uno dalle alte prospettive: «È un giocatore di grandissima qualità, tutta l’Europa ormai lo conosce, mi aspetto qualcosa in più da lui in questa seconda parte dell’anno perché un infortunio lo ha bloccato un po’ fino a ora. Ha un talento di altissimo livello, un giocatore offensivo con forza e doti fisiche fuori dall’ordinario, con una buona tecnica. Ha già suscitato l’interesse di tantissime squadre e quindi è in rampa di lancio».

Federico Coppitelli ha esperienza nel gestire e allenare i giovani. Con il Lecce, nella stagione 2022/2023, ha sollevato al cielo il campionato Primavera, un risultato che passerà negli annali. E lo ha fatto con una rosa composta per la maggior parte da calciatori stranieri, che trovano adesso la loro gemma più preziosa in Dorgu: «Il Lecce ha avuto una grande capacità nello scovare Patrick. Era in Primavera, non si allenava spesso in prima squadra, eppure il direttore Corvino lo ha promosso nei 22 tra i grandi e una volta avuta la sua possibilità, ha avuto ragione lui. Nel Lecce un giocatore forte non va per tre anni in prestito, ma viene messo dentro». Lo hanno individuato con sagacia: «È stato molto bravo Fabio Piluso, il capo scout giallorosso, che andò a vedere un torneo dove giocava la Danimarca Under-18 e lui era l’unico calciatore della squadra senza contratto professionistico. Ricordo che lo prese e al suo arrivo gli dissi: ‘Ho avuto Singo al Torino e mi sembra quel livello lì’. E infatti è arrivato in A, sono contento per Patrick perché ha dimostrato di saper evolversi anche in altri ruoli, è un calciatore fuori dal comune e deve essere bravo a fare in modo che tanti aspetti del suo carattere, che a oggi sono qualità, rimangano. È un ragazzo tranquillo e sereno, mi diceva sempre ‘Whatever’ in inglese, e questo modo di essere gli ha consentito di esordire in A contro Felipe Anderson senza affanni. Deve mantenere l’ambizione alta. Ha tutto per il salto di qualità».

Per quattro stagioni ha allenato anche nelle giovanili del Torino, prendendo per mano anche qui la formazione Primavera. Proprio qui ha visto formarsi Alessandro Buongiorno, passato al Napoli in estate, dov’è una colonna: «È un ragazzo di un’intelligenza superiore alla media. Ma non nel calcio, proprio nella vita. È vero che nel calcio non serve essere scienziati, però adesso l’intelligenza ti fa migliorare velocemente perché le richieste per i singoli non sono più quelle di 20 anni fa. Ora al calciatore è richiesta la conoscenza di saper interpretare, lui è uno che si nutre di quello che tu gli proponi. Quando l’ho conosciuto, al primo anno era il classico stopper degli anni ’70, molto bravo ma che con la palla faceva fatica in gestione; nella seconda stagione, con personalità e l’aggiunta di tante cose, ha iniziato a giocare veramente bene anche con il pallone tra i piedi, a trovare linee di passaggio e mettere in pratica ciò che aveva imparato. È sempre stato una curva che sale sempre in positivo. Ha saputo sempre farcela, anche quando si è ritrovato senza una squadra che lo volesse, rimanendo al Torino. Nel giro di due anni è diventato capitano. Essendo intelligente, ha gestito bene la pressione».

Tutto è iniziato tra Frosinone e Roma. Proprio a Frosinone, nella sua seconda parentesi, ha fatto benissimo con una rosa composta per la maggior parte da calciatori non confermati dai giallorossi. Questo per dimostrare la bontà del settore giovanile dei capitolini: «Mi ha fatto maturare. Sono arrivato a 26 anni. Ho iniziato con i Giovanissimi Nazionali in under-15, in quegli anni abbiamo visto dei talenti cristallini a prescindere dalla categoria. Era anche un periodo in cui la Lazio faceva fatica a livello giovanile, per esempio da noi arrivarono Frattesi e Scamacca dai biancocelesti».

Proprio la Roma è una delle società, insieme all’Inter, che garantisce più giocatori con il suo vivaio al professionismo: «Avevamo uno scouting di base incredibile, capeggiato da Bruno Conti. Sono bravissimi: a partite dagli under-15 hanno già delle rose di 25/26 giocatori fortissimi e questo fa migliorare anche te come allenatore. Nel centro sportivo, fin da piccolo vedi da vicino la prima squadra. Io allenavo i miei e nel campo accanto c’era Luis Enrique, per dire. Non è comune. Tanti che crescono nella Roma arrivano ad alti livelli. Secondo me un allenatore bravo è anche quello che impara dai giocatori. E ho potuto sperimentare tantissime cose alla Roma, ero più giovane e non c’erano pressioni come oggi. Mi spaventa solo che… quei ragazzi inizino ad avere dei figli! Significa che gli anni passano!». Coppitelli ci descrive il sistema giallorosso da dentro: «Ci sono le condizioni migliori per lavorare. Fanno uno scouting dove la tecnica viene messa davanti ad altri aspetti, che magari sono preponderanti da altre parti. Il dominio del pallone e le abilità nell’uno contro uno sono importanti in questo, ricordo la squadra dei ’93 con calciatori brevilinei come Caprari, ne sono arrivati molti tra i professionisti. C’è una grande infornata fino agli under-15, poi si punta molto su quel blocco consolidato che viene cambiato pochissimo. In pochi fanno così: forse il Milan è simile. Guardano molto la tecnica, infatti ricordo che c’erano squadre con tanti esterni!».

Adesso si guarda al futuro con l’Osijek. C’è una seconda parte di stagione da conquistare. «Sono ambizioso», conclude Coppitelli, che in questo momento vuole «fare bene qui, non ho l’assillo di tornare in Italia. Per un allenatore italiano non è scontato conoscere le lingue, voglio implementarle, e continuare a misurarmi nelle coppe europee. Adesso anche nei campionati minori trovi strutture e organizzazioni top, abbiamo giocato in Azerbaigian e siamo rimasti stupiti. Voglio crescere, cogliere le occasioni, ma attualmente non ho per forza il richiamo di casa». Intanto le tre big croate corrono e l’Osijek non vuole rallentare.