Nicolás Fonseca ci ha raccontato com’è giocare nel River Plate: «I tifosi al Monumental li senti addosso, ti entrano dentro le ossa»

by Lorenzo Lombardi

Vi sarà sicuramente capitato di sognare a occhi aperti. Di vivere quei momenti in cui ci chiediamo come sarebbe stata la nostra vita se avessimo potuto esprimere, e realizzare, il nostro desiderio più profondo. Ora immaginatevi un piccolo bambino che rimane sveglio durante la notte per vedere coi propri occhi la magia di un Superclásico, la magia della partita tra Boca Juniors e River Plate, a migliaia di km di distanza.

Beh oggi Nicolás Fonseca ha 25 anni e quando apre gli occhi spesso si ritrova davvero nello stadio più caldo d’Argentina con una di quelle maglie addosso. Quella bianca con la banda rossa, che è «tutto ciò che ho sempre sognato».

La nuova vita di Fonseca

L’ultima volta che ci eravamo sentiti Nicolás Fonseca era un giocatore del Montevideo Wanderers, squadra che milita nel massimo campionato uruguayano, e ci eravamo trovati a commentare la vittoria dell’Uruguay al Mondiale U-20. Insieme al fratello Matias, anche lui calciatore che ancora milita nel Wanderers, ci aveva raccontato il suo percorso e di come, per arrivare in alto, aveva dovuto lasciare l’Italia per il poco spazio che veniva concesso ai giovani, e a lui in particolare a Novara (allora in Serie C).

Ora facciamo un salto temporale arrivando ad oggi, all’estate del 2024. Perché nel giro di qualche mese Nico è diventato un giocatore del River Plate (sì, quel River Plate) e si è guadagnato pure la prima convocazione nella nazionale del Loco Bielsa: «La mia vita è cambiata totalmente. Ancora se ci penso non trovo le parole per descrivere quello che sto vivendo. Davvero non so da dove iniziare. So solo che questo è tutto ciò che ho sempre desiderato e proverò a raccontarvelo».    

Il peso del River

Abituarsi a tutto questo nel giro di così poco tempo non dev’essere stato facile. Passare dall’essere considerato un buon giocatore, nello specifico un buon centrocampista, al volante – per gli argentini il mediano- di una squadra così è roba grossa. Passare dal giocare in stadi da 1500 persone al Monumental, il tempio dei 90’000 tifosi che a ogni partita riempiono le tribune, difendendo colori così iconici è grandioso.

«I tifosi del River al Monumental li senti addosso, ti entrano dentro le ossa. Loro vivono davvero per il River, è il loro modo di assaporare la felicità. Non ho mai visto né provato qualcosa del genere. Vi assicuro che lo stadio trema. Ogni tanto, a gioco fermo, mi capita di buttare l’occhio verso la tribuna. Tutti che cantano e saltano insieme. Non mi abituerò mai a una cosa del genere». Ed è vero, perché anche mentre ce lo racconta gli viene la pelle d’oca.

E invece Nico, almeno sul piano tecnico, si sta adattando alla grande al calcio argentino, e non solo. Ha già giocato 22 partite con il River, vinto un trofeo e ha capito bene il peso enorme di quella maglietta.

«Qui si gioca solo ed esclusivamente per vincere. Se pareggi è un disastro, se vinci 1-0 dovevi farlo 3-0. Il nostro obiettivo massimo è la Libertadores. Qua è come la Champions League e noi siamo come la Juve di Allegri qualche anno fa, la vogliamo a tutti i costi. Te lo dicono anche per strada ogni giorno».

Giocare per El Loco

C’è stato poi un altro evento che ha sconvolto, in senso positivo, la vita calcistica di Nico Fonseca. Precisamente è stata una chiamata, sicuramente desiderata ma inaspettata. «Ho dovuto pagare una multa alla squadra quando sono stato convocato dall’Uruguay. Mi ricordo benissimo che ero a pranzo con la squadra quando ha iniziato a suonarmi il telefono. Ho visto che era il direttore tecnico dell’Uruguay ma come saprete a tavola con i compagni non si può rispondere. Quindi ho dovuto aspettare e chiedere il permesso al capitano per allontanarmi e rispondere.

Una volta al telefono mi ha detto: ‘Congratulazioni, sei stato convocato. Ora organizziamo tutto ma parti stasera’. Appena sono arrivato in camera ho iniziato a piangere, ho chiamato i miei familiari che erano increduli tanto quanto me. Anche papà che è stato un grande calciatore ha pianto tantissimo».  

Con le valigie pronte, preparate in un batter d’occhio, Nico è quindi partito alla volta della Spagna, dove la squadra allenata da Marcelo Bielsa era in ritiro per disputare due amichevoli. Grazie a questa esperienza Fonseca ha esordito da titolare in Nazionale, nello stadio dell’Athletic Club, cantando l’inno uruguayano davanti alla sua famiglia e ai suoi amici di sempre. «Quei momenti lì, con la maglia della nazionale addosso sono senza dubbio i migliori della mia vita fin qui. Non c’è proprio paragone con niente».

Anche perché oltre all’esperienza calcistica di livello massimo, Nico ha potuto condividere la quotidianità con campioni e, soprattutto, con El Loco Bielsa. «È veramente matto come dicono. Ha una maniera tutta sua di comunicare. Ma di una cosa sono certo: nessuno cura ogni minimo dettaglio come lui. Non lascia davvero passare niente, dagli stop ai passaggi, che devono sempre essere fatti con i tempi e le distanze giuste. Ti spreme ogni tua potenzialità. Quello che mi ha colpito di lui è la sua capacità di fregarsene di chi ha davanti. Se non si fa quello che dice lui uno può stare a casa. Non importa se sei Valverde o Fonseca. E di conseguenza il livello di attenzione che ti fa mantenere è massimo in ogni fondamentale».

Sogni e Copa América

Questo anno magico ha lasciato un solo rammarico a Fonseca ed è legato alla nazionale. Perché per il livello crescente delle sue prestazioni al River ha preso parte al pre ritiro dell’Uruguay in vista della Copa América ma è stato ‘scartato’ all’ultimo. La consapevolezza di essere entrato nel giro e di potersela giocare con campioni di quel livello però rimane e Nico è sicuro che il suo momento arriverà. «Mi dispiace perché sarebbe stato un altro sogno realizzato, ma sono sicuro che ci riuscirò in futuro. Nel frattempo però ho avuto l’opportunità di allenarmi con giocatori incredibili.

 Bentancur però è quello che mi ha impressionato di più dal vivo. Vi assicuro che è clamoroso, fa sempre la cosa giusta e sembra danzare sul pallone. Siamo buoni amici e io mi ispiro a lui. Sa sempre cosa fare, quando giocare a un tocco o a due, quando condurre o quando passare. È troppo forte. Ma ce ne sono tanti altri, come Valverde. Incontenibile, fortissimo.

Fisicamente però nell’Uruguay c’è un vero e proprio mostro. Il primo giorno mi sono pesato di fianco ad Araujo. Io quasi 75 kg, lui 100 spaccati. È anche veloce e potente, è uno che incute timore agli avversari».

 

Il River quasi a sorpresa

Riavvolgendo un po’ il nastro, tornando al momento in cui ha scelto il River, scopriamo che anche per lui è stata quasi una sorpresa. «Ero in un hotel di Buenos Aires con mio papà e in quelle ore dovevo decidere il mio futuro, dovevo scegliere tra 2 squadre in Argentina. Poi però una sera mio papà mi ha detto: ‘Aspetta un attimo, ho una sorpresa. Stasera andiamo al Monumental a vedere una partita’. Io all’inizio non avevo collegato. Poi una volta lì sugli spalti mi ha detto che il mister voleva conoscermi e così è stato. A fine partita siamo scesi negli spogliatoi e mi ha detto che mi voleva e mi seguiva da tempo. Io non ci potevo credere».

Un’offerta irrinunciabile, l’occasione della vita. Così, come da accordi con i club, Nico è stato acquistato dal River ma ha concluso la stagione 2023 al Wanderers. Il resto è storia. Perché nel frattempo Fonseca ha pure segnato il suo primo gol, all’esordio in Copa Libertadores: «Se avessi potuto disegnare il mio primo gol ideale, non avrei nemmeno pensato a una cosa simile. Ricordo solo di aver visto la palla rimbalzare bene davanti a me e mi sono detto di provarci. Il risultato è stato il gol più bello della mia carriera».

E sono proprio emozioni come questa, come un gol accompagnato dal boato dei propri tifosi, come un gol con la maglia che si è sempre sognato a dare forma ai sogni.

«Si possono vedere video e foto, ma finché non lo vivi sulla tua pelle non puoi capire la grandezza di questa squadra, non puoi capire quello che rappresenta per la sua gente».