di Giuseppe Pastore
A volte ritornano? Nel caso di Balotelli, si dovrebbe casomai parlare di eterno ritorno nietzschiano (chissà se Mario ha idea dell’argomento): l’ex attaccante di Inter, Manchester City, Milan, Liverpool, Nizza, Marsiglia, Brescia e Monza, attualmente in forza all’Adana Demirspor, è già alla seconda grande rentrée in Nazionale. La prima volta passarono meno di quattro anni tra lo sciagurato pomeriggio brasiliano del 24 giugno 2014 (data della funesta Italia-Uruguay, Mondiali del Brasile) e il 28 maggio 2018, sera di un’insulsa amichevole a San Gallo contro l’Arabia Saudita in cui Roberto Mancini, all’esordio come ct, gli diede una chance da titolare – e Mario fece anche gol, il suo ultimo in azzurro. Meno lungo questo secondo periodo di latitanza: poco più di tre anni e mezzo, se a questa convocazione per lo stage di gennaio ne farà seguito un’altra, a fine marzo, per il doppio (speriamo) play-off di qualificazione a Qatar 2022.
Ma chi sono i cinque giocatori che tra una presenza e l’altra in Nazionale hanno lasciato passare un periodo di tempo simile a quello di invecchiamento di un buon whisky? Eccoveli indicati in ordine crescente, escludendo quelli che sono rimasti fuori dal giro per cause di forza maggiore (ovvero, due guerre mondiali).
5) Amos Mariani – 6 anni, 10 mesi e 15 giorni
21 luglio 1952 (Italia-Ungheria 0-3) – 6 maggio 1959 (Inghilterra-Italia 2-2)
Sole quattro presenze in azzurro per l’ex attaccante di Atalanta, Udinese, Fiorentina, Milan e Padova, che giocò due partite con l’Italia alle Olimpiadi di Helsinki 1952 (quando ancora non c’era distinzione tra la Nazionale principale e le selezioni minori) e, reduce da una grande stagione nel Padova di Nereo Rocco, fu richiamato quasi sette anni dopo, nel 1959, per un’amichevole a Wembley contro l’Inghilterra. Super-meteora di anni difficili, quando gli azzurri vissero l’onta della prima mancata qualificazione a un Mondiale (nel 1958).
4) Giuseppe Bergomi – 6 anni, 11 mesi e 21 giorni
12 giugno 1991 (Italia-Danimarca 2-0)- 2 giugno 1998 (Svezia-Italia 1-0)
Campione del mondo a 18 anni con un bel paio di baffi con l’Italia di Bearzot, Bergomi finì suo malgrado coinvolto nella “guerra di religione” tra difesa a uomo e difesa a zona che stravolse i criteri di convocazione in Nazionale negli anni Novanta. Merito (o colpa, a seconda di come la pensiate) di Arrigo Sacchi che al suo approdo in azzurro mise da parte molti difensori vecchio stile a cominciare dallo Zio, che aveva anche da scontare la grave macchia di un’espulsione dopo pochi secondi di gioco rimediata nel giugno 1991 in Norvegia, in una gara decisiva per le qualificazioni a Euro ’92, per cui aveva rimediato sei giornate di squalifica. Sacchi non lo prese mai in considerazione e a tirarlo fuori dal freezer dopo quasi sette anni provvide Cesare Maldini, assistente di Bearzot a Spagna 1982: reduce da una splendida stagione nell’Inter di Simoni, Bergomi fu aggregato in extremis alla rosa dell’Italia a Francia 1998 e, a causa dell’infortunio di Nesta contro l’Austria, giocò anche le ultime tre partite di quel Mondiale, fino all’eliminazione ai quarti contro i padroni di casa. E lì si fermo, dopo 81 presenze e sei gol.
3) Daniele Massaro – 8 anni, 1 mese e 18 giorni
5 febbraio 1986 (Italia-Germania Ovest 1-2) – 23 marzo 1994 (Germania-Italia 2-1)
Un clamoroso ripescaggio di Sacchi fu invece il 32enne Daniele Massaro, che nella primavera 1994 stava vivendo una specie di terza giovinezza come centravanti di un Milan destinato a vincere scudetto e Champions League. Massaro aveva fatto parte da giovanissimo della rosa dell’Italia 1982, ma per via di qualche screzio con il nucleo juventino di quella Nazionale non aveva disputato nemmeno un minuto di quel Mondiale; l’ultima presenza risaliva a una trascurabile amichevole ad Avellino contro la Germania Ovest, nel febbraio 1986. Otto anni dopo, con la Germania nel frattempo riunificata, Massaro tornò in campo a Stoccarda in un’altra amichevole di preparazione al Mondiale americano, dove “Provvidenza” segnò un gol al Messico e purtroppo sbagliò uno dei tre rigori che costarono agli azzurri la finale contro il Brasile.
2) Fabio Quagliarella – 8 anni, 4 mesi e 6 giorni
17 novembre 2010 (Romania-Italia 1-1) – 23 marzo 2019 (Italia-Finlandia 2-0)
Molti di noi ricorderanno il bellissimo e inutile gol di Fabio Quagliarella contro la Slovacchia, titoli di coda del terribile Mondiale di Sudafrica 2010. Il successore di Marcello Lippi, Cesare Prandelli, convocò il “Quaglia” nelle sue prime uscite da ct, accantonandolo a causa di un grave infortunio al ginocchio nel gennaio 2011. Di lì passarono oltre otto anni prima che un altro commissario tecnico si ricordasse di lui, nella strepitosa stagione 2018-19 in cui si laureò capocannoniere con la Sampdoria. Si trattava di Mancini, che una telefonata non l’ha negata a nessuno: Quagliarella tornò il 23 marzo 2019 nei dieci minuti finali contro la Finlandia e tre giorni dopo, nella sgambata con il tenero Liechtenstein, si tolse anche la soddisfazione di segnare una doppietta che a poco più di 36 anni lo rese il marcatore più anziano della storia della Nazionale.
1) Ernesto Castano – 8 anni, 4 mesi e 22 giorni
29 novembre 1959 (Italia-Ungheria 1-1) – 20 aprile 1968 (Italia-Bulgaria 2-0)
Chi si ricorda di Ernesto “Tino” Càstano da Cinisello Balsamo, difensore di lunghissimo corso (dodici stagioni!) della Juventus che è il primatista di questa particolare classifica? Aveva esordito in azzurro da giovanissimo, a vent’anni e mezzo, in una partita di Coppa Internazionale contro l’Ungheria e poi dimenticato per oltre otto anni, in un periodo in cui l’asse portante del calcio italiano oscillava tra Milano e Bologna. Si ricordò di lui Ferruccio Valcareggi che lo riportò in azzurro a ridosso dell’Europeo 1968, in cui disputò da titolare due partite su tre (la semifinale contro l’URSS e la prima finale con la Jugoslavia): saltò la seconda finale per infortunio, ma poté ugualmente fregiarsi del titolo europeo.