Wilfried ‘Willy’ Gnonto, attaccante 19enne del Leeds e della Nazionale Italiana, si è raccontato in un’intervista a ‘Cronache di spogliatoio’, aprendo le porte della sua casa inglese e parlando di ciò che fino a ora gli ha riservato la carriera tra Inter, Italia, Svizzera e Premier League. Ecco che cosa ci ha raccontato.
Gnonto e la Nazionale
«Giocare in Nazionale era il mio sogno. Essere lì con tutti i campioni è stato incredibile. Uno dei primi a salutarmi è stato Chiellini: mi ha fatto sentire a mio agio. Ad includermi ci hanno pensato Florenzi e Locatelli».
«La prima chiamata in Nazionale? Avevo finito l’allenamento e stavo per mettermi in viaggio verso casa. Il mister ha chiamato alcuni di noi e me l’ha detto. Ho detto: ‘Oh mio Dio, cosa sta succedendo?’. Ho giocato a Wembley, uno stadio con una storia incredibile. Andare lì contro l’Argentina… Messi… qualcosa di inaspettato. Bellissimo. Non ho realizzato fino a quando non ho finito tutte le partite, quando ho riguardato i video e le foto».
«A quel punto il mio telefono era impazzito. Continuavano ad arrivare notifiche da WhatsApp e Instagram, si è bloccato a un certo punto. Poi tornando in pullman, ho aperto Instagram e ho visto le notifiche dei seguaci: Bonucci mi ha detto ‘Lascia perdere quella roba lì, concentrati!’. Non mi rendevo conto, vedevo 50mila like e non capivo. Anche tosta, perché passi da niente a tutto in dieci minuti. Lasciarlo da parte fa la differenza» ha ammesso Gnonto nell’intervista a Cronache di spogliatoio.
In Nazionale ha poi indossato la numero 10: «Non me l’hanno chiesto né detto. Me la sono trovata appesa all’armadietto nello spogliatoio. Ha fatto un certo effetto. Il 10 è il mio numero preferito e avere la 10 della Nazionale è speciale. Mi sono sentito osservato, mi vergognavo. Berardi mi fa: ‘È finito il calcio’. Sono arrivato in modo ‘strano’ alla Nazionale ed ero sorpreso da tutto: dalla velocità e dall’intensità, da tutto. Ho provato a imparare dagli attaccanti: osservavo Raspadori nel mio ruolo».
L’applauso di Lukaku
«Ho ricevuto messaggi da Lukaku e Balotelli. Ho detto: ‘Ma com’è possibile?’. Lukaku mi ha scritto: ‘Bravo, continua così’. Non realizzavo quando ho visto il suo messaggio. Gli ho risposto: ‘Big Rom, mamma mia, grazie…’».
La differenza della Premier
«In Premier League non è facile dribblare: tutti studiano tutti perciò sanno cosa preferisci fare e come ti comporti più comunemente. Bisogna sempre allenarsi e pensare di far qualcosa di inaspettato, è emozionante perché ti stimola a provare e fare cose nuove. Il difensore che mi ha messo più in difficoltà è stato Ashley Young perché è stato fastidioso: continuava a parlare, a farsi sentire ed entrarmi nella testa. Sono rimasto concentrato sulla partita e personalmente è andata bene, ho fatto anche un assist. Sono sempre stato convinto di aver scelto il Leeds, la Premier è il top» ha continuano Gnonto, oggi al Leeds dopo esser cresciuto nel settore giovanile dell’Inter.
«Tanti calciatori mi hanno colpito per dribbling. Mi piace guardare, ad esempio, Gabriel Jesus e Sterling perché hanno un fisico simile al mio. Nel dribbling e cross perfetto, vorrei che al centro dell’area di fosse Haaland pronto a raccoglierlo: anche se crossassi male, so che la butterebbe dentro. Vedere da vicino Sterling è stato strano, non me lo aspettavo. Ho provato ad andargli vicino, godermelo di più, lo avevo affrontato anche in Nazionale: ho la sua maglietta, ma mi vergognavo. Ho mandato un magazziniere a chiedergliela. Vedere Haaland dal vivo fa paura: è veloce, forte. Già dalla tv si percepisce, ma giocarci contro è impressionante».
«Sono un calciatore a cui piace essere al centro del gioco. Il gioco del Leeds mi ha avvantaggiato, sono un calciatore libero che può provare l’uno contro uno o il cross. Non avendo giocato in Serie A, so che all’estero ho trovato più libertà di esprimermi. Questa è la cosa migliore per un attaccante come me, senza libertà non sarei un giocatore di calcio. Qui ho trovato un ambiente che mi lascia sbagliare, c’è molto più calcio da strada. Tutte le skills che vedo su YouTube, qui le vedo più comunemente. Ed è la cosa che mi fa amare il calcio. Da questo punto di vista, mi sarebbe piaciuto crescere in Inghilterra: avrei avuto più agilità e skills».
Gli otto anni di Gnonto all’Inter
«Come ogni ragazzino, ho una squadra del cuore. Da piccolo era più forte che adesso, ora seguo l’Inter e le italiane con piacere. Però sì, penso che alla fine era ed è un sogno che tengo dentro e non so se riuscirò a realizzarlo. Essere arrivato a questi livelli è già incredibile. Impegnandomi posso fare qualcosa di più e magari un giorno giocare all’Inter o a quel livello. San Siro è stato bellissimo. Pochi anni prima ero lì in tribuna e poi ci ho giocato.»
«Sono cresciuto in Italia, ero all’Inter da quando avevo 8 anni, non mi era mai passato per la mente. A un certo punto ho dovuto pensare a ciò che era giusto per me. Andare in Svizzera non era la scelta più scontata, ma quella più giusta in quel momento. Sono stato fortunato che i miei genitori mi hanno accompagnato, non sono andato in un altro Paese da solo. La scelta è stata difficile perché non era la cosa che avrei voluto fare, ma ne sono contento.
«Gli allenamenti in Prima Squadra all’Inter? Ricordo una spallata di D’Ambrosio in allenamento, mi ha fatto capire che non ero ancora calciatore. Facevamo una partitella 5 vs 5 e il pallone andò laterale, vicino alla linea. Pensai di aspettare un attimo e mettermi con il corpo davanti al pallone. Lui mi aspettò e appena andai verso la palla, lui mi tira una spallata e volo per terra. Sono rimasto lì, fermo, e ho capito che il livello era ancora troppo alto per me. Tra la Primavera e la Prima Squadra c’era un bel distacco di livello, la Svizzera è stata un buon passo intermedio. Le seconde squadre in Italia sarebbero la cosa più giusta».
L’impatto di Gnonto da subentrato
«Da subentrato in Svizzera avevo una media realizzativa incredibile. Quando entravo facevo meglio di quando partivo dall’inizio. E anche quest’anno ho segnato e servito assist dopo poco tempo che ero in campo: assist da subentrato al Liverpool, gol al volo col Cardiff dopo un minuto e dopo 55 secondi ho segnato allo United. Quest’anno mi sono tolto grandi soddisfazioni. Come il gol a Old Trafford o l’esordio ad Anfield: se me l’avessero detto da piccolo, non ci avrei mai creduto. Old Trafford da dentro è così grande… fa paura. Segnare dopo un minuto e sentire quel silenzio è stato emozionante».