Pierluigi Gollini, è il suo momento. A novembre ha esordito con la Nazionale Italiana, coronando un anno in cui si è conquistato la maglia da titolare nell’Atalanta, facendo la differenza in Champions League e svelandosi come uno dei migliori portieri nel panorama calcistico azzurro.
Gollo ci ha aperto le porte della sua casa di Ferrara, dove lo abbiamo sottoposto al nostro format che trovate sul canale YouTube: dopo aver commentato con lui le gesta della nostra community, nella seconda parte abbiamo affrontato temi come rap, Tedua, The Notorious B.I.G., della sua esperienza al Manchester United e mille altre cose.
A casa di Pierluigi Gollini
Gollini ha iniziato come difensore nella SPAL. Poi è diventato portiere, andando alla Fiorentina e da lì in Inghilterra. Varie esperienze hanno preceduto la sua consacrazione all’Atalanta.
IN CAMPO – «Sono molto calmo quando gioco. Resto concentrato, nel mio ruolo è la chiave. Mi piace restare tranquillo mentalmente, mi aiuta a essere lucido e non farmi prendere dall’andamento delle cose durante la partita. L’esperienza la fai giocando. Guardate Donnarumma: ha 20 anni e oltre 100 presenze in Serie A. L’età è solo un fattore».
I RIGORI – «Un misto di istinto e sensazioni. Ai nostri livelli studiamo molto gli avversari: mi è capitato di cambiare decisione all’ultimo seguendo il mio istinto. Contro Immobile, ad esempio, avevo deciso di andare sul lato: quando ero lì, avevo la sensazione che calciasse dall’altra parte, ma mi sono detto ‘vado dove credo’ e alla fine avrei dovuto seguire l’istinto. Lo avevo visto quando li batteva in Nazionale».
IL MIRACOLO – «Quando fai una parata importante, percepisci di averla fatta. Ti dà una scarica di adrenalina diversa. Per un portiere, l’esserci sempre con costanza è basilare. Questo fa la forza di un grande portiere».
IL TUFFO – «Spesso la gente si fa ingannare dal tuffo. A volte vengono attribuite grandi parate a gesti normali, invece altre volte fai grandi parate di reazione stando in piedi che non risaltano all’occhio. Mi è capitato di fare parate veloci restando in piedi, e solo dentro di me so di aver compiuto una grande parata».
IL MANCHESTER UNITED – «La Prima Squadra pranza con le Riserve e l’Under-18. Al primo pranzo, il primo giorno, ero appena arrivato ed ero vestito in borghese. Sono entrati Ferdinand e Giggs in sala, venendo a salutarmi: io ero emozionatissimo. Sono arrivati e mi hanno stretto la mano. Un anno prima ero con mio padre, sul divano, a vederli giocare».
LA NOTIZIA DELLO UNITED – «Mi chiamarono i miei genitori dicendomi: ‘Veniamo a trovarti a Firenze, andiamo a cena insieme’. A un certo punto, mio padre ha tirato fuori un bigliettino da visita dello United e lì ho capito. Era qualche mese che mi chiedeva se me la sentivo di andare all’estero, cercando di scherzarci sopra».
PRIMA DELLA PARTITA – «Se qualcuno nel tunnel viene a salutarmi, lo saluto. Se io non ho niente di personale con una persona, quando sono nel tunnel saluto sempre. Poi nel campo si combatte. Quando mi capita di trovare amici che non vedo da tempo, con i quali ho condiviso esperienze, mi fa piacere incontrarli nonostante sia molto concentrato. Ho salutato Orsolini prima della gara contro il Bologna e in campo ci siamo presi, non significa niente».
CHI MI HA IMPRESSIONATO – «Ravel Morrison. Ha giocato anche nella Lazio, ha avuto una storia particolare. Quando sono arrivato allo United era nelle Riserve con Pogba, Fornasier, Keane dell’Everton, Lingard. Erano una squadra fortissima. Lo volevano mandare via ma Ferguson ne era innamorato. Nel primo allenamento che ho visto, ha segnato di prima di rabona. E all’Aston Villa c’era Jack Grealish, che adesso ne è capitano».
Tra la musica e la vita
IL DIVERSO – «Sono attratto dalle diversità. Se uno nella propria mente non ha la voglia di scoprire cose diverse da quelle che conosce, è molto limitato. C’è sempre un momento in cui devi approcciarti alla novità. Per me, in Inghilterra, era diverso tutto: la lingua, la cultura, il cibo. Sono una persona curiosa e mi approccio alle diversità in modo aperto: ‘Ok, fammi vedere’. Sono passato dal convitto a Firenze insieme ai miei genitori a vivere da solo a Manchester con persone di vari paesi. Impari a relazionarti e stare bene con chiunque».
IL RAP – «Andare in Inghilterra mi ha fatto scoprire ancora di più questo genere. Già alle medie ascoltavo Mondo Marcio, Fabri Fibra, Gué Pequeno. Musicalmente andare lì è stata una cosa davvero bella, c’erano tanti ragazzi africani e sudamericani che mi hanno fatto scoprire dei suoi diversi. In Italia, a livello culturale, quello che è successo con il rap è stato un grande cambiamento. Una vittoria per il genere».
NOTORIOUS B.I.G. – «È il mio rapper preferito. Ho visto il suo documentario, è lo sfondo del mio telefono».
RAPPER EMERGENTI – «Shiva e Vegas Jones. Ascolto rap americano ma soprattutto italiano. Sono per il rap old school».
CONCEZIONE DEL CALCIATORE – «Purtroppo in Italia siamo indietro. In America è pieno di giocatori che hanno fatto canzoni, album o hanno case discografiche. Se vai a casa e ti metti a scrivere una canzone, non cambia niente rispetto a cosa accade in campo. Il problema è culturale: bisogna stare attenti ed essere bravi. La paura è fare qualcosa che può metterti in difficoltà con il tuo lavoro. Un atleta rappresenta una società e una città, in tanti ti guardano: per prima cosa devi rispettare il tuo lavoro e, se questo non viene a mancare, non c’è niente di male nel fare altro. Le persone devono giudicarti per quello che fai in campo».
LA CANZONE – «Volevo scrivere questo testo per raccontare la mia storia. Era il pretesto per rinnovare il campo del quartiere dove sono cresciuto. Quando ho fatto Rapper con i guanti, era il momento giusto per me e per la squadra. Ogni cosa deve essere fatta al tempo dovuto. Se fai una canzone non significa che non hai la testa sul calcio, assolutamente no».
LE FIGURE IMPORTANTI – «Trovi tante persone che ti danno una mano a svoltare, ma sta sempre a te. Il mio cammino è composto da vari step: la mia famiglia al primo posto, quando hai la forza dei genitori conta tanto. Ho visto tanti ragazzi forti con famiglie che li hanno rovinati. Mio padre è sempre venuto a vedermi ma rimanendo nel suo. Gaetano Petrelli, preparatore dei portieri all’Hellas Verona, mi ha fatto fare il salto di qualità, cambiandomi e dandomi delle basi che non avevo. Mi ha dato un’identità. Ho trovato sempre brave persone».