Se chiedi ai suoi giocatori di descriverlo con una fotografia la risposta sarà pressoché la stessa. «Tante volte si ferma a parlare con noi dopo l’allenamento, spesso ci prende uno per uno e ci spiega cosa vorrebbe. Si vede che ci tiene a farci migliorare». Missione che va oltre il risultato, ora portata a termine nel migliore dei modi. La prima parola quindi per raccontare il Fabio Grosso allenatore è empatia. Non fa differenze, si spende per tutti, dai più grandi ai giovani, che con lui sono sempre stati valorizzati. Per conferma chiedere a Gatti e Zerbin – tanto per citarne due del gruppo dello scorso anno che ora giocano in Serie A – ma anche a Boloca, Caso, Turati e Mulattieri, che in A ci giocheranno l’anno prossimo. Grazie a una buona dose di consigli giusti, sedute faccia a faccia e un po’ di esperienza in più. Tradotto: fare di necessità virtù e cercare di far esprimere al massimo il potenziale tecnico e umano a disposizione. E da ora in poi oltre ai «50 giorni da fenomeno» del 2006, Fabio potrà raccontare con orgoglio anche questa trionfale promozione in Serie A del suo Frosinone. Ancora da protagonista, anche se in un’altra veste.
Undici italiani, miglior attacco e miglior difesa
Fabio Grosso nella Serie B di quest’anno è stato il campione degli allenatori campioni del Mondo. Con Gilardino che insegue per salire in A a braccetto. A un certo punto c’erano anche De Rossi e Cannavaro, ora di quel gruppo rimangono solamente Oddo e Inzaghi. Con Pippo, allenatore della Reggina, ieri Fabio si è lasciato andare in un lungo abbraccio. Da campione, come lo erano stati insieme diciassette anni fa.
Il Frosinone di Grosso è stato in testa dalla decima giornata, senza mai perderla, difendendola partita dopo partita. Ma soprattutto senza mai montarsela, la testa. Con pazienza, riuscendo a dare continui stimoli al gruppo e toccando sempre le corde giuste. Dando responsabilità ai più esperti e insegnamenti ai giovani, senza prescindere mai dal dialogo e dalla chiarezza. Punti cardinale di un progetto che punta in alto e fa ben sperare. Cosi le porte del paradiso si sono finalmente riaperte.
Fabio nei rapporti con l’esterno è uno schivo, apparentemente di poche parole, avversario di interviste e riflettori. Anche se la pressione ha dimostrato di saperla gestire benissimo, portando il Frosinone di nuovo in Serie A dopo quattro lunghi anni. Ha sempre sperimentato a testa alta, senza paura di cambiare o provare nuove soluzioni. Ieri ha vinto con undici italiani in campo, la sua squadra finora ha il miglior attacco e la miglior difesa. Senza top player, cambiando spesso e facendo sentire tutti importanti. A livello tattico alternando 4-3-3 e 4-2-3-1. Modus operandi vincente. E adesso sì che si può festeggiare.
Nessuna paura di fronte alle sfide, come a Berlino
In realtà Fabio è sempre stato così. Non si è mai tirato indietro davanti alle sfide e alla voglia di sperimentare. Non sempre ha pagato, per questo qualcuno, al momento del suo arrivo a Frosinone, storse il naso. Era il 23 marzo del 2021, Grosso subentrava al posto di Alessandro Nesta, guarda caso un altro campione del mondo. Prima aveva allenato la primavera della Juve, poi il Bari, il Brescia e l’Hellas. Senza mai brillare. A Frosinone invece si è superato, mettendo in pratica idee e una filosofia chiara. Creare patrimonio tecnico e ottenere risultati. Si salva al primo anno, sfiora i playoff al secondo, va oltre i limiti nel terzo, centrando un primo posto a cui a inizio stagione nessuno avrebbe creduto. Ma guai a chiamarla impresa. È frutto di un progetto che parte da lontano, che ha base solide e punti di riferimento fondamentali. Tra cui Grosso, ma anche il direttore sportivo Angelozzi. E qui entra in gioco l’ultima parola: fiducia. Cambiamo tanti giocatori? Fa niente, basta creare il gruppo e trovare la quadra. Alchimia al potere. Con un rapporto di condivisione continua tra squadra e società. Ora si può correre, liberi, verso un El Dorado che mancava da troppo tempo.