Se dobbiamo individuare una squadra rivelazione in Serie B, questa non può che essere la Juve Stabia, quinta in campionato da neopromossa dopo la promozione da record (con tre giornate di anticipo) nella scorsa stagione. Alla guida degli stabiesi c’è un tecnico, Guido Pagliuca, che ha iniziato ad allenare nella squadra del proprio paese a neanche 30 anni e che, 20 anni dopo, è finalmente riuscito a fare del calcio il proprio lavoro. Infatti, fino a non molto tempo fa, per Pagliuca non è stato così. Tutto è partito da Cecina, comune marittimo in provincia di Livorno da 28mila abitanti. «Giocavo nei dilettanti e Alberto Lazzerini, mi diceva sempre: ‘Perché non smetti di giocare e inizi ad allenare?’. Mi era sempre interessato farlo. E alla fine ho iniziato ad aggiornarmi, a entrare sempre di più dentro la materia, mi aveva preso. È una passione che ti porta a girare, a fare chilometri per conoscere e studiare gli altri allenatori. Così mi è capitata l’occasione di allenare la prima squadra del mio paese, il Cecina», ci racconta.
Dallo stadio di casa sua è arrivato a vincere al Sud
Era il 2007, Pagliuca a 31 anni passa alla guida della prima squadra con quel poco background che aveva: «Cercavo di mettere in pratica la pochissima esperienza che avevo. Perché tutto ciò che sapevo, lo avevo appreso un po’ di qua e un po’ di là dai vari allenatori che avevo avuto o che avevo studiato. Vedere da vicino gli altri tecnici è una cosa che continuo a fare ancora oggi perché penso che il calcio sia uno studio, un aggiornamento continuo, devi sentire e vedere qualcosa che apprezzi e prenderla, svilupparla in qualcosa». La sua vita tra i campi di provincia è stata quella di chiunque altro abbia vissuto almeno per un giorno quegli spogliatoi. Un’esistenza divisa tra la vita reale e una mente che va spesso al pallone, giocato da te o da altri: «Non essendo stato un ex calciatore importante, non potevo permettermi di allenare in Serie D e avere soltanto quello come fonte di stipendio per mantenere una famiglia. Quindi cercavo di allenare vicino a casa e nel frattempo, vedere cosa succedeva con la carriera di allenatore».
Pagliuca ci racconta che «il mio guadagno fisso arrivava da altri lavori. Anche perché nei dilettanti… alcune volte lo stipendio salta, e quindi non puoi permetterti troppi voli pindarici. La mia giornata era strana: mi alzavo alle 5 di mattina e fino alle 7:30 studiavo la squadra avversaria, poi andavo alla Conad di Cecina dove lavoravo – questo fino al 2009, poi sono passato all’azienda edile di famiglia – oppure andavo in cantiere con mio padre, mentre la sera ero al campo di allenamento. E infine a casa, dalla famiglia, che è quella che ti supporta e ti sprona per andare avanti nei momenti difficili, perché nel mio percorso ce ne sono stati di belli, sicuramente, ma la realtà anche per lungo tempo pure difficili, che mi hanno dato tanto». Dalla cassa della grande distribuzione sulla costa, che si riempie durante l’estate quando il caldo brucia il cemento, fino ad affrontare Sampdoria e Palermo con la sua Juve Stabia che non ha paura di niente. «Non c’è un momento in cui ho capito che il calcio sarebbe dovuto diventare il mio lavoro», ci confessa.
Ha superato i dilettanti, nel vero senso della parola
Sicuramente, la svolta è arrivata progressivamente: «Vedevo che piano piano le cose stavano arrivando. Ho sempre continuato a girare per migliorare e aggiornarmi. La svolta è arrivata con Marco Baroni, di cui sono stato vice nel 2019 a Cremona: è una persona di qualità a cui devo tanto. Ho quindi iniziato ad allenare e basta, distaccandomi da altri lavori e lasciando uno stipendio fisso e sicuro. Non è stato facile: non sapevo cosa ne sarebbe stato. Ero andato lontano da casa, trascinandomi dietro una moglie e un figlio già 13enne, ho affrontato questo cambiamento con grande responsabilità». Proprio Baroni, attuale allenatore della Lazio che nel 2024 ha fatto benissimo dividendosi tra la Capitale e l’Hellas Verona, ha rappresentato un passaggio importante per Pagliuca: «Mi ha dato tantissimo negli insegnamenti sul campo, è un allenatore forte, e anche lui mi ha spronato a fare il passo».
A 48 anni, si è finalmente guadagnato il professionismo come si deve. Un percorso che ricorda, almeno nei suoi albori, quello di Maurizio Sarri. Pagliuca vive di calcio, è riuscito a superare il purgatorio, e «ci sono tanti episodi che descrivono il calcio dilettantistico. Magari trascorri ore fuori dal lavoro a studiare una strategia di gara, studiando e cercando di portare un’idea nella partita. Poi arrivi al campo alle due e mezzo, piove a dirotto, il terreno è pesantissimo e a calcio non si gioca. Qui esce quello della passione, della mota, e finisci la gara distrutto e stanco, sporco da tutte le parti. Anche questo è il bello: il calcio ti dà il cuore, ti dà la fame che serve in quelle categorie». Quando ci parla di quegli anni, li sente ancora vicini e li tratta con cura: «La famiglia mi ha permesso di godermi questo percorso. Il calcio ti dà, ma ti prende anche tanto: sei in macchina e ci pensi, sei sul lavoro e ci pensi. Il calcio ti assorbe veramente, mi accorgevo che pensare a cosa proporre in allenamento o in partita, oppure come far migliorare un giocatore, mi rendeva felice soltanto all’idea. Vedere alcuni ragazzi che ho allenato essere arrivati in Serie A o in Serie B mi rende orgoglioso. Forse è proprio questo il motivo per cui ti aggiorni e studi, oltre a cavalcare l’ambizione personale».
Ci ripete spesso l’importanza dello studio nel calcio. Di quanto lui voglia aggiornarsi, di come lo abbia sempre fatto, riconoscendoci un mezzo fondamentale per affermarsi: «Quest’estate sono andato ad assistere ai corsi di colleghi che ho incontrato da avversario. Persone che stimo, anche diverse da me. Sono andato a vedere Possanzini, che ha un’idea di calcio che mi piace, ma anche Castori che ne ha una completamente diversa. Cerchi di prendere da tutti. Quest’anno affrontiamo un campionato di Serie B dove gli allenatori sono forti, trovi giocatori che hanno letture importanti, quindi devi trascorrere le ore a pensare, non solo davanti al computer. Il calcio è una roba da 24 ore su 24, senza mai tralasciare la famiglia».
La persona che gli ha fatto capire il calcio
A metà del racconto, Pagliuca ci menziona una persona. Un nome e un cognome: Fabio Ciuffini, uno psicologo dello sport. «Negli anni sono riuscito a sopravvivere grazie all’aiuto di una persona che è stata fondamentale nel mio percorso e nel mio miglioramento dei limiti che potevo avere, soprattutto caratteriali. Vivevo ogni partita e ogni allenamento come se fosse un mattone per poter scalare la categoria. Fabio ha iniziato a seguirmi alcuni anni fa: ci tengo molto a ringraziarlo, mi ha dato cose impensabili a livello mentale. Mi ha trasmesso la giusta distanza per arrivare all’evento, mi ha insegnato a dare equilibrio alla vita quotidiana e sportiva». Ne esce uno spaccato di carriera e di miglioramento personale: «Questo percorso mi ha aiutato in modo esponenziale su tutto. Non essendo una persona conosciuta nel calcio, ho sempre visto il risultato come unica soluzione per farmi conoscere. Ho vinto due campionati di Serie D, sono arrivato in C e dopo 15 giornate mi hanno esonerato. Non capivo neanche il perché, vedevo soltanto il campo e mi cimentavo esclusivamente su quella che era la preparazione della partita. Con il tempo mi sono accorto che il calcio è un divertimento: lo psicologo è riuscito a farmi vedere il calcio nella sua forma reale. Mi ha chiesto: ‘Vuoi fare l’allenatore o no?’. E da lì è iniziato un percorso che mi ha portato a vedere il calcio come un gioco organizzato e responsabile. Se tu mi chiedi oggi ‘Cos’è il calcio?’, io ti rispondo proprio ‘Un gioco organizzato e responsabile’. È un gioco perché ci deve essere il divertimento alla base di tutto. È organizzato perché credo che nel calcio di oggi, se non lo sei, fai più fatica rispetto a 10 anni fa, ma anche 7. Ed è responsabile perché devi esserlo verso il posto di lavoro e nei confronti di una tifoseria che rappresenti ogni domenica in giro per l’Italia».
Guido Pagliuca ha sempre continuato a mettersi in gioco. Come quando ha intrapreso il percorso insieme a Marco Baroni, come vice alla Cremonese, di cui ci ha già parlato: «Dopo aver collaborato a Cremona nel 2019, ho deciso di tornare ad allenare da solo. Dopo il Covid, con quei 3/4 mesi dove siamo rimasti fermi, ho continuato a studiare e ho deciso di tornare allenatore in una società dilettantistica, alla metà dello stipendio e senza i contributi. Tutto questo per mettere in campo le mie idee, tutto ciò che avevo appreso in giro. Dissi che avrei voluto giocare un calcio umile, ma propositivo, con il pallone che parte dal basso. Dopo la prima di campionato, la società mi ha chiamato: ‘Ecco, ora le amichevoli sono finite, prendiamo la palla e buttiamola in avanti!’. Le difficoltà nei dilettanti sono anche queste, nel bene e nel male: che poi è anche il suo bello, no? La cultura che trovi in questo ambiente non è sempre quella che vorresti. Ma sono felice anche degli errori che ho commesso e che mi ha permesso di commettere». Un’altalena negli ultimi anni tra professionismo e dilettantismo, dove ha plasmato anche la gestione di alcuni aspetti, come quello verace che gli ha creato problemi con gli arbitri: «Il mio lato caratteriale è qualcosa che ho cercato di ripulire al massimo con il mio psicologo. Sono consapevole di come sono, e come dice Gattuso chi nasce tondo non può morire quadrato. Però ho fatto un percorso di miglioramento che mi ha portato a vivere la quotidianità con più serenità».
La cavalcata a Castellammare di Stabia
La Juve Stabia al termine del girone d’andata, nella scorsa stagione, aveva la miglior difesa d’Europa. E infatti Guido Pagliuca si mostra abile in fase difensiva quando si parla di scaramanzia: «No dai… ora è passato quel periodo», ma mentre ce lo racconta, sua moglie si mette a ridere. «Sicuramente ne avevo una che ci portava a pranzare e cenare nei giorni prima della partita sempre alla stessa ora e con le stesse cose da mangiare. Doveva essere sempre un orario pari, come le 20:00», ci racconta con il sorriso. La stessa serenità che ci trasmette quando parla della sua attuale avventura a Castellammare: «In una carriera calcistica devi sapere tener duro. Ricordo che nel mio secondo anno al Cecina, alla seconda domenica iniziarono già i primi problemi societari. Ho vissuto la stessa cosa solo tre stagioni fa a Siena, a fine anno abbiamo avuto dei punti di penalizzazione ed è arrivato il fallimento. Sono momenti difficili, devi anche metterti nei panni del calciatore che deve vivere sempre sul ‘Cosa succederà domani?’. Non è facile, sono momenti che ti formano. A Castellammare ho trovato un ambiente semplice e un presidente che mi ha dato la possibilità di lavorare, così come al direttore sportivo. Ho trovato un gruppo di giocatori eccezionali, oltre che bravi anche con dei valori morali altissimi. E ambiziosi: perché sono tanti giovani e hanno proprio la voglia di migliorare. Il gruppo dello scorso anno era forte, abbiamo aggiunto 6/7 elementi eccezionali e in questo ho trovato la qualità umana di una società con un presidente di spessore. Siamo, credo, la rosa con meno esperienza in quanto a partite giocare in A e B: all’inizio avevamo grande curiosità nell’approcciare alla categoria».
L’attuale campionato di Serie B è pregno di allenatori che propongono il ‘nuovo’ e mettono sul piatto idee interessanti. Sotto questo punto di vista ha raggiunto uno dei picchi più alti: «Oggi non è facile imporre esclusivamente il proprio credo calcistico. Quando abbiamo il pallone, a volte cerchiamo la superiorità numerica per cercare di mettere in condizione i giocatori più offensivi di giocare di fronte alla porta una palla il più possibile pulita. Però quando trovi squadre che ti vengono a prendere uomo su uomo con una prima pressione forte e alta, vai a cercare altri tipi di sviluppi. Magari uno con dei giocatori più mobili, adattandoti alle pressioni e ai movimenti dell’avversario. Quindi anche la prima nostra pressione è magari a volte un po’ più orientata sull’uomo e la seconda invece più orientata sul reparto, magari prendendo la superiorità numerica. Ma è sempre tutto relativo: l’allenatore oggi deve insegnare ai propri calciatori a riconoscere i momenti, le pressioni, a farlo nel minor tempo possibile e in modo giusto». Cerca di spiegarci, semplificando, alcuni concetti che spesso vengono dati per scontati, o che da fuori non si vedono.
Punta sui suoi uomini, e ne va orgoglioso
Spostiamo la discussione sui singoli. Su due giovani che sta allenando alla Juve Stabia: Niccolò Fortini, esterno sinistro classe ’06 di proprietà della Fiorentina, e Romano Floriani Mussolini, esterno destro del 2003 in prestito dalla Lazio. «Fortini è uno dei giocatori più giovani del campionato, è stato bravo il direttore a individuarlo e portarlo negli ultimi giorni di mercato. È ambizioso, ha qualità fisiche e tecniche. Abbiamo cercato di inserirlo il più possibile in un contesto tattico di miglioramento, è predisposto perché viene dalla Fiorentina dove vige una cultura del lavoro importante. Gli auguro il meglio, come a tutti i miei ragazzi: abbiamo giocatori anche più esperti che sono fondamentali, su tutti Alberto Gerbo, che ha uno spessore importantissimo e che all’interno dello spogliatoio sostituisce l’allenatore», illustra Pagliuca. Mentre «Floriani Mussolini – che è discendente e pronipote di Benito – è una persona intelligente, abituata a gestire questo tipo di pressioni. Viene al campo carico ogni giorno per allenarsi e ha grande ambizione, una elevata voglia di dimostrare il suo valore come giocatore e come uomo. Pensa alla Juve Stabia e al proprio futuro, è cresciuto tantissimo e viene dall’esperienza con un allenatore bravissimo come Zeman, con cui ha lavorato tanto sulle idee offensive e si vede. È un ragazzo applicato, che secondo me ha tantissimi margini di miglioramento e un potenziale incredibile. Qui ha tutto per crescere, i tifosi hanno un rapporto eccezionale con la squadra e sono fondamentali per il nostro cammino e nel nostro quotidiano».
È orgoglioso del suo staff «persone competenti e di qualità che mi danno il massimo». Così come ci tiene a ringraziare le persone che hanno reso viva la sua traiettoria. Guido Pagliuca sa parlare di calcio. Lo ascolteresti per ore. Così come la sua storia, fatta di esoneri e fallimenti, di campionati vinti tra il fango e messi poi a lustro a Castellammare. È un uomo che ha saputo crescere e plasmarsi, senza mai rinunciare alla propria essenza.