Mourinho ed Herrera, molto più di due squadre in comune

by Redazione Cronache

 

Adriano Celentano: «Volevo chiederle una cosa: lei sa che sono un suo ammiratore, no?»
Helenio Herrera: «Sì, grazie, sei interista allora?»
Adriano Celentano: «Come no!»
Helenio Herrera: «Ah, non lo sapevo, però lo immaginavo perché sei intelligente… e quindi immaginavo che fossi interista».

È il 18 febbraio 1968 quando Adriano Celentano, in veste di inviato della Domenica Sportiva, si aggira nella pancia del ‘Meazza’, in cerca dei protagonisti del Derby della Madonnina. Da sempre interista, quando incontra Helenio Herrera non resiste e gli confessa di essere un suo ammiratore: «Volevo chiederle una cosa: lei sa che sono un suo ammiratore, no?». Il Mago, allora, lo ringrazia e non sapendo che il Molleggiato fosse un cuore neroazzurro a sua volta chiede: «Sei interista allora?». Il cantante, stupito, gli risponde di sì e quindi l’allenatore, con la sua solita prontezza, risponde: «Non lo sapevo, però lo immaginavo perché sei intelligente… e quindi immaginavo che fossi interista». Basterebbe questo siparietto post-partita di più di cinquant’anni fa per cogliere immediatamente le similitudini tra l’Hombre Vertical e José Mourinho. Oltre al DNA vincente, l’allenatore di Buenos Aires e quello di Setúbal hanno in comune molto di più. Infatti, dall’utilizzo dell’elemento psicologico come aspetto principale della propria filosofia calcistica al savoir-faire, teatrale e istrionico, passando per le sportellate con gli avversari e il profondo legame con i tifosi, sono diversi i tratti comuni dei due allenatori più celebri della Beneamata.

«Sono colpevole di essere il più bravo», disse H.H., «I’m the special one», ha detto molti anni dopo Mou. E se negli anni ’60 non c’erano le telecamere di Amazon a registrare i discorsi dell’allenatore argentino, sono celebri gli slogan che appendeva ad Appiano Gentile per caricare la squadra: «Classe, più preparazione atletica, più intelligenza, uguale scudetto» è solo uno dei più famosi. D’altronde, quando Sandro Mazzola, nel 2017, incalzato da Aldo Cazzullo, è tornato sulla storica polemica dei tanto discussi ‘caffè corretti’ ha affermato che «il vero doping del Mago era psicologico», sottolineando l’indiscussa capacità motivazionale dell’allenatore della Grande Inter, i cui metodi di lavoro sulla mente dei giocatori erano già noti allora: «Lavorava molto sulla loro testa, sull’autostima, fino al paradosso, oltre il fastidio», diceva di lui Mario Sconcerti. Aspetto ricordato, non a caso, anche da un altro grande campione di quegli anni, Jair, che di Herrera ha detto recentemente che «sapeva chiacchierare nel modo giusto coi giocatori. Conosceva il calcio sia dal punto di vista umano che atletico». E rileggendo le sue parole sembra di sentire Marco Materazzi, ospite in una delle epiche dirette Instagram di Bobo Vieri durante la pandemia, in cui chiacchierando ha detto che Mourinho «sapeva sempre quali corde toccare», aggiungendo che la differenza, nell’anno del Triplete, l’ha fatta il duro lavoro alla Pinetina, «visto che ogni allenamento era alla morte». La spinta e la disciplina che il portoghese ha sempre chiesto in allenamento, la chiedeva anche Herrera. Anzi, leggendo leggendo le cronache di allora, forse ne chiedeva persino di più. Su tutti è noto un episodio, quello del rientro dopo la vittoria contro l’Indepiendente in finale di Coppa Intercontinentale. L’Hombre Vertical, infatti, in quell’occasione pretese che i giocatori si presentassero ad Appiano alle sette del mattino nonostante fossero sbarcati a Malpensa alle due di notte. Finì che la squadra, aizzata da Picchi, si ribellò e scattò una mega multa. In effetti il Mago era davvero un sergente di ferro, ma, come ha scritto Mario Sconcerti, che tra l’altro ebbe modo di conoscerlo, «inventò l’allenatore moderno, avido e illuminato […], era vent’anni avanti». Già, lo stesso Sconcerti che José Mourinho attaccò nel 2008 su Sky Sport, dicendogli che «era amico di Mancini» che loro non lo erano affatto e che, soprattutto, non lo sarebbero mai diventati. Capacità e voglia di stare sotto i riflettori, ars oratoria, spavalderia e un po’ di narcisismo. J.M. non ha mai avuto gli outfit perfettti di H.H. e neanche i suoi capelli impomatati di brillantina – semmai ai tempi dell’Inter portava la barba rada e il capello corto -, ma la capacità di attirare l’attenzione su di loro e di dominare il palco mediatico è un altro aspetto comune e rappresenta una tecnica rivendicata da entrambi. Non a caso il Mago disse: «Hanno scritto che Helenio Herrera possiede duemila cravatte. Non è vero, però lascio dire. La pubblicità è tutto». Un po’ come Mourinho che a France Football ha dichiarato che «la ‘mentalità’ di cercare di manipolare qualcuno psicologicamente attraverso i media è un modo per creare uno stato d’animo». Amanti del duello, tutti e due hanno in più occasioni attaccato in maniera diretta la Juventus e, più in generale, quello che hanno riconosciuto come il ‘sistema’ del calcio italiano. Herrera, senza tanti giri di parole, infatti, riprendendo la formula usata nei suoi slogan motivazionali, dichiarò: «Juventus uguale FIAT uguale potere». Una posizione che non può richiamare alla mente «il rumore dei nemici» mourinhiano o «la prostituzione intellettuale», così come la mano all’orecchio allo Stadium ai tempi dello United o il gesto più iconico dello Special One, quello delle manette.

Così, tra una citazione e l’altra, emerge chiaramente lo spirito dei due allenatori, la loro figura di leader carismatici, il loro rapporto con i tifosi. Se è vero, infatti, che Mourinho è riuscito fin da subito a captare gli umori e le sensazioni dei tifosi dell’Inter e ad entrare in piena sintonia con il non sempre facile ambiente neroazzurro – aspetto ben cristallizzato e riassunto da quel primo magico «io non sono pirla» e dal famoso incitamento nei confronti del pubblico in quel derby del 24 gennaio 2010 vinto per 2 reti a 0 -, è altrettanto vero che Herrera fu uno dei primi allenatori della storia del calcio a cogliere l’importanza del ruolo di dodicesimo uomo in campo del pubblico, tanto che promosse, anche presso la società, il concetto di tifo organizzato. Le analogie, come visto, non mancano ma, secondo alcuni, non riguardano esclusivamente il modo di essere o di fare dei due personaggi. Herrera è rimasto celebre per il suo Catenaccio, fondato su una difesa rocciosa e difficilmente valicabile, arricchito dalle discese di Facchetti e sulle ripartenze in velocità di Jair, impreziosito dal senso tattico di Mazzola, dalla classe di Suarez e dall’anarchia di Armando Picchi. Mourinho, a ben vedere, allo stesso modo, pur con le dovute differenze, ha fondato la sua Inter su una solida impostazione difensiva, propendendo per uno stile di gioco pragmatico e votato prevalentemente al risultato più che alla ricerca dello spettacolo e dell’estetica. Non sono solo il protagonismo mediatico e le tecniche psicologiche e di comunicazione ad assecondare il paragone tra Herrera e Mou, dunque, ma anche un’idea simile di calcio, ruvido, solido ed efficace. Un po’ come quello dell’Inter di Conte, soprattutto nella seconda parte della stagione, quando la difesa si è ricompattata e la salita per il primo posto si è trasformata in una facile discesa per Lukaku e gli altri.

A proposito di Antonio Conte: il rapporto  tra lui e ‘Daisy’ – soprannome ironico che Mou si è guadagnato allo United (pare che usasse sempre l’autista come Daisy in ‘A spasso con Daisy’, così lo staff ha iniziato a chiamarlo così) – non è certo dei migliori. Se per Nereo Rocco H.H. era Habla Habla, ‘parla parla’, e non Helenio Herrera, Antonio Conte ha definito lo Special One «piccolo uomo». Ai tempi Conte sedeva sulla panchina del Chelsea, oggi, invece, per uno strano gioco del destino, proprio quando Mourinho fa ritorno in Italia, scegliendo la Roma come la scelse Herrera dopo l’Inter, l’allenatore neo-campione d’Italia si ritrova sulla panchina dei neroazzurri.

La rivalità si riaccenderà? Il livello dello scontro tornerà ai tempi in cui i due allenatori si sono affrontati in Premier? E’ molto probabile. E poi, i tifosi interisti come la prenderanno? Certo, molto dipenderà da Mourinho, ma al momento i neroazzurri non sembrano sentirsi traditi. Massimo Moratti, tra l’altro, ha ricordato al Corriere della Sera proprio che «anche Helenio Herrera, dopo i trionfi, andò ad allenare la Roma. Non mi risulta che all’epoca la sua scelta avesse disturbato gli animi dei tifosi». In ogni caso, è inutile dirselo, prima dell’inizio del prossimo campionato, l’appuntamento più atteso è quello della prima conferenza stampa a Trigoria di Mourinho. Dall’io non sono pirla al daje, dall’Inter alla Roma, vedremo se il portoghese riuscirà là dove Herrera ha fallito, portando alla vittoria di uno Scudetto che a Roma manca da vent’anni.