In occasione del suo 75° compleanno, Arrigo Sacchi ha parlato a La Gazzetta dello Sport, ripercorrendo le tappe della sua carriera. Dal Milan stellare degli olandesi alla nazionale, passando per l’esperienza di Madrid.
BAMBINO – «Magrolino, figlio della paura. Durante la guerra mio padre pilotava gli aerei siluranti a pelo d’acqua. Gli sparavano le navi dal basso e i caccia dall’alto. Se n’è salvato uno su cento. Mia madre era la Reginetta di Maiano Monti, perché non si voleva spostare dalla frazione dov’era nata. Abitavamo davanti alla casa natale di Vincenzo Monti. Mi sgridava perché da bambino tifavo per l’Ungheria di Puskas: “Arrigo, sono tutti comunisti!” Ma giocano bene, mamma. A 14 anni ero all’Appiani per Padova-Inter, novembre ’60. Uno spettatore da dietro mi tirò giù il berretto sugli occhi. Primo anno del Mago(Herrera, ndr). Il Padova di Rocco passò la metà campo 5 volte, segnò 2 gol e prese un palo. Il giorno dopo Brera e colleghi gli tolsero la pelle: sprovveduto, minus habens tattico… “Ah sì? Questo volete? E io ve lo do”. In quello stesso mese si fece comprare Balleri dal Toro, lo mise dietro e sterzò verso il calcio all’italiana».
DA CALCIATORE – «Gli amici mi chiamavano Angelillo, mi piaceva. Ho cominciato in attacco, poi una poco gloriosa ritirata: ala destra, mediano, terzino. Quando Pivatelli, pochi mesi dopo aver vinto la Coppa Campioni col Milan a Wembley, mi mise in panchina, ho smesso. Al Baracca Lugo, da numero 4, marcai Capello, 10 della Spal. Nel primo tempo mi fece due tunnel a chiamata. Annunciava: ”tunnel!” e me la faceva passare tra le gambe. Nell’intervallo giurai: se lo rifà, picchio».
TALENT TV – «Loro sono bravissimi, io non provo nessun fastidio. Ho solo un paio di dubbi. Dicono che mettono al centro il giocatore. Ma se lo mettono in campo così com’è, non gli vogliono poi tanto bene. Io cercavo di migliorare il giocatore attraverso il gioco. Forse gli volevo più bene io. Ma se contano solo i giocatori, perché certi allenatori guadagnano così tanto?».
ESORDI IN PANCHINA – «Ad Alfonsine avevano picchiato quasi tutti gli allenatori precedenti. Io partii male, poi bene, poi male, poi bene. Comunque non mi picchiarono. Avevo preso il patentino a Ravenna da un maestro mica male: Silvio Piola. Mi dissi: se non faccio il salto a fine stagione, smetto. Arrivò l’offerta del Bellaria, in quarta serie».
LE BIG ATTUALI – «Il Bayern gioca bene, anche il Manchester City da quando ha ripreso a pressare. Guardiola mi chiamò a novembre, nel momento più critico. Glielo dissi: “Non pressi più”. Pep migliora i campionati in cui gioca, perché trasmette conoscenze e coraggio. Come faceva il mio Milan. Infatti in quegli anni vincevano in Europa anche le altre italiane. Negli ultimi 10 anni non ha vinto nessuno. Atalanta e Milan sono le squadre che giocano meglio. Ammiravo già Pioli, ma non aveva mai trasmesso un’identità così forte a una sua squadra. Lo Spezia, con l’Atalanta, fa il pressing più sistematico. Nessuno ha 11 uomini sempre attivi come Gasperini. Conte è sulla strada giusta, si vede che si sforza e lotta contro qualche vecchia abitudine».
MATRIMONIO – «Ho conosciuto l’amore a Cesenatico, nel locale di Giorgio Ghezzi, “Il peccato veniale”. La Giovanna era bellissima, l’ho vista, ho fatto il cretino e pochi mesi dopo ci siamo sposati. Aveva 22 anni».
BERLUSCONI – «Lo sento ogni tanto. Una delle ultime volte mi ha detto: ”Arrigo, venga a fare il direttore tecnico al Monza. Le do una villa e un maggiordomo.” No, grazie, presidente: è tardi. Sono contento che stia meglio. Galliani mi ha fatto spaventare. Mi ha detto che era asintomatico. Qualche giorno dopo mi ha scritto che aveva sempre la febbre, poi ha smesso di rispondermi. Finalmente, una mattina, mi sono arrivate tre faccine gialle con il cuore, tre bacini. Un grande dirigente».
EURO 1996 – «Colpa mia, contro la Repubblica Ceca ci misi un quarto d’ora a fare la sostituzione dopo l’espulsione di Apolloni. E loro segnarono il 2-1. Non ero sul pezzo come una volta. Non ero già più quello di prima».
GLI OLANDESI – «Van Basten mi ha fatto gli auguri di Natale. Ricordo Rijkaard seduto sugli scalini del Bernabeu che portavano al campo. Era immerso nel fumo della sua sigaretta, preoccupatissimo, pochi minuti prima del Clásico. Lui allenatore del Barcellona, io direttore tecnico del Real Madrid. Lo calmai: “Tranquillo, Frank. Vincete facile, non siamo competitivi”. Florentino Perez ascoltò e mi chiese: “Ma lei sta con noi o con loro?”. Il Barça vinse 3-0».
PARMA 2001 – «Al primo giorno dissi: “Oggi niente allenamento. Sedetevi sul prato e ognuno mi spieghi perché tanti bravi giocatori faticano a vincere”. Parlarono tutti. Thuram, Cannavaro, Buffon. Pareggio a San Siro con l’Inter, pareggio con Lecce su errore di Buffon che venne a chiedermi scusa. Alla terza, vittoria a Verona. Ma lì mi spaventai: non provai la minima gioia. Come bere un bicchiere d’acqua. Ero vuoto. Ero arrivato. Telefonai a mia moglie: “Torno a casa. Smetto”».