Mai banale, mai scontato, mai noioso. Ecco le dichiarazioni di Zlatan Ibrahimovic, in seguito alla vittoria del 12° Guldbollen, il premio che ogni anno viene assegnato al miglior calciatore svedese, si è raccontato in una lunga intervista al giornale Aftonbladet.
OBIETTIVI – «Devo continuare a giocare almeno fino a quando i tifosi non torneranno negli stadi. Non posso finire la mia carriera davanti a tribune vuote. Ho 39 anni e ho vinto il Pallone d’Oro svedese. Punto a vincere anche a cinquant’anni»
NAZIONALE – «Ovvio che mi manca, se a qualcuno non manca tutto ciò, vuol dire che ha chiuso la sua carriera, mentre io non ho ancora finito. È qualcosa che deve venire dal Ct. Voglio giocare nella Friends Arena, voglio vedere il muro giallo pieno quando entro in campo».
VIRUS – «Il Covid-19? Solo un paio di settimane, non è stato difficile. Mi hanno fatto lasciare gli allenamenti in gruppo. Ho sostenuto i test tre volte per essere sicuri, così sono rimasto a casa. Dopo cinque giorni non sentivo più i sapori, né del cibo, né del caffè e ho iniziato ad allenarmi solo dopo una settimana, prima non riuscivo».
CAMBIAMENTO – «Alla mia ci vuole mentalità, non basta il talento. Mi sento vivo, so che posso giocare e fare quello di cui sono capace. Poi i risultati parlano da soli. È un onore vincere di nuovo questo premio, ma senza il duro lavoro non si ottiene nulla. Se potessi correre 90 minuti senza sosta lo farei, ma non posso. Sono onesto con me stesso, ho bisogno di più tempo per recuperare dopo uno scatto».
MILAN – «In Usa volevo aprire un nuovo capitolo della mia vita e stare con la famiglia. Poi Raiola mi ha detto: “Devi chiudere in Europa, fai solo sei mesi a Milano, dopodiché puoi smettere”. Ho parlato con Mihajlovic, gli ho fatto sapere che sarei andato gratis al Bologna, ma che non ero lo stesso calciatore di dieci anni fa. Poi però ho visto il Milan perdere a Bergamo in modo vergognoso. Abbiamo cominciato a sentirci con il club e ho iniziato ad avvertire l’adrenalina di vestire quella maglia. Era una sfida complicata ma non impossibile. Dicevano che avevo 39 anni e che tutti quelli che erano tornati a Milano avevano fallito. I primi sei mesi sono stati difficili, poi è iniziata la scalata».