di Gabriele Codeglia
Dopo mesi, settimane, partite, giornate, il Milan di Stefano Pioli convince sempre di più.
Detrattori, critici, estimatori, tifosi, avversari, giornalisti. Tutto il calcio italiano (o quasi), oggi, riconosce il grandissimo lavoro svolto dall’allenatore parmigiano dopo poco più di un anno.
Partenza
Era il 9 ottobre del 2019. I rossoneri si trovavano al 10° posto in classifica, con 9 punti, 6 gol realizzati e 9 gol subiti.
La prima formazione schierata da Pioli, contro il Lecce a ‘San Siro’ (2-2), è stata la seguente: Donnarumma; Conti, Musacchio, Romagnoli, Hernández; Paquetá (dal 67° Krunic), Biglia, Kessié (dall’80° Rebic); Suso, Leão (dal 67° Piatek), Calhanoglu. Un 4-3-3 che sembra riportare a un secolo fa, quando invece sono passati solamente 405 giorni.
Di quegli undici, soltanto cinque giocatori sono partiti titolari contro la Fiorentina, più Krunic e Rebic. La rosa in quel momento consisteva di 30 elementi, di quel totale ad oggi ne sono partiti ben 12
(Reina, Soncin, Caldara, Rodriguez, Biglia, Bonaventura, Brescianini, Torrasi, Paquetá, Borini, Suso e Piatek) e sono arrivati 9 giocatori nuovi, tra gli scorsi mercati invernale e estivo: Tatarusanu, Kjaer, Dalot, Kalulu, Tonali, Diaz, Hauge, Saelemaekers e Ibrahimovic (fonte Transfermarkt).
I numeri di Stefano Pioli
I numeri del Milan di Pioli, ovviamente quelli che pesano e contano, sono diversi.
Tra campionato, Coppa Italia ed Europa League, considerando soltanto le partite in cui l’allenatore si è seduto in panchina (esclusi squalifiche e Covid), il bilancio è il seguente:
- 48 partite giocate;
- 28 vittorie;
- 13 pareggi;
- 7 sconfitte;
- Media gol realizzati a partita: 2,15;
- Media gol subiti a partita: 1,31;
- Media punti a partita: 2,02.
In tutta la sua carriera, questo è il secondo miglior rendimento di Pioli. Soltanto nel ‘Modena-bis’ dall’8 febbraio al 5 giugno del 2006 (in Serie B), aveva fatto meglio, portando a casa una media di 2,19 punti a partita, raggiungendo i Play-off.
Per quel che riguarda la media gol, questa di 2,15 è la migliore di sempre: con l’Inter, nel 2016-2017, era stata di 2,04.
Il Milan non è mai partito così bene in campionato nell’era dei 3 punti: 23 in 9 giornate (2,55 a partita). L’anno scorso aveva chiuso il girone di andata con 25 punti.
Nel 2003-2004, con Ancelotti, sempre dopo altrettante sfide i rossoneri avevano 21 punti (2,33 a partita), terzi in classifica al pari della Roma e dietro alla Juventus. La stagione finì con la vittoria dello Scudetto: 82 punti in 34 giornate (2,41 a partita), record per la Serie A a 18 partecipanti. Mentre nel 2010-2011, con Massimiliano Allegri, i rossoneri avevano conquistato addirittura 17 punti (1,88 a partita), terzi dietro Inter (18) e Lazio (22), chiudendo poi l’annata con il 18° Scudetto, frutto di 82 punti in 38 giornate (2,15 a partita).
Nel ‘post-Covid’, il Milan è la squadra migliore tra i top5 campionati del continente. Una striscia di 23 risultati utili consecutivi: ultima sconfitta in Serie A l’8 marzo scorso, 1-2 casalingo contro il Genoa.
Ad ora, in questo 2020-2021, il Milan ha già mandato in gol ben 13 giocatori diversi, tra tutte le competizioni. Segno che la squadra, al contrario di quanto si potrebbe (legittimamente) sostenere, non è ‘Ibrahimovic-dipendente’.
Senza Ibrahimovic
Da quando è tornato al Milan, l’attaccante svedese ha collezionato i seguenti numeri, tra tutte le competizioni.
- 30 presenze;
- 22 gol;
- 5 ammonizioni;
- 0 espulsioni;
- 2.301 minuti giocati (77 a partita);
- Un gol ogni 104 minuti.
Con lui in campo il bilancio dei rossoneri è di 19 vittorie, 8 pareggi e 3 sconfitte.
Ma senza di lui?
Dal 6 gennaio, prima partita della seconda avventura di Ibrahimovic al Milan (contro la Sampdoria), il classe ’81 ha saltato esattamente 10 partite, tra panchine, squalifiche e infortuni vari.
E le cifre sono più che significative: 7 vittorie e 3 pareggi, tra la scorsa e l’attuale stagione, con 22 gol segnati (2,2 a partita) e 7 gol subiti (0,7 a partita). Senza Ibrahimovic, il Milan non ha ancora perso.
Per fare un confronto con Juventus e Inter, prendendo come parametro le assenze di Cristiano Ronaldo e Lukaku nello stesso periodo, la ‘sfida’ è nettamente a favore di Ibrahimovic.
Cristiano Ronaldo ha saltato 8 partite: 3 vittorie, 3 pareggi e 2 sconfitte (abbiamo escluso il match vinto a tavolino contro il Napoli), con la Juve che ha segnato 12 gol (1,5 a partita), subendone 8 (1 a partita).
Romelu Lukaku ha saltato 4 partite: 2 vittorie, un pareggio e una sconfitta, con l’Inter che ha segnato 11 gol (1,83 a partita), subendone 6 (1,5 a partita).
Paolo Maldini
Per ultimo, ma forse l’uomo più importante di questo Milan, più di Pioli e di Ibrahimovic.
Paolo Maldini è tornato ad essere un tesserato rossonero ufficialmente il 5 agosto del 2018. All’epoca era stato promosso a direttore dello sviluppo strategico dell’area sport. Sembrava essere un ruolo da comprimario, tirocinante, in cui si sarebbero sfruttati più la sua immagine, il suo nome e il suo appeal. All’ombra di Leonardo e Ivan Gazidis, l’ex numero ‘3’ ha assimilato, imparato, osservato. Quel tanto che gli serviva per completare il barile di esperienza già praticamente pieno.
Il 14 giugno del 2019 diventava direttore tecnico, prendendo il posto del dimissionario Leonardo. Il 7 marzo, alle porte del lockdown, Zvonimir Boban lasciava, sbattendo la porta. Maldini rimaneva, assieme a Gazidis (fin lì considerato ‘traditore’) e Frederic Massara.
Il lavoro e la ricerca della dirigenza del Milan è stato quasi perfetto, tra cessioni, conferme e acquisti. Theo arrivato per 20 milioni di euro, dopo una breve chiacchierata proprio con Maldini, firmando un quinquennale. Bennacer, Leão, la scoperta di Saelemaekers, lo scambio Kjaer-Caldara, il ritorno di Ibrahimovic, l’operazione-Tonali, la risoluzione dell’affare Rebic-Silva, l’aver piazzato Suso, Piatek e Paquetá. Oltre agli ultimi arrivati Hauge e Diaz.
‘Maldini=Milan’. Un’equazione forse azzardata, ma è anche difficile dire che non possa essere così. Avere a disposizione un uomo che conosce l’ambiente, ha vissuto, vinto, perso con una sola maglia, non può non essere un vantaggio.
Moltissimi dubitavano fortemente del suo ‘rendimento’ come dirigente, al momento del suo arrivo. Si credeva alla tipica ‘vecchia bandiera’ presa e messa lì.
Il discorso non vale quando si tratta di Paolo Maldini.
Nonostante le voci su una possibile cessione della società di Elliott, che tornano e riaffiorano come lo sfiatatoio di una balena. Nonostante i dubbi enormi, le incognite, tra Covid, infortuni, spensieratezza della squadra più giovane d’Europa (tra i top campionati), prestazioni sul lungo periodo, la tenuta fisica e mentale. Questo Milan continua a convincere. Forse un anno fa una sconfitta pesante, come quella patita contro il Lille, avrebbe spezzato le gambe a un gruppo ancora non pienamente convinto dei propri mezzi.
Oggi il copione è totalmente diverso. Il Milan non è più la sorpresa del ‘dopo Covid’, ma una realtà sempre più definita. Perché le porte chiuse ormai non sono più una variabile. Il Milan non ha nulla da perdere, fondamentalmente, non è stato etichettato come favorito in nessun campo, ad inizio stagione. Coloro che hanno l’obbligo di portare a casa un trofeo sono altre squadre. Questa sì che è una variabile non di poco conto, sul piano psicologico. Così come, invece, la certezza di avere una base solida, futuribile e migliorabile ampiamente, non può che lasciar sognare in grande ogni tifoso del Diavolo.