Di Duvan Zapata – che oggi compie 29 anni – si conosce tanto, soprattutto del percorso italiano: Napoli, Udinese, Sampdoria e Atalanta. Del suo passato, però, molte cose sono rimaste lontane come la distanza che separa l’Italia dalla Colombia, suo paese d’origine. A cominciare dalla dedica dei suoi gol, che dal 2010 – anno di scomparsa della mamma Elfa – è lei la principale protagonista nei pensieri dell’attaccante.
Le partite nel campetto senza luce
Poche cose hanno frenato Duvan Zapata nella strada verso il suo sogno di diventare calciatore professionista. Gli infortuni, l’ultimo agli adduttori che ha costretto l’attaccante ad un lungo stop stagionale, non rientrano tra quelle cose. D’altronde, la personalità Duvan se l’è costruita strada facendo, nel vero senso della parola. Con il suo cugino Cristian – ora al Genoa, più grande di lui di quattro anni – giocava nei campi fino a tardi, quando il sole calava e il buio prendeva il sopravvento. A El Tamboral, il paesino dove abitava, non c’era nessun lampione e pochissima luce. Colpa, soprattutto, delle mosse del governo di allora, che per impedire a gruppi illegali di utilizzare l’energie per le serre di Cocaina tagliarono la luce. A quel punto, quasi ogni sera, toccava allo zio andare a cercare i due cugini al solito campetto.
Il soprannome
Quando cresci in circostanze simili, tutto il resto diventa secondario, si rimpicciolisce. Soprattutto per un calciatore come lui, considerato forte anche a livello fisico. La sua carriera, iniziata all’America de Cali, ha da sempre avuto una figura più importante delle altre: Willy Rodríguez, uno dei primi allenatori di Duvan e una delle prime persone a dargli un soprannome – pratica molto seguita in Sudamerica. “Ternero” era quello di Duvan, che significava vitello innocuo ma brontolone. Un soprannome nato anche per il comportamento del colombiano, che nei primi anni di carriera quando sbagliava un gol facile sbuffava come un vitello.