«Nei due secondi che hanno preceduto la rete, mi è passata davanti tutta la mia storia». Ilario Monterisi il 14 maggio 2022 era in campo nel play-out di Serie C con la Fidelis Andria, dopo aver perso l’andata contro la Paganese. A 90 minuti dalla Serie D. Un anno e due mesi dopo, esordiva in Serie A da titolare marcando Victor Osimhen, campione d’Italia in carica.
«Dalla panchina in C sono arrivato a fare il titolare in Serie A in pochi anni. A quelli che non giocano, ai ragazzi che sono ai margini, dico una cosa: non è facile, ma un periodo negativo capiterà sempre. Nell’arco di una carriera, non possiamo essere sempre in hype. Non bisogna mai mollare», ci racconta.
«Non sono più un Primavera»
Nell’estate del 2020, durante le ultime partite per concludere il campionato di Serie A dopo il primo lockdown, il Lecce lo ha mandato in campo contro il Parma: la prima volta. «Quando sono tornato dai prestiti, però, sentivo che mi percepivano come ‘quello che esce dalla Primavera’, e non come un calciatore su cui puntare», ma andiamo per gradi.
Dopo l’esordio in A, il Catanzaro lo chiama in prestito. Gioca poco, per utilizzare un eufemismo. Non gioca praticamente mai, meglio dire così. «Ho fatto 3 partite in Coppa Italia di categoria, segnando anche una rete», però lo spazio in campionato è stato zero: «Non mi hanno concesso neanche un secondo». E Ilario è andato giù: «Stavo male, non capivo. Mi ero mostrato come un ragazzo consapevole, che lavorava con dedizione. Non avevo fatto errori, ma perché non avevo mai la mia occasione?».
A gennaio cambia squadra, avvicinandosi a Trani, casa sua. Firma con la Fidelis Andria, sempre in C. Salta soltanto 3 partite fino al termine della stagione, una delle quali in coppa e la prima perché era arrivato da troppo poco: «Ho fatto una buona stagione e ci siamo salvati ai play-out. A volte ci penso: sono passato in un anno dalla mancata Serie D a vincere la Serie B, e oggi gioco in A».
Frosinone come casa: la promozione e la Serie A
L’avventura ad Andria funziona. Salto di categoria e prestito al Frosinone. È quel Frosinone, quello che nella scorsa stagione ha vinto la Serie B. Monterisi trova spazio, ma non eccessivo. «Qui, tutti hanno visto la dedizione che ci ho messo nella passata stagione. Quando sono tornato a Lecce, vedevo che mi percepivano come un giocatore uscito dalla Primavera, non come un giocatore vero. Ho premuto molto per tornare al Frosinone», e ha funzionato. Nonostante le poche presenze, i laziali lo riprendono: «Appena il direttore mi ha chiamato, non ci ho pensato due volte. Oltre alle prestazioni, hanno visto che sono un ragazzo che non crea problemi. In ritiro, Di Francesco mi ha utilizzato come centrale: il mio ruolo naturale. Nelle ultime stagioni, venivo usato come terzino. Mi adatto a tutto, ma è chiaro che come centrale io renda meglio».
Dalle panchine in B di qualche mese fa alla titolarità nella massima serie: «Il mister ha capito che avevo qualcosa da dare. La società ha visto una crescita in me, sono migliorato tanto. Di Francesco ci ha messo tanto del suo in questa partenza positiva. Ti insegna tanto e ti entra dentro». La prima è stata contro il Napoli: «L’esordio contro Osimhen? Eh… tosto. L’ho preparata come facevo in Serie C, sono equilibrato. Dopo la partita invece adesso è diverso, lo percepisco. Victor non è proprio l’attaccante che speri di marcare alla prima partita da titolare in Serie A. Sto crescendo».
La grande gioia è arrivata il 26 agosto, quando al 23’ della partita contro l’Atalanta ha scaraventato in rete un campanile sugli sviluppi di un calcio d’angolo: «Dopo il gol, il mio primo in A, ho pianto. E l’ho fatto con la mia famiglia: mia madre mi ha portato ogni giorno a Bari per gli allenamenti, restando ad aspettarmi. Devo tutto a loro. Non mi aspettavo di segnare, ma nei due secondi prima della rete, ho davvero rivisto tutto il percorso che mi ha portato fino a quel momento. Mi sono detto che deve essere un punto di partenza, non di arrivo».
Ilario Monterisi si è aggrappato a ogni occasione. Quando gli chiediamo perché una squadra come il Frosinone, piena di calciatori provenienti dalla C e complessivamente con poca esperienza in A, funzioni, ci risponde: «Si chiama fame. Una volta che vedi le categorie inferiori, fai di tutto per non tornarci. Nessuno vuole più tornare indietro, nessuno vuole fallire».