a cura di Cosimo Bartoloni, Giacomo Brunetti, Andrea Consales, Matteo Lignelli e Francesco Pietrella

Cinque storie dell’Inghilterra.

I fari sono già puntati. C’è chi dice che arriveranno fino in fondo perché la Premier League è il campionato più allenante del mondo.

 

Quando Kane fu vicino al Livorno

 

Pare sia andata così. Estate 2013, ultimi giorni di mercato, giri di chiamate tra cronisti, appostamenti sotto il sole per intercettare voci. A un certo punto esce Aldo Spinelli, patron del Livorno appena salito in Serie A. «Presidente, chi prendete?». «Ci hanno proposto un certo «Kanne’, o ‘Kale’. Ha vent’anni e fa la punta, vediamo». Quel giovane era Harry Kane, riserva della Primavera degli Spurs con un paio di prestiti andati male. «Si parlò di un prestito con diritto di riscatto, ma poi non se ne fece nulla». A Livorno arriverà Emeghara, reduce da sette reti a Siena in soli sei mesi. E Kane? Non spostarsi da Londra fu la sua fortuna. Da lì si è imposto piano piano come titolare. Oggi è il miglior marcatore della storia del Tottenham (260 gol) e il terzo miglior cannoniere della Premier (194). Il bomber di Southgate per assaltare un Mondiale che manca dal 1966.

 

 

Foden contro Balotelli. Undici anni fa

 

Il video di un giovane Maradona ha fatto scuola: «Sogno di giocare il Mondiale e di vincerlo». Diego lo disse a 10 anni a Villa Fiorito, il suo quartiere, e alla fine così è stato, ma la storia di Phil Foden è ancora più curiosa. Nel 2011 il City è a Milano per giocare un torneo come tanti contro Inter e Milan. I giocatori sono bambini di 10-12 anni in giro per la città. Gian Luca Rossi, giornalista di «Qui studio a voi stadio», si ferma a parlare con loro del più e del meno. Idoli, aspettative, sogni, finché tira fuori il nome di Mario Balotelli, arrivato a Manchester l’anno prima. Uno dei bambini, a sorpresa, si avvicina al microfono e dice chiaro e tondo che Supermario non gli piace perché si comporta male: «È bravo, ma ha un cattivo atteggiamento fuori dal campo». Quel ragazzino è Phil Foden, oggi stella del City e dell’Inghilterra. E forse su Balo ci aveva preso.

 

 

L’altra faccia di Raheem Sterling

 

Dell’aspetto campo si sa tutto. Ala d’attacco come non ce ne sono, stella di Southgate e del Chelsea dopo 131 reti al City. Sterling va oltre questo. Nato a Kingston, in Giamaica, a 2 anni ha visto morire il padre, assassinato con un colpo di pistola in pieno volto. È cresciuto con sua nonna perché la madre partì subito per Londra: «Doveva lavorare per offrire una vita migliore a me e a mia sorella». A scuola era irrequieto, cattivo. Alle elementari fu cacciato via perché non si comportava bene, così – una volta raggiunta la madre in Inghilterra – la aiutò a pulire i bagni di un hotel: «Mi svegliavo ogni giorno alle 5 di mattina». E nelle partitelle si sentiva Ronaldinho, dribblava tutti senza fermarsi. Il resto è quello che vediamo oggi. E al di là del campione c’è un ragazzo impegnato in prima linea contro il razzismo, con un fucile M16 tatuato sul polpaccio: «Una promessa a mio padre: non toccherò mai un’arma da fuoco».

 

 

L’unico Mondiale nel 1966. Com’è cambiato il mondo?

 

Forse “It’s coming home” porta sfortuna. Pensateci: l’Inghilterra ha vinto l’unico Mondiale nel 1966, quasi 60 anni fa, e da allora il miglior risultato è stato il quarto posto, raggiunto nel 1990 e nel 2018. Il giorno in cui i Tre Leoni hanno alzato al cielo il trofeo si chiamava ancora coppa Rimet, dedicata al padre dei mondiali. Il Muro di Berlino era stato tirato su da tre anni, la Guerra Fredda era un tunnel senza luce, Berlusconi aveva appena fondato la Edilnord dopo aver cantato sulle navi da crociera. In Spagna c’era il Franchismo, il Papa era Paolo VI e i Beatles erano «più popolari di Gesù Cristo», secondo un’intervista di John Lennon. Il 30 luglio, Wembley, l’Inghilterra rifila 4 reti alla Germania in una delle finali più discusse della storia del calcio, con il gol di Geoff Hurst palesemente irregolare. Forse una maledizione. Da quel giorno non ha più vinto.

 

 

Ramsdale, il segreto dell’Arsenal è in porta

 

Dici Arsenal primo e pensi agli invincibili. A una squadra storica e anche maledetta, perché dal 2004 l’Arsenal non ha più vinto un campionato. Se i Gunners sono primi devono ringraziare varie persone, da Arteta ai talenti tirati su negli anni, ma forse il primo è proprio Aaron Ramsdale, il portiere, titolare all’improvviso dopo una buona stagione con lo Sheffield. Nato a Stoke on Trent, città inglese tra le più classiche con case basse e sei mesi di pioggia l’anno, Ramsdale è diventato l’idolo dell’Emirates. Un suo pregio è l’ironia: l’anno scorso, contro il Leeds, ha raccolto 17 sterline in monetine per via di alcune provocazioni lanciate ai tifosi durante la gara. Agli avversari non piacque il suo atteggiamento irriverente, così gli lanciarono di tutto. A gennaio 2019 era in terza serie, nel 2018 addirittura in quarta. Dopo un paio di buone stagioni con Bournemouth e Sheffield l’ha chiamato l’Arsenal. In Qatar sarà il terzo portiere, ma che scalata.