Inter, Bastoni: «Ero preoccupato, ora so cosa voglio. È cominciato tutto…»

by Redazione Cronache
bastoni

Il centrale dell’Inter, Alessandro Bastoni, si è raccontato, con tutta la sua genuinità alla Gazzetta dello Sport. Bastoni ha raccontato la chiamata dell’Inter e le parole di Conte, riportando diversi aneddoti:

SULLA CHIAMATA – «Conte mi chiamò prima di arrivare in ritiro. Mi tenne al telefono 15 minuti,midisse “di cosa ti preoccupi? Se sei all’Inter c’è un motivo, presto lo scoprirai. Sei qui perché ti ho voluto io”. Ero spaventato, avevo paura di non essere all’altezza del grande salto. Poi ho capito che non importava il cognome. E che i compagni erano tutti come me, con le mie stesse forze e le mie stesse debolezze. Sa come è andato il mio trasferimento all’Inter? Il mio procuratore, Tinti, mi convoca all’autogrill a Parma. Scendo dall’auto, inizia a parlare, mi fa “ti vuole l’Int…”. Non l’ho fatto neppure finire, “sì sì, andiamo” ».

SULL’EUROPEO – «Sarei sciocco a dire che non ci faccio un pensiero, impossibile non farlo. L’Italia è la maglia di
tutti, non ci sono tifosi, è il sogno di chiunque. E anche il mio, ma prima un trofeo con l’Inter».

NOMINA AGNESE – «Era la mia migliore amica, l’ho persa nel 2015, dopo un incidente. Quando è successo non c’ero neppure, ero in Bulgaria con l’Under 17. Non avevo con me la famiglia, né gli amici, non ho mai compreso fino in fondo le mie sensazioni. Mi era crollato il mondo addosso. A me che a Piadena, paese di 3mila anime, ero Per tutti il forte del gruppo. Sono ripartito, quell’esperienza mi ha cambiato,da lì ho trovatola forza per risalire. Ad Agnese sono dedicate le mie esultanze braccia al cielo,gesto che porto tatuato sulla spalla».

SUI TATUAGGI – «Ne ho diversi. Il leone perché mi piace pensare di essere così In campo, visto che molti dicono che io difetti in aggressività. E poi c’è quella scala con il bambino…ecco, quella rappresenta la mia ascesa».

SUL PASSATO ALL’ATALANTA – «Mio papà mi portava tre volte alla settimana da Piadena a Bergamo, 130 km ad andare, 130 a tornare, più la partita il week end: totale, 1000 km a settimana. Col mio stipendio di oggi pago ancora la benzina dei miei genitori».

COME È ARRIVATO ALL’ATALANTA – «A 7 anni non avevo una squadra, giocavo all’oratorio del paese. Una mia compagna di classe mi vide e disse al papà, osservatore dell’Atalanta, di venire a darmi un’occhiata. E da lì è cominciato tutto. Non so perché fece il mio nome…però per ringraziarla ogni anno le mando una mia maglia»

COME SI VEDE TRA 10 ANNI – «All’Inter, con qualche trofeo in bacheca. E magari capitano».