Issaka Coulibaly è morto una sera di novembre del 2022. Issaka era uno dei fantasmi della nostra società. Uno di quei ragazzi che popolano le nostre città, ma che ormai ci siamo abituati a non notare. Semplicemente non li vediamo. Loro ci sono, ma è come se non ce ne accorgessimo più, come facessero parte dell’architettura delle nostre stazioni, delle metro, delle piazze. Issaka ha assunto un nome e un’identità da morto. E lo ha fatto mesi dopo il giorno del suo decesso, quando la squadra per cui giocava ha appreso della sua scomparsa. Era il portiere del St. Ambroeus, società di Milano che manda in campo rifugiati e richiedenti asilo. Per due mesi, probabilmente nessuno ha saputo nulla della sua fine. Abbiamo intervistato il suo vecchio allenatore per dare una voce alla storia di Issaka, se è possibile ne siamo usciti ancora più devastati e spaesati.
È stato proprio Lassane, all’allenatore dei richiedenti asilo di Milano, a portare Issaka nella squadra. I due si conoscono nel centro d’accoglienza di Via Corelli, a pochi metri dal casale dove verrà ritrovato morto. Un’assurda e macabra coincidenza «Era un ragazzo silenzioso, solitario e un po’ burbero. Il suo carattere inscalfibile veniva colto spesso come arrogante. Non si era fatto molti amici dentro il centro. Io ho provato ad avvicinarlo grazie all’arma segreta del calcio. Mi ha detto che faceva il portiere e l’ho portato nella mia squadra, era forte».
La storia di Issaka Coulibaly
«Era appena arrivato in Italia dal Togo, dopo chissà quanti mesi o anni di viaggio. Io ho cercato di fargli da guida, insegnargli un po’ l’italiano e inserirlo. Era molto appassionato di calcio e mentre aspettava le procedure per ricevere i documenti non poteva lavorare, gli allenamenti e le partite erano il suo unico svago» ha aggiunto. «Eravamo diversi, io vengo dal Senegal, lui dal Togo. Storie diverse, culture diverse, ma ci accomunava il sogno di una vita migliore e la passione per il calcio. Era l’unica cosa che lo faceva uscire dalla sua corazza di ragazzo duro, mi raccontava che ambiva a diventare professionista: lo voleva a tutti i costi».
Poi però cominciano i problemi. «Non aveva un bel rapporto con il direttore del centro, io avevo già trovato lavoro e una sistemazione e non potevo mediare. Lui invece non ha avuto la mia stessa fortuna e come tanti è finito in stazione centrale. Tanti ragazzi si ritrovano lì perché non hanno niente e nessuno e almeno si fanno compagnia».
Da lì il vuoto. Nessuno sa più che fine abbia fatto Issaka. I compagni di squadra non lo vedranno più. Lassane non ha più notizie fino a due giorni fa. Un altro ragazzo della squadra ha ricevuto la triste notizia. «È stato uno shock. La cosa più triste è pensare che sia morto completamente da solo, per due mesi nessuno di noi ha saputo nulla».
Lassane ha guidato tanti ragazzi a inserirsi, dalla voce si percepisce la volontà di aiutare altri ad accedere al suo stesso cammino di integrazione. «Ho un ultimo desiderio per Issaka, sapere se i suoi genitori sanno della sua scomparsa. Non aveva contatti con nessuno e questa cosa mi devasta».