Abbiamo intervistato un italiano che è stato a lungo in Ucraina, il giornalista inviato di guerra Fabio Tonacci de La Repubblica. Questo il quadro particolarmente sensibile e delicato: «Non è un luogo comune la resilienza degli ucraini. Non li ho mai sentiti lamentarsi nonostante la guerra e anche il calcio è un modo per loro per resistere».
Il significato della partita
«Italia-Ucraina non è solo una partita per il popolo ucraino, è un modo per sentire la vita, un ricongiungimento familiare via etere. Dalla tv chi è rimasto rivedrà nell’inquadratura gli ucraini sfollati, amici e famigliari, e vedrà i giocatori urlare per il proprio popolo».
Il campionato locale
«C’era stato un lungo dibattito tra la Federcalcio e Zelenski per riprendere il campionato, ma la volontà era di dare un segnale alla popolazione, nonostante gli stadi vuoti. C’era l’ipotesi di trasferire tutto in Turchia ma non avrebbe avuto senso».
Il «bombing break»
«Quando c’è una partita in Ucraina fino all’ultimo non si sa dove si gioca, viene spostata in base alle esigenze di sicurezza. I calciatori ironizzano e chiamano il bombing break il momento in cui devono fermarsi e correre nel bunker a causa dell’allarme aereo».
«Ricordo lo scorso anno che ero in un ostello a Est durante Scozia-Ucraina. Dal televisore sentivo il telecronista urlare con enfasi, ma civili e militari non sentivano niente perché c’erano attacchi in corso nel Donbass».
«Il Corner’s pub a fianco allo stadio della Dinamo Kiev, un bar storico, che ha fatto anche da punto di supporto per gli aiuti umanitari, ha dovuto chiudere settimana scorsa perché manca il flusso della gente che va allo stadio».
La situazione attuale
«Adesso l’Ucraina è divisa in due. A est del fiume Dnipro è tutto complicato e pericoloso. A ovest la gente torna al cinema e al ristorante, anche se la popolazione è molto ridotta. Gli uomini tra 18 e 60 anni sono al fronte o danno una mano alle forze armate. Se vai nel Donbass cambia tutto, umore e sensazioni: senti tuonare, ma non è il temporale».