Il difensore centrale del Milan, Simon Kjaer, ha rilasciato una lunga intervista ai microfoni de La Gazzetta dello Sport.
LIVELLO – «La mia storia parla chiaro, ho bisogno di sentire fiducia: ho sempre ripagato i tecnici che mi hanno dato continuità. Merito di Pioli? Quando ho dei dubbi o penso che ci siano aspetti tattici che si possono cambiare per migliorare il rendimento individuale e collettivo, mi ascolta: vuole trovare la situazione ideale per i suoi giocatori. Alla fine ovviamente decide lui, ma c’è dialogo. È l’allenatore perfetto per me».
LEADER – «Mi sento così? Sì, in campo e in allenamento. Osservo gli altri e do una mano. Cerco sempre di dare l’esempio, mi faccio sentire. E provo a trasmettere un messaggio ai più giovani, perché negli anni ho imparato che non bisogna mai accontentarsi: ora siamo primi ma non possiamo adagiarci sulle soddisfazioni del momento, dobbiamo lavorare per crescere ancora».
SCUDETTO – «Siamo in testa, per cui certo, possiamo vincere. La stagione però è ancora lunga, occorre continuare a vivere partita dopo partita come stiamo facendo. Lo scudetto non deve diventare un’ossessione: deve essere un obiettivo perché siamo il Milan e la storia del Milan è fatta di titoli. Dopo tanti anni lontano dal vertice siamo lì, faremo il massimo per tornare in Champions e proveremo a lottare per il campionato, abbiamo il dovere di crederci».
IBRAHIMOVIC – «Per capacità di abbinare tecnica e fisicità Zlatan è unico al mondo, non ho mai visto attaccanti dominanti come lui».
ROMAGNOLI – «È un grande difensore, non si può discutere come fa qualcuno: dopo un lungo infortunio è normale soffrire un po’. Ale tira dritto e si allena bene: presto lo rivedrete al top. Gabbia? Io e Matteo parliamo tanto, mi ricorda me da giovane: ha voglia di imparare, ascolta».
GESTIONE FISICA – «È una linea sottile, non puoi permetterti di sbagliare: il tempo tra un match e l’altro è per lo più recupero. Il che non significa che non ti alleni, ci sono sempre piccole cose da curare. Lavorare con Pioli mi aiuta: a volte gli dico “Oggi farei solo una parte in gruppo, preferisco lavorare con il preparatore”. Lui si fida, sa che tutto è finalizzato alla partita».
ATALANTA – «A Bergamo ho giocato 6 partite, non abbiamo mai perso. Gasperini non mi ha mai detto “sei troppo in là con gli anni” o “giochi male”, lasciarmi fuori è stata una decisione tattica. Ma non ho nulla contro di lui: non ha funzionato. Ho accettato le sue scelte, e quando non giocavo ne approfittavo per allenarmi. Volevo farmi trovare al top per la chiamata successiva, è arrivato il Milan. È andata bene, no?».
SERIE A – «Se è cambiata? Si gioca un calcio più dinamico, diretto, offensivo. E la differenza tra le big e le cosiddette piccole si è molto ridotta: oggi non puoi permetterti di giocare all’80% e portare a casa la partita. Mi piacciono il Sassuolo, sempre propositivo, l’Atalanta, intensa e aggressiva, e il Verona: gioca uomo a uomo, corre, ti fa sudare, lo avete visto…».
FUTURO – «Tra sogni e obiettivi il confine è strettissimo: iniziamo tornando in Champions da milanista. Poi mi piacerebbe chiudere qui la carriera. Sono ancora giovane, no?».