Kozak: «Lazio nel cuore, firmai sul cofano. Gli infortuni mi hanno cambiato la vita»

by Lorenzo Cascini
libor kozak

Se avesse una macchina per tornare indietro nel tempo, Libor Kozak sceglierebbe un istante preciso e cercherebbe di fermarlo. Come a volerlo afferrare e rivivere ancora. Stadio Artemio Franchi di Firenze, 18 settembre 2010, primo squillo in Serie A della sua vita. «Lì sono diventato grande. È stato un giorno magico». Pomeriggio spartiacque, di quelli che ti porti dentro per sempre. Entra al posto di Rocchi e dopo sette minuti punge, regalando tre punti d’oro alla Lazio di Reja. «Edi è stato il primo a crederci, ha visto qualcosa di speciale in me, gli devo tantissimo. Tante volte mi ha anche sgridato, ma mi è servito tutto». 

Ripercorrere la carriera di questo attaccante, 34 anni a maggio, è come fare un viaggio sulle montagne russe, sali e scendi di continuo. «Spesso non è stata colpa mia, basta guardare come è andata in Inghilterra. Anche se ora, rispetto a qualche anno fa, non ho più rimpianti. Sono di nuovo felice». Ci torneremo. «Ho visto poi che sono state scritte tante cose su di me, molte di queste non vere. Voglio sperare che siano errori di traduzione». Necessario quindi fare chiarezza. «Per esempio non è vero che Delio Rossi mi ha messo le mani al collo o che mi sono preso a schiaffi con Tare. Niente di tutto questo è mai successo. Con Igli la litigata fu accesa si, da uomini la definirei. Io volevo andare via a tutti i costi ed ero disperato, fu uno sfogo di rabbia. Ma da qui a dire che ci siamo menati…».

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«Che calvario in Inghilterra, avevo pensato anche di mollare tutto…»

Oggi Libor Kozak ha riavvolto il nastro e ha ritrovato gol e sorrisi a Zlin, città ceca più vicina alla Slovacchia che a Praga. «Dopo Livorno ero a pezzi. Ho pensato anche di mollare tutto e smettere, sentivo di aver perso voglia e spensieratezza. Poi sono tornato a casa e ho trovato di nuovo la felicità». Prima grazie allo Slovan Liberec, poi anni a girare tra Sparta Praga e Slovacko in patria e la Puskas Academy in Ungheria. «Venivo da anni tremendi in Inghilterra. Appena arrivato mi rompo la gamba in allenamento dopo uno scontro con un compagno, poi tante ricadute, problemi continui alla caviglia… insomma un calvario. Non ho segnato per più di 1500 giorni consecutivi, poi quel gol con il Bari e la liberazione. Ma non ero più io. Gli infortuni mi hanno cambiato la vita, non lo nascondo, anche se adesso guardo avanti.» Con e grazie ai gol, ricetta vincente da sempre. «Si ma non solo. Anche tornando a fare la lotta in campo, senza paura. Ho ancora voglia di divertirmi e dare tanto a questo mondo».

Kozak: «Alla Lazio gli anni più belli della mia vita»

Quando gli parli di Lazio però gli si illuminano gli occhi e si scappa un sorriso sincero. «Sono stati gli anni più belli della mia vita». Sentenza, che arriva di puro istinto. «Ci sono tanti momenti che porto nel cuore, dalla Coppa Italia vinta nel 2014 a quell’Europa League in cui ogni pallone che toccavo lo buttavo dentro». Capocannoniere. Re Mida d’Europa da Maribor a Mönchengladbach e Stoccarda. «Nelle Coppe avevo più spazio e più fiducia, sapevo che era la mia occasione e dovevo sfruttarla. Se ci ripenso adesso mi viene ancora la pelle d’oca». Ricordi indelebili. 

Klose, la nord e quel contratto firmato in extremis

Kozak infine ci lascia con tre cartoline. Klose, la curva nord e un contratto firmato sul cofano di una macchina. «Parto dall’ultima. Il mio arrivo alla Lazio stava per sfumare, c’erano state delle complicazioni e io avevo un aereo da prendere per tornare in Repubblica Ceca. Improvvisamente trovarono l’accordo, ma non c’era tempo per rientrare. Così  firmai sul cofano di una macchina lì parcheggiata. Fu una situazione particolare,  oggi se ci ripenso ci rido su».

La seconda foto ritrae Klose con una sacca di palloni in mano. Altro giro, altro aneddoto. «Quando mi chiedono di Miro mi viene sempre in mente questo esempio. Un giocatore che ha vinto tutto e che accompagna i ragazzini della primavera a mettere a posto casacche e cinesini. Di un altro pianeta. E non solo come campione in campo. Ti insegna ad avere un’ umiltà unica, forse introvabile di questi tempi». 

La chiusura è sulla nord, la sua curva per quattro anni. «Mi hanno sempre supportato, appoggiato, difeso. Anche quando Galliani voleva mandarmi in galera dopo quel Milan-Lazio, ci fu uno striscione dei tifosi per me. E poi quando cantavano… che spettacolo»E chissà che oggi, chiudendo gli occhi, Kozak non risenta quel “Mio Canto Libor”, intonato a gran voce dalla curva. Tra gol, passione e un affetto che da parte sua non sarà mai dimenticato.