Una lettera strappalacrime per i tifosi Inter dell’attaccante simbolo di quell’annata, Diego Milito. Il principe racconta com’è nato il triplete e alcuni aneddoti, parlando, ovviamente, della finale di Madrid.
“So che volete sapere cosa ho fatto la notte prima di Madrid, se ho preso sonno, se mi sono sognato la finale. Ma per arrivare lì, al Bernabeu, parto da Quilmes, dal Viejo Bueno dove sono cresciuto, a sud di Buenos Aires. Si può dire che sono cresciuto proprio come Leandro, con il pallone sotto al braccio. Una passione intensissima, nella quale ci ha messo lo zampino mio cugino Pablo. È lui che mi ha portato a giocare fin da quando avevo 6 anni. Seguivo sempre le sue orme, anche quando a 9 anni sono entrato nelle giovanili del Racing de Avellaneda.
Facevo anche la seconda punta, al Racing. Ho imparato lì a sviluppare le mie qualità, sono sempre stato innamorato del gioco, provavo piacere ad entrare nelle pieghe della manovra offensiva con i miei movimenti. Qualità che mi hanno consentito di partire per quel bellissimo viaggio verso l’Europa, verso il Genoa: a 24 anni lasciavo per la prima volta la casa dei miei genitori e con me volava in Italia la mia fidanzata, poi diventata mia moglie. Aveva 21 anni, mollò tutto per partire con me. Entusiasmo, quello non è mai mancato. A Marassi, al Saragozza con mio fratello, di nuovo a Genova. E poi l’Inter.
La palla di Julio era lunga, l’ho scrutata, sono andato in contrasto con Demichelis, che era enorme. Anche qui, rivedo tutto, fotogramma per fotogramma. C’era Wesley pronto per il passaggio: sapevo che con lui la palla arrivava sempre. Così sono partito dritto, profondo. Ho fatto un bel controllo, ho visto arrivare Badstuber alla mia destra. Lì ho fatto una finta, noi la chiamiamo amague, e dopo un attimo correvo a esultare. Per il secondo gol bisogna riavvolgere il nastro e tornare al 2001: Racing-Lanus 2-0, penultima giornata dell’Apertura. Erano 9 anni che pensavo a quell’azione: al Cilindro de Avellaneda punto il difensore, finta a uncino, rientro ma con la palla che mi rimane sul destro. Tiro quasi di esterno, traversa, Chatruc segna sulla ribattuta. A Madrid la mia finta su Van Buyten è stata identica a quella di quel giorno: sono stato solo più bravo a riuscire a tenere la palla alla distanza giusta per aprire il piatto sul secondo palo. In quel momento ho abbracciato idealmente i tifosi nerazzurri di tutto il mondo
(…)Ma quella mattina San Siro è stato il posto più magico del mondo: c’eravamo solo noi, c’era il popolo interista. Io ero stravolto. Ma ero stravolto di felicità”