Minuto 54. Contropiede perfetto.
Basta contarli: 12 tocchi.
Prima l’intercetto di Nasuti, sulla trequarti, il pallone schizza verso Higuain che lo controlla, all’altezza della metà campo. Conduce, il Boca è sbilanciatissimo, a sostegno arriva il solito Belluschi, il tempo che il Pipita si fiondi in avanti e il triangolo è chiuso.
Sembra di viaggiare su un Frecciarossa: dribbling al portiere e tocco col mancino per il più spettacolare e facile dei gol che si siano mai visti su un campo di calcio. Il River ha compiuto il nuovo sorpasso, grazie a un capolavoro del suo più grande talento.
Nel finale, al 69′, c’è tempo per il definitivo 3-1 firmato Ernesto Farías e, al 75′, l’espulsione di Matías Silvestre, altra conoscenza del calcio italiano, che riduce il Boca in dieci spegnendo definitivamente ogni speranza di rimonta.
Eterni rivali annientati, Estudiantes superato e secondo posto in classifica. Il River Plate esulta, come giusto che sia, ma quel pomeriggio di inizio primavera a Buenos Aires, appartiene a un ragazzo, a un uomo soltanto. Si chiama Gonzalo Gerardo Higuaín e, dall’altra parte dell’oceano a 10049 chilometri di distanza da La Reina del Plata, due signori, uno decisamente ricco e l’altro vincente per professione, si sono follemente innamorati di lui, che sta per compiere diciannove anni.
Il 14 dicembre successivo, il presidente del Real Madrid, Ramón Calderón Ramos, su indicazione del proprio allenatore Fabio Capello, si assicura il talento argentino per una cifra pari a 13 milioni di euro.
Higuain firma un contratto di sei anni e mezzo a partire dal 1° gennaio seguente. Battuta la concorrenza di altri top club europei, quali «Lione, Chelsea e soprattutto Milan, che aveva visionato più volte il ragazzo con Ariedo Braida», come riporta un’articolo de La Gazzetta dello Sport di quei giorni.
Le parole del comunicato ufficiale con cui le Merengues danno il benvenuto al Pipita, anche a distanza di anni, lasciano pochissimo spazio alle reinterpretazioni:
«El mejor delantero jueven del mundo»