In un’intervista a Dazn con Diletta Leotta, il centrocampista dell’Inter Nicolò Barella ha raccontato i suoi esordi a Cagliari, il rapporto con Giorgio Chiellini in nazionale e il motivo del soprannome che gli hanno dato in Sardegna.
SOPRANNOME – «Mi chiamavano radiolina. Me lo diedero i ‘vecchi’ del Cagliari come Cossu, Sau e gli altri perché quando ero arrivato in Prima Squadra, giovanissimo, non parlavo mai, mentre quando ho iniziato a giocare mi accusavano di non riuscire più a stare zitto, dicevano che ero diventato una ‘radiolina’ e che mi preferivano taciturno come ero prima. Ho iniziato a giocare a calcio a tre anni e mezzo, mia madre mi ha raccontato che gli allenatori le dicevano di portarmi al campo che tanto avrei passato il tempo lì a fare i mucchi di sabbia e invece io stavo già sempre attento, ascoltavo: allora da lì mio padre ha capito che c’era qualcosa. Quando ero adolescente ho capito che ero un po’ più bravino degli altri e forse potevo ambire a fare qualcosa».
LUKAKU – «Ha uno strapotere fisico alla Shaquille O’Neal: nessuno riesce a spostarlo nemmeno in allenamento, servono tre giocatori per bloccarlo. Romi è un grande leader: riesce ad avere una buona parola per tutti, ha un buon rapporto con tutti e poi in campo è determinante come nessun altro. Lui è arrivato ed è stato incredibile: già parlava italiano! Però per lui dev’essere facile: sa tutte le lingue del mondo! È fortissimo».
CENTROCAMPO – «A casa sono maniaco dell’ordine. Adesso un po’ lo sto diventando anche in campo, soprattutto grazie ad Antonio Conte: prima ero più spirito libero, ora il mister mi ha dato tante nozioni, mi ha insegnato a scegliere i momenti. In campo studio molto. Giocando con grandi campioni cerco di rubare qualcosa a ciascuno di loro, li osservo e le parti migliori cerco di farle mie. Perdere la finale di Europa League è stata la più grande delusione della mia carriera da calciatore. Ce la saremmo meritata quella Coppa».
CAGLIARI – «Che emozione incontrare Gigi Riva! Avevo 17 anni, mi avevano invitato a partecipare ad un anniversario della Scuola Calcio “Gigi Riva” dove anch’io avevo cominciato a giocare. Tutti correvamo attorno a lui e mi raccontò che mi seguiva, che sapeva che giocavo bene: non mi ricordo bene le parole perché ero troppo frastornato. Gianfranco Zola è stato mio allenatore, il primo che mi ha fatto esordire, in un Parma-Cagliari di Coppa Italia: gli devo tanto. È la persona più umile che abbia mai conosciuto nel mondo del calcio: questo mi ha fatto capire che c’è l’umiltà alla base dei successi anche dei più grandi campioni. Lui è un maestro. Io sono molto orgoglioso di essere sardo. Col mio atteggiamento mi sento molto sardo e credo che anche qui all’Inter tutti i campioni internazionali apprezzino il mio modo di essere».
IDOLO – «Dejan Stankovic è un numero 1! I suoi goal riempivano gli occhi, ma il suo atteggiamento da leader in campo, anche senza parlare, era clamoroso. Vedere San Siro che impazziva per lui era emozionante anche solo dalla tv. Da piccolo impazzivo per Holly e Benji e ricordo quasi a memoria la sigla».
CHIELLINI – «La Nazionale è il sogno di qualsiasi calciatore: sono molto orgoglioso di esserci arrivato così giovane. Devo tanto al Ct Mancini, che ha creduto tanto in me già quando ero a Cagliari. Mancini ha creato un grandissimo gruppo e non è mai facile col poco tempo che si ha per la Nazionale. C’è un clima bellissimo nel gruppo: Mancio ha lasciato massima tranquillità a tutti, tutti siamo liberi di esprimerci, non ci sono grandi e piccoli, anzi i grandi aiutano i giovani. Chiello è la mamma di tutti noi! Chiellini è più protettivo di un papà: è davvero protettivo come una mamma, ha sempre fatto sentire importanti anche noi giovani, ci ha trasmesso fiducia».